1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie
Celtic Tiger, Darkness Rising.
“Dublin Murders” non ha vergogna di spingere sul pedale dell'assurdo, non ha remore verso il lasciarsi avvolgere dall'impossibilità di ricostruire la realtà, non ha paura di accettare il mistero. Rischia, e vince su (quasi: la facile/sterile simbologia artiodattila d'innocente e causante casualità colposa) tutta la linea.
- “Sono state lanciate serie accuse per frode immobiliare e corruzione.”
- “C'è sempre chi si oppone al progresso.”
- “A cosa serve un'autostrada che non va da nessuna parte?”
- “Sviluppo rurale. Costruiamo un futuro moderno e avveniristico per il Paese.”
- “Hm... Non c'entrano i privati che comprano la terra con i soldi dei contribuenti...”
Il Restituito immemore e la Bipolare estrospettente.
Metà anni ‘00. Mentre la Tigre Celtica ruggisce per la seconda volta lanciandosi come una scimmia urlatrice dalle gru edilizie dei centri direzionali a quelle delle city life e lasciandosi dondolare ghignante e pasciuta dai carroponti degli snodi ferroviari e degli scali (aero)portuali mostrando il culo a quei cromisti oomiceti degl’infestant’inglesi e la faccia feroce al resto del mondo prima di miagolare nel buio del cielo stellato europeo facendo gnaulanti tenere fusa di assestamento i true detective Rob Reilly aka Adam Reilly alias Killian Scott e Cassie Maddox aka Lexie Mangan alias Sarah Green incrociano le proprie storie narrate nei primi due romanzi della serie poliziesca (con screziature noir-fantasy) “Dublin Murder Squad” di Tana French.
Mystic River (due differenti “prescelti”), e un piccolo villaggio in cima a una collina.
“Quello che vi consiglio di ricordare è che sono un detective. Il nostro rapporto con la verità è fondamentale ma incrinato, sprigiona riflessi confusi come vetro in frantumi. La verità è l’essenza delle nostre carriere, il finale di partita di ogni nostra mossa e la perseguiamo con strategie diligentemente costruite con bugie, dissimulazioni e ogni possibile declinazione dell’inganno. È la donna più desiderabile al mondo e noi gli amanti più gelosi, che ne negano per reazione a chiunque altro anche il minimo barlume. La tradiamo abitualmente, trascorriamo ore e giorni in un torpore di menzogne e poi torniamo a lei brandendo l’ultimo nastro di Möbius dell’amante: l’ho fatto solo perché ti amo alla follia.” - Tana French, In the Woods
I primi due episodi, diretti da Saul Dibb, quasi completamente incentrati sul 1° romanzo, “In the Woods”, sono un bellissimo thriller-poliziesco del genere più classico e codificato, che introducono i personaggi con tratti precisi e al contempo bellamente incompleti, mentre i successivi due, diretti da John Hayes, portano alla luce prima un'eterogenea aura - anzi: tutt’un arcobaleno di grigi, seppia e ombre colorate - di perturbante (tanto sul lato fantasy - con la fine del 3° che mette in luce, in primo piano, ed esplicita, l'immagine simbolo simboleggiante il contenuto del 2° romanzo, “the LikeNess” -, quanto su quello psicologico).
Qualcosa che hai sempre avuto autopticamente sotto agli occhi, sin dall'inizio.
“La nostra società si fonda sullo scontento: le persone vogliono di più, di più, sempre di più, perché sono sempre scontente delle loro case, dei loro corpi, dell'arredamento, dei vestiti, di tutto. Credono che la sostanza della vita sia proprio questo scontento perenne. Se invece uno è appagato di quello che ha - soprattutto se quello che ha non è neanche così spettacolare - allora diviene pericoloso. Perché rompe le regole, minaccia la sacra economia, mette in discussione le fondamenta sulle quali si regge la società.” - Tana French, the LikeNess
I penultimi due episodi, diretti da Rebecca Gatward, introducono il set principale in cui si svolge “LikeNess”, la magione degli universitari, le pecorelle smarrite capeggiate dal ricco figlio di papà, e si attestano su quella Hill House of Usher senza riuscire (a parte un paio di uscite notturne della protagonista atte a scambiare informazioni col suo “tutor” e che una volta si sono trasformate in un incontro inaspettato) a raggiungere i livelli qualitativi del resto della narrazione, mentre i successivi ed ultimi due, nuovamente diretti da John Hayes, tirano le fila in modo egregio, ritornando a “In the Woods” e raggiungendo vari climax (su tutti, a parte la confessione con incorporata rivelazione, la fuga, al rallentatore, che si rivela essere un inseguimento...).
Scritta per BBC/Starz da Sarah Phelps (da Charles Dickens, Agatha Christie & J.K. Rowling al prossimo “the Pale Horse” con Kaya Scodelario) qui al suo consacrante salto di qualità, “Dublin Murders” vive anche e soprattutto di uno splendido cast: ai già citati ed ottimi Killian Scott (“Love/Hate”, “Jack Taylor”, “Calvary”, “'71”, “Damnation”) e Sarah Green (“the Guard”, “Noble”, “Penny Dreadful”, “Rebellion”, “Ransom”, “Rosie”, “Normal People”) si aggiungono i caratteristi portanti Conlet “Varys” Hill (il sovrintendente O'Kelly) e Tom Vaughan-Lawlor (il detective Mackey, No.1 Dad), e a cascata Moe Dunford (det. O'Neill), Eugene O'Hare (det. Quigley), Peter McDonald (Mr. Devlin), Kathy Monahan (Mrs. Devlin), Leah McNamara (Miss Devlin), Amy Macken (Jessica e Katy Devlin), Carolyn Bracken (Sandra Scullen da adulta) e Alexandra Moen (l'insegnante di danza).
Children, in Time.
“Questi alberi centenari sono giovani rispetto alle pietre d'altare sulle quali sono cresciuti ricoprendole.”
La sorte di due ragazzini rimane dispersa e inconosciuta tra le ramificazioni del tempo, le ceneri di un doppelgänger ricevono sepoltura ma non un'origine e una provenienza.
“Mi piace questa parte. Sai, quando senti il loro odore nelle narici. Quando la caccia è aperta. Mi va il cuore a mille.”
Pretending to Be a Human Being.
“Le loro vite, lente e soffocanti. […] Nessun orgoglio, nessuna gioia, niente da desiderare e niente di cui essere entusiasti. Nessuno da amare e nessuno che li ami. Ora guardano avanti e vedono: nulla. Ora sanno cosa significa essere me.”
I Sommersi e i Salvati: i Restanti, i Rimasti, i Sopravvissuti.
“Riteniamo sempre che il fortunato sia chi la fa franca, la scampa, sopravvive. Devono avere qualcuno che veglia su di loro, sono benedetti. Eppure non dovremmo pensarla così... Stronzate sentimentali... Non è roba per noi, bastardi stanchi e sfiniti, ma lo facciamo. E se qualcuno insiste ad aggrapparsi ancora alla vita, uno sfarfallio scintillante di pulsazioni, pensiamo: fortunato, beato lui, vegliato dall'alto. E se i fortunati fossero quelli che vengono ammazzati? I più brillanti, i più preziosi, i più vivi sono coloro che vengono prescelti. E il resto di noi non è affatto fortunato, né benedetto, né sorvegliato da un angelo amorevole e gentile. Quelli che rimangono, che vengono risparmiati, sono solo troppo lenti, troppo stupidi, troppo pigri, troppo noiosi. Gli déi non li vogliono. Sono lacerti, rigaglie. Sono scarti. Siamo tutti rifiuti.”
* * * * ¼ (½)
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