2 stagioni - 11 episodi vedi scheda serie
"Still... Alive"?
Il male è già ben presente nel mondo, e in particolare in quello consapevole degli esseri umani: il male accade e viene perpetrato già più che a sufficienza e con abbondanza di orrori dalle persone sulle altre persone e sull'ambiente - sociale e naturale - che le sostiene, e non c’è alcun bisogno di tirare in ballo e in gioco e in causa il soprannaturale - “El Cuco”, qui, come la... ehm... "controversa" nazi-partita a scacchi con pedine umane nel pilot di “Hunters” (Amazon, 2020), e si consideri e confronti, a tal proposito, lo splendido “Carrion Comfort” di Dan Simmons del 1989 - per spiegarne la presenza e la natura (così come non c'è alcun bisogno del conforto e della consolazione di una “Washington Square” dei Village Stompers ascoltata alla radio con una casuale cadenza quindicennale ch’è coincidenza fortuita e non frutto animista di un intervento fantasmatico, e che ritorna nello “scherzo” del contro-finale): il soprannaturale è una scusa per difendersi da, e, in seconda istanza, per combattere, e, in limine, per interpretare e spiegare, da una parte, la casualità indifferente del mondo naturale, e, dall’altra, la causalità umana dettata da idiozia, cattiveria, egoismo e, ancora, indifferenza.
Parimenti, indiscutibilmente, le fiabe e le favole nere esistono anche, oltre al piacere “perverso” di somministrarle, perché servono: servono, elaborando il male, per renderlo più facilmente assimilabile: l’uomo nero, inesistente, fa sempre più paura del baffetto imbianchino d’acquarelli mancato, del baffone panzuto, del pelato batrace tritacco io-minchione o, in piccolo, dei tanti Monsieur Verdoux, Charles Manson, Angelo Izzo…
Detto questo, rimane difficilissimo far accettare allo spettatore solo attraverso i dialoghi, la recitazione e la regia (montaggio, fotografia, musica) quel che è facile far accettare al lettore attraverso la narrazione del narratore onnisciente anche se reticente...
- Ciò che stiamo cercando è... uhm… un maschio bipede in carne ed ossa. La mia teoria sul doppelgänger è che… è quello che è… uhm… un costrutto primitivo che si utilizzava per spiegare un disordine bipolare o schizofrenico, o solo la quotidiana lotta tra l’Io e il SuperEgo…
- “Se è un mito”?
- Cosa?
- Hai detto “Se è un mito.”
- Sì, l’ho detto.
- Hm. Perché io non… uhm… tollero l’inspiegabile.
Pochi possono permettersi di trasporre al cinema Stephen King tradendolo (c'era quello… ma sì… com’è che si chiamava, ah già, sì, ecco: Stanley Kubrick....), e il modo migliore è tradurre l'inchiostro su cellulosa in sali d'argento su celluloide (o informazione 0/1 su supporto magnetico da trasformare in pixel su chermo) eliminando qualcosa, magari, ma senza aggiungere o modificare altro (fa eccezione, ad esempio, a parte le premesse, la struttura portante, lo svolgimento e la morale di “the Shining”, il finale del “the Mist” di Frank Darabont: diverso, anzi opposto, rispetto a quello kinghiano, ma altrettanto, se non più, forte), e Richard Price ("the Color of Money", "Clockers", "the Wire", “the Night Of”), con la sua nuova mini-serie, “the OutSider”, con precisione chirurgica degl’incastri e dell’evoluzione del racconto, esattezza e sincronicità dei dispositivi e messa in scena classica questo fa, e in maniera fantastica: per operare la propria traduzione…
…per il Cinema (sceneggia interamente da sé i primi 5 ep., più l'8° e il 10°) dell'omonimo ed ottimo romanzo kinghiano di partenza del 2018, i cui ultimi 2/5 sono i meno riusciti (mentre il primo terzo, se non la prima metà, può accampare diritto di rientrare a pieno titolo nella decina - se non forse cinquina - di cose migliori scritte da King, assieme ad “It”, “Insomnia”, “From a Buick 8”, “Revival” etc...), chiama al suo fianco a collaborare (chiamiamolo defatigamento) Dennis Lehane [sempre "the Wire", oltre che autore dei romanzi "Gone, Baby, Gone", "Mystic River", "Shutter Island", "Live By Night", etc..., e già al lavoro su “Mr. Mercedes” (trilogia di romanzi e serie tv), che con “the OutSider” condivide un personaggio principale, Holly Gibney, qui interpretato da Cynthia Erivo - ed è lei, la deuteragonista, ad essere l’altra “estranea”, il carattere “fuori dagli schemi” e, giustappunto, l’outsider, oltre all’antagonista, della storia - e che qui si dedica alla stesura degli ep. 7 e 9] e Jessie Nickson-Lopez (che scrive il 6°), e alla luce di ciò, dopo i primi 2 ep.
