2 stagioni - 20 episodi vedi scheda serie
“Another Life” conferma, con questa seconda stagione conclusiva, di essere un’altra solita serie di Soft-SF: una gradevole occasone (dis)persa.
Dopo aver presentato nel 2019 la prima stagione di “Another Life” con le parole “Se possedete un cervello, e magari è il vostro e non (di) A.B.Normal, spegnetelo. Se non ce l'avete: enjoy!” ed essermi chiesto, sempre in quella pagina, se Aaron Martin e soci sarebbero riusciti a fallire meglio con la seconda, eccoci qua arrivati, alla seconda. E la risposta è: sì. Hanno fallito, ancora. Ma, per l’appunto: meglio.
La seconda (e ultima: punto esclamativo, non di domanda) stagione di “Another Life” (originale Netflix rilasciato a metà ottobre 2021 in tout le monde) vive, ancor più della prima, se possibile, di concetti non di Hard-SF (che ci sono, ma a livello di “L’ho letto su Focus”, nel senso della rivista, come ad esempio la teoria delle stringhe/brane, considerata forzata da Richard Feynman, rigettata da Lee Smolin e definita una crasi tra un fenomeno di moda e un atto di fede da Roger Penrose, e qui “piegata” a creare wormhole), ma di Speculative-SF [“Sphere” di Michael Crichton è “espressamente” citato “alla rovescia”: un gruppo di persone che ha vissuto una pericolosa avventura è rinchiuso in una stanza e (decide di cancellarsi-) scopre che gli è stata cancellata una piccola e specifica parte della memoria] anche interessanti, ma immersi in una collosa e pervasiva melassa di (volendo essere buoni) ingenuità (in)volontariamente (in)consapevoli [oltre alle implausibilità (cmq. più Star Trek che Star Wars) scientifiche, sulle quali, dopo un po’, la Sospensione dell’Incredulità interviene drasticamente per sopraggiunto sfinimento e resa dello spettatore, quelle legate alla recitazione (chi più chi meno), alla messa in scena (per dire/chiarire: siamo lontani anni luce da “BattleStar Galactica”), ai modelli comportamentali (azioni e reazioni) dei personaggi, etc…] percussivamente affastellate una dopo l’altra e le une sulle altre (ci sono un paio di episodi in cui succede, letteralmente, di tutto: dal Primo Contatto al Significato dell’Universo passando per la Morte e la Resurrezione), fino a e ben oltre il rigetto.
Katee Sackhoff (le cui brevi sequenze pre-finali nelle quali è posseduta dagli Achaia sono talmente azzardate e “coraggiose”, recitativamente, da fare il giro e risultare financo belle e ben riuscite) offre per la seconda volta un “retro full frontal”, insomma un full back/rear, da urlo. Chudono il cast, tra i protagonisti, Justin Chatwin a volte molto bravo altre volte molto meno ed Elizabeth Faith Ludlow, che invece è brava e bella, bella e brava, alternativamente, sempre.
Ho scoperto che la locuzione “alla deriva” in inglese - la cui traduzione letterale è “(a)drift” - si può metaforizzare con “dead in the water”.
“Another Life” conferma, con questa seconda stagione conclusiva, di essere un’altra solita serie di Soft-SF: una gradevole occasone (dis)persa.
* * ¾ (***) - 5.75 (6)
[E un pensiero per Selma Blair (StoryTelling, HellBoy, Dark Horse, Anger Managment, Mom and Dad), lanciato a sineddoche per il mondo, in lotta con la sclerosi multipla (chemioterapia + autotrapianto di cellule staminali), e non presente per ovvie ragioni in questa stagione, per la serie: “Ecco come si porta il bastone.”]
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