1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie
“Non farò la turista con la mia storia.”
Heart of Darkness (tipo l'ENI - e alalà - in Nigeria).
“Quel che non uccide... aspetta un'altra occasione.”
• Contesto: http://www.limesonline.com/hutu-contro-tutsi-le-radici-del-conflitto-in-ruanda/60258
La Guerra Civile in Ruanda (1990-1993), dopo i domini germanico (Africa Orientale Tedesca / Deutsch-Ostafrika: 1885-1919) e belga (1919-1962) e l'indipendenza (1962-oggi).
Un anno dopo. La minoranza (ca. 20%) Tutsi (aristocratici, politici, allevatori) che governava la regione da generazioni (durante la colonizzazione tedesca e, per conto della Società delle Nazioni, belga, i Tutsi mantennero la supremazia sugli Hutu) viene soppiantata dalla maggioranza (ca. 80%) Hutu (operai, contadini, religiosi). L'esercito esule Tutsi, braccio armato del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), preme ai confini e l'esercito e la popolazione - per paura figlia della propaganda politica, militare e inter/infra-religiosa (50% protestanti, 44% cattolici, 2% mussulmani, 4% altri, atei, non specif.) Hutu massacrano la popolazione Tutsi rimasta all'interno dei confini.
Risultato: 800.000 morti ammazzati in 100 giorni dall'aprile al luglio del 1994. Poi l'FPR e l'esercito Tutsi pongono fine alla mattanza.
Postumi: la Crisi dei Grandi Laghi: più di 2.000.000 di profughi, in maggioranza Hutu, ¾ dei quali riparano nello Zaire in procinto di divenir Congo di Mubutu (gli altri rifugiano prevalentemente in Tanzania e Burundi). A partire dal 1996 si procede in progressione a smantellare tutti i campi profughi: 50.000 persone - in maggioranza bambini, donne e anziani - sono affette da colera e altre delibitazioni, e perciò risultano essere inamovibili.
Lo smantellamento procede.
(Occorsero pale.)
Accanto alla lingua ufficiale Kinyarwanda (un dialetto Bantu), per comunicare col Resto del Mondo si passa dal francese all'inglese.
All'inizio del 1997 - poco prima della fine della Prima Guerra del Congo, cui seguirà la Seconda, dal 1998 al 2003 - tutti i campi profughi risultano essere smantellati.
(E pale occorreranno.)
Circa l'1% della popolazione appartiene all'etnia Twa (pigmei). Ma questa è un'altra storia. Sempre la stessa.
“Alla mia procreatrice manca il braccio destro. La schiena è un ammasso di cicatrici intrecciate. Ci è stato detto - non da lei, perché lei non parla mai di quei mesi - che è scampata al massacro nel suo distretto nascondendosi sotto i corpi che aveva attorno. Tanti sono sopravvissuti così, ma noi non parliamo molto di quelli che portano cicatrici visibili. L'accusa flagrante dei segni che si portano addosso è una forma di indecenza che non si può cancellare né revocare.
La mia procreatrice protegge il suo spazio attraverso la negazione.”
Sunny Moraine - “A Heap of Broken Images” - 2013
Addenda/Postilla/Coda.
Dal 1996 al 2003 in Congo, durante le due Grandi Guerre Africane, vennero uccise - la quasi totalità per conseguenti sete, fame e malattie - 6.000.000 di persone. E questa è ancora un'altra storia. E ancora sempre la stessa.
The Big Game.
“Dopo la salutare lezione della Libia, e considerando che il guardaroba del ministro odora ancora di bruciato, la presenza di un uomo forte, o donna, d'Africa, è, per il momento, di gran lunga preferibile a un'altra discesa nella follia intertribale.”
• Dizionario / Sinonimi e Contrari.
smantellare v. tr. (der. di mantello, col pref. s-).
