1 stagioni - 10 episodi vedi scheda serie
Ripropongo qui la recensione apparsa a pochi giorni dalla messa in onda di questa serie.
Da pochi giorni è disponibile, in esclusiva per gli abbonati di Amazon Prime Video, la serie Too Old to Die Young (Troppo vecchi per morire giovani), firmata dal controverso Nicolas Winding Refn, regista amatissimo dai suoi cultori che non finiranno mai d’incantarsi dinanzi alle sue opere suggestivamente stilizzate e oniricamente ipnotiche, odiato invece a morte e preso a sberle da quegli altrettanto numerosi detrattori che non smetteranno invece facilmente di contestare il suo cinematografico “modus filmandi” da art film boriosamente eccentrici, eccessivamente forse irrigiditi in quei suoi immancabili topos ripetuti sin allo sfinimento, pellicola dopo pellicola, così spesso tanto marcatamente, volutamente manieristici da rasentare la formale perfezione più fastidiosamente parossistica.
Ancora una volta, con questo Too Old to Die Young, Refn estasierà i suoi aficionado e invece scontenterà e oserei dire annichilirà puntualmente coloro che, pur non amandolo, in cuor loro hanno sempre nutrito la speranza che Refn potesse aggiustare il tiro, contenere le sue pittoriche stramberie da paesaggista cupamente neorealistico, limando la sua ridondanza visiva, invero assai dispersiva, allineandola a una maggiore compattezza filmica più sobria e meno astrusa.
No, Too Old to Die Young, per vanitosa affermazione di Refn stesso, non è una vera e propria serie televisiva, è il suo Twin Peaks - Il ritorno. Parimenti all’appena citato capodopera lynchiano che, invero, più che un sequel de I segreti di Twin Peaks, è stato un film fiume sterminatamente personalissimo, Too Old to Die Young è un’opera totalmente sperimentale in cui Refn, sfruttando all’ennesima potenza le nuove, rivoluzionarie frontiere dello streaming, ha riversato tutto sé stesso, senza risparmiarsi affatto. Proiettando in quest’anomala, abnorme, disperatissima storia di detection da noir sui generis glaciale, ammantato d’una tetraggine impressionantemente raccapricciante, tutta la sua anima, giusta o sbagliata, insostenibile o lodevolissima che sia, dipende dai punti di vista, da metteur en scène ombelicale, psichedelico e caleidoscopico, rivestendo e curando ogni singolo frame, studiato dettagliatamente in maniera precisissima, all’interno dell’ottica del suo sguardo tridimensionale, avanguardistico e avveniristico. Come se quest’oggetto strano fosse un trompe-l’œil nel quale, avvalendosi della superba fotografia iridescente, coloratissima del cinematographer Darius Khondji (Seven, La nona porta), coadiuvato in soli tre episodi da Diego Garcia, a metà strada fra sature pigmentazioni cromaticamente vicine a Vittorio Storaro (non a caso, Storaro è subentrato come direttore della fotografia di Woody Allen dopo la dipartita di Khondji stesso, autore delle immagini di Midnight in Paris, Magic in the Moonlight e Irrational Man) e le atmosferiche luci caldamente elettrizzanti e al neon proprio del miglior David Fincher, Nicolas Winding Refn, senza sprezzo del pericolo, sia davvero riuscito a realizzare un’opera probabilmente, sì, piena di difetti, lentissima, plastificata e soporifera, ma anche indubbiamente assai seducente. A livello figurativo e non.
Chiariamoci, Too Old to Die Young, scritto dallo stesso Refn assieme a Ed Brubaker (Westworld), ha una trama ridotta all’osso nonostante l’intreccio molto artificioso e contorto. Malgrado la lunghezza alquanto robusta di ogni singolo episodio dei dieci totali.
Sì, perché a prescindere dalla miriade di personaggi fra cui spiccano le presenze sexy di Jena Malone nei panni di Diana e di Nell Tiger Free/Janey, di Augusto Aguilera as Jesus, di John Hawkes/Viggo, di Cristina Rodlo/Yaritza e di un redivivo, terrificante William Baldwin, Too Old to Die Young verte ed è scolpito pressoché unicamente sulla discesa negli abissi del poliziotto Martin Jones, incarnato dal fotogenico, atletico ma robotico Miles Teller, qui volutamente impegnato in una performance stolida e semi-autistica con la sua faccia inespressivamente languida da indecifrabile sfinge, così come lo fu quella di Ryan Gosling in Drive.
E, al di là degli esasperanti, infiniti svolazzi pindarici del suo scatenato regista, Too Old to Die Young per tutta la sua spesso insostenibile durata mantiene l’identica cadenzata andatura en souplesse e narcotizzante del suo incipit ove Refn, attraverso una morbidissima carrellata a tratti sfocata, immersa in una notte nerissima, lugubre e mortifera, rischiarata da luminescenze abbacinanti, si compiace illimitatamente nel proporci a dismisura la sua visione cinematografica e filosofica della vita e forse dell’arte.
In Too Old to Die Young i personaggi interagiscono fra loro in dialoghi folli da Samuel Beckett, concedendosi delle assurde pause fra un botta e risposta più spaziententi delle celeberrime pause di Adriano Celentano.
Too Old to Die Young non è una serie televisiva, non è Cinema, è altro o forse il nulla cosmico.
Sarà il tempo a dirci se abbiamo assistito a un capolavoro o a una bufala spropositata.
Quel che è tangibile e al contempo inquietantemente impalpabile è che Refn, a dispetto delle sue esagerate velleità, ha sfornato qualcosa di terribilmente ammaliante.
Too Old to Die Young immortala e scarnifica un mondo ove gli uomini e le donne, non solo appartenenti al criminale sottobosco, sono esseri cinici, disumani, repellenti e corrotti sin al midollo. E conversano fra loro come se stessero usando una messaggeria virtuale, si guardano negli occhi come se fossero in un collegamento ipertestuale telepaticamente alienato persino da sé stessi.
Too Old to Die Young è il ritratto spaventoso