1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie
Filone narrativo a tre piste che presenta cadute di sceneggiatura che non rendono giustizia alla qualità complessiva del prodotto, molto alta. Sollima si conferma attentissimo all'essenzialità delle location, della scenografia, dei movimenti di camera. Gli interpreti asciugano al limite estremo l'espressività.
Amare Sollima significa anzitutto amare il suo stile, la sua capacità di muovere la camera, le sue scelte di location - e come le location interagiscono con i suoi personaggi - il casting rigoroso. Tutto ciò viene rispettato in Zerozerozero, ma la serie ha delle cadute, diciamo pure dei buchi, di sceneggiatura che in alcuni casi compromettono la completa adesione dello spettatore al racconto.
In Zerozeroezero tre filoni narrativi fanno da sfondo al viaggio di 5.000 kili di cocaina dal Messico alla Calabria ma il meccanismo narrativo funziona solo ad intermittenza. Ci sono errori di sceneggiatura e vuoti alquanto grossolani nella credibilità dell'impianto complessivo.
Senza spoilerare nulla, i tre filoni sono rappresentati dall'ambientazione messicana, da quella calabrese e dal nucleo familiare dei Lynwood (padre, figlio, figlia) che sono gli spedizionieri navali incaricati del trasporto. Ciascuno di questi tre nuclei narrativi si alterna a blocchi nella narrazione complessiva, alternando nel montaggio i tre scenari di riferimento.
Dirò subito che quello che funziona meglio è sicuramente il filone calabrese, dove la mattanza dei sentimenti è speculare a quella fisica. Il percorso narrativo è sicuro, senza cedimenti, perfettamente logico e credibile. Vi si alternano istanze internazionali, di potere ancestrale e contadino e di legami familiari intorbiditi da faide eternamente vendicative. La fotografia è aspra come i sentimenti forti che vengono narrati, gli scenari sono brulli, deprivati all'essenziale. Le scenografie d'interni perfettamente coerenti con il divenire dei personaggi, sempre a metà strada tra un retaggio secolare e la modernità.
Negli altri due filoni, il trattamento non è altrettanto brillante. In quello degli spedizionieri navali Lynwood non si comprende per quale motivo al figlio Chris sia stata assegnata una malattia degenerativa progressiva che lo porterà alla morte. Ai fini della narrazione complessiva è un particolare non solo irrilevante ma anche del tutto trascurabile nell'impianto generale. Che incidenza ha la malattia di Chris sul racconto? Alla fine, nessuna. E allora perché assegnarla come tratto distintivo del personaggio? E' una scelta di sceneggiatura debole, quasi irritante, di sicuro insignificante e superflua. Il personaggio di Gabriel Byrne, che prometteva elementi di riflessione generale molto più interessanti e vividi, viene fatto scomparire troppo presto. Con lui scompare un angolo di visuale originale, riflessioni non banali e non edulcorate sul traffico internazionale di stupefacenti.
Nel filone messicano, la scelta misticheggiante del protagonista è bizzarra senza essere credibile, non ne approfondisce la caratura, lo fa soltanto più confuso senza renderlo pluridimensionale. In quel caso, dove la sceneggiatuira avrebbe dovuto tratteggiarlo con l'accetta, senza troppe sfumature, si sceglie invece una strada ibrida che lo indebolisce fin quasi a renderlo fastidioso in alcuni momenti. Lo script è ipocrita.
La narrazione presenta due buchi grossolani. La prima è sul capitano della nave impersonato da Tcheky Karyo, che compare e scompare senza essere perseguito, senza diventare oggetto di vendetta. La seconda è nel percorso terrestre del carico di droga, dove alcune scelte narrative sono francamente ridicole e poco credibili (l'ISIS che lascia andare senza colpo ferire 5.000 kili di cocaina? ma andiamo...). Un percorso terrestre su ruote attraverso mezzo continente africano che si svolge senza scorte armate? Significa trascurare l'intelligenza e il livello d'informazione di chi guarda.
Gli interpreti sono complessivamente non solo bravi ma anche rispettivamente funzionali ai propri personaggi. La mia preferita è Andrea Riseborough in Emma Lynwood, cui è stato dato un look originale cui corrisponde un'interpretazione senza alcun eccesso espressivo. Molto in parte anche Adriano Chiaramida nel vecchio Don Minu.
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