1. Demolire opere in muratura fortificate per operazione bellica con bombardamenti o con mine, o per imposizione del nemico, o in ottemperanza a un provvedimento amministrativo (v. sclassificazione): s. una fortezza, una cittadella; s. una città, abbattendone le mura. Nel linguaggio marin., demolire una nave, o anche metterla fuori combattimento, demolendone l’attrezzatura, la sovrastruttura, lo scafo, ecc. Per estens., rendere inefficiente un impianto industriale o militare, demolendo gli immobili e distruggendo o asportando i macchinari: s. le industrie pesanti, le fabbriche d’armi; s. le attrezzature belliche portuali.
≈ abbattere, (fam.) buttare giù, demolire, diroccare, distruggere, sfasciare.
↔ costruire, edificare, erigere, innalzare.
2. (estens.)
a. [mettere in disarmo un impianto o una struttura: s. una nave]
≈ disarmare, smontare.
b. [procedere alla soppressione di una struttura amministrativa, funzionale, ecc.: s. l'esercito]
≈ abolire, sciogliere, sopprimere. ↔ costituire, fondare, instituire.
3. Con il sign. generico di demolire, è frequente anche in usi fig.: dimostrare l'infondatezza di un sistema di affermazioni: s. le accuse, le argomentazioni, le tesi dell'avversario.
≈ confutare, inficiare, infirmare, invalidare, smontare.
↔ avvalorare, comprovare, confermare, ribadire.
• «I'll see you again in 25 years.»
“Black Earth Rising”, mini-serie (autoconclusiva, ma non chiusa alla possibilità di altre stagioni) in 8 episodi da ca. 60', creata, scritta, prodotta (per BBC Two con Abi Bach e Greg Brenman, distribuzione mondiale Netflix) e diretta da Hugo Blick (“the Shadow Line” - ma qui lo sfiorare il territorio conradiano è solo e del tutto un avvenimento assonante e coincidenziale - e “the Honourable Woman”), è un piccolo capolavoro che, ritornando sul Luogo del Disastro a distanza di ¼ di secolo, si destreggia tra le forze di marea, armate dal bisogno mondiale di terre rare (coltan: columbo-tantalite), mosse da U.S.A., U.K., U.N., Francia, Cina, Germania, Belgio, Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), Ruanda, Burundi, Uganda (nazione cristiano-anglicano-islamista - e comunque qui i froci-ricchioni non li vogliamo - che, ad oggi, accoglie quasi 2.000.000 di rifugiati in fuga dall'animista-cristiano Sudan del Sud in guerra con sé stesso e con l'islamica Repubblica del Sudan, ennesimo fronte interno aperto lungo le innumerevogli faglie delle guerre per il petrolio, e che ospita uno dei più grandi campi profughi al mondo, quello di BidiBidi, che da solo "ricovera" più di 250.000 persone), Tanzania...
“Non lasciare che la verità rovini una buona battuta.”
O che una serie “drama” al 90% e “dramedy” al 10% impedisca di girare uno degli inseguimenti d'auto più assurdi mai visti (degno di alcuni momenti di “Killing Eve”).
La gestione dei personaggi, la loro (s)comparsa, la loro funzione, è mirabile, non tanto eccentrica quanto violentemente conscia del proprio ruolo di creatrice di contenuto attraverso e nonostante lo stile, di sostanza grazie a e malgrado la forma: abbandona tracce solite e già ribattute, delinea traiettorie inusuali, insegue prospettive sottilmente dirompenti.
Qualche consapevolmente ingenua forzatura nel voler incastrare tutto alla perfezione non rovina il quadro generale.
Michaela Coel (on stage al Royal National Theatre, poi creatrice, scrittrice e protagonista di “Chewing Gum”, e in seguito partecipante a “the Aliens” e “Black Mirror - USS Callister”) viene spesso e volentieri - e giustamente - spinta all'eccesso: regge, e largamente convince.