[il dittico iniziale è, grazie certamente alla regìa di Jason Bateman - anche attore e, con la sua Aggregate, produttore -, eccellente, e a tratti assume le sembianze di un piccolo capolavoro “a sé stante”, mentre molto buoni, e alcuni ottimi, sono gli altri, diretti da Andrew Bernstein (il 3°, il 4° e il 10° ch’è anche il finale di stagione e serie), e, rispettivamente, dal 5° al 9°, da Igor Martinovic, Karyn Kusama, Daina Reid, J.D. Dillard (dopo una fisiologica fase calante ecco un quasi ritorno ai fasti di partenza: scrive Price e dirige l’autore dei più che interessanti “Sleight” e “SweetHeart”, ovviamente già prontamente - e con vicendevole sollazzo - reclutato dal Diavolo, pardon, dalla Disney, tramite Astaroth, pardon, JJ Abrams, per un probabile film di Star Wars sganciato dalla prossima trilogia skywalkeriana... A 'sto punto date tutto in mano a Kevin Smith, dato che pre lui ha un cammeo nel cap. IX della saga lucasiana…) e Charlotte Brändström, più le musiche di Danny Bensi e Saunder Jurriaans: “Two Gates of Sleep”, “Martha Mercy May Marlene”, “Simon Killer”, “Enemy”, “the One I Love”, “the Discovery”, “the OA”, “On Becoming a God in Central Florida”],
“the OutSider” - ch’è la risposta (non essendo una questione di genere, ma bensì di importanza generale e trasversale) di HBO allo splendido “UnBelievable” di Netflix, che a sua volta è una "reazione", ugualmente traversa, al “True Detective”, ancora della pay tv via cavo, satellite e flusso di dati on-line: “guerra” tra giganti, spettacolo formidabile - si avvia ad essere la seconda (se non la prima, volendo considerare per l’appunto “the Shining” come un “tradimento”) più riuscita trasposizione kinghiana di sempre (e il comparto attori aiuta: oltre Bateman ed Erivo, spicca - con un… sovraccarico di sottotono - la magnifica prova di Ben Mendelsohn, cui seguono i grandi Bill Camp e Paddy “Tyrannosaur” Considine, e poi Julianne Nicholson, Mare Winningham, Yul Vazquez, Marc Menchaca, Jeremy Bobb, Derek Cecil, Max Beesley, Hettienne Park, Nicholas Pryor…), perché fa male per quanto è bella, potente, dolorosa e anche, paradossalmente - nell'accezione etimologica del termine -, divertente: che verte altrove, oltre, ai margini, ovvero: estraniante, outsidering.
Ep. 1-2: * * * * ½
Ep. 3: * * * *
Ep. 4-7: * * * ¾
Ep. 8: * * * *
Ep. 9-10: * * * ¾
"La realtà è uno strato di ghiaccio sottile, ma quasi tutta la gente ci pattina sopra tranquillamente e il ghiaccio si rompe solo alla fine."
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