John Goodman: e niente: è John Goodman (limitandoci all'ultimo decennio: "In the Electric Mist", "Treme", "Red State", "the Artist", "Argo", "Flight", "Inside Llewin Davis", "10 CloverField Lane"), signore e signori. Balla un accenno di tip-tap leggero come Fred Astaire e Gene Kelly, pedala in bicicletta con la disinvoltura di Monsieur Hulot, si tuffa nel Tamigi passando da salvatore a salvato, e piscia sangue.
Oltre ai suddetti interpeti di Kate Ashby (UK) e Michael Ennis (UK), completano un cast strepitoso: Noma Dumezweni (Alice Munezero - Tutsi), Tamara Tunie (Eunice Clayton - U.S.A.), Harriet Walter (Eve Ashby - UK), Abena Ayivor (Bibi Mundanzi - Tutsi), Lucian Msamati (David Runihura - Tutsi), Danny Sapani (Simon Nyamoya - Tutsi), Tyrone Huggins (Patrice Ganimana - Hutu), Emmanuel Imani (Florence Karamera - Hutu), Ronald Guttman (Jacques Antoine Barré - FRA), Julian Glover (Mark Viner - UK), Michael Gould (Harper Hopkinson - UK), e lo stesso Hugo Blick (Blake Gaines - UK).
Fotografia: Hubert Taczanowski. Montaggio: Jason Krasucki. Musiche: Patrick Jonsson e Martin Phipps.
Gl'inserti animati sono opera di Steven Small per Studio AKA.
Il Ghana interpreta Ruanda e Congo.
Sigla d'Apertura / Titoli di Testa (con Netflix che propone l'opzione “salta l'intro”, e - in certi casi, come questo - se li avessero tu vorresti far saltare loro i denti) animata sulla “You Want It Darker” di Leonard Cohen dall'omonimo e ultimo album del 2016.
There's a lullaby for suffering / And a paradox to blame
They're lining up the prisoners / And the guards are taking aim
I struggled with some demons / They were middle-class and tame
I didn't know I had permission / To murder and to maim
You want it darker / Hineni, hineni / I'm ready, my Lord
• “Aiutiamoli a Casa Loro” (e no, non è il Panza Felpino Capitone segaiolo, pardon, legaiolo, bugiardo e codardo).
Dopo - e tra - la Pace-Salasso di Versailles, il Processo di Norimberga, il Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia e la Commissione per la Verità e la Riconciliazione sudafricana, il nuovo Ruanda - non solo formalmente libero e indipendente, ma anche autodeterminantesi - si destreggia tra una terza candidatura presidenziale consecutiva (nulla che in tempi “altrettanto” eccezionali Franklin Delano Roosevelt, infrangendo la regola non scritta stabilita da George Washington e in seguito, post WW2, resa esplicita da un emendamento costituzionale, etc...) e le recenti Costituzione e Codice Penale che prevedono “ancora” il reato di “verità” (provare a tacer in grande di gulag e in piccolo di foibe e comunisti gappisti delle Brigate Garibaldi vs liberal-socialisti-cattolici delle Brigate Osoppo) da modificare, e finché l'economia (riduzione mortalità infantile e analfabetismo, aumento della popolazione e dell'istruzione, ridistribuzione interna dei profitti provenienti dalla vendita delle materie prime all'Occidente / Primo Mondo e lavorazione in situ e trasformazione in loco delle stesse) regge...
"Gli africani erano oggetto dell'antropologia, non soggetto. La subivano e non la esercitavano."
Frank Westerman - “StikVallei” - 2013 (“l'Enigma del Lago Rosso”, IperBorea, 2015)
Twa… Hineni, hineni... Tutsi, Hutu... Essere Umano... Tutu, Hutsi…
“Non farò la turista con la mia storia.”
* * * * ¼ - 8 ½
Dedico questa pagina a Thomas Sankara, Graham Greene e John le Carré.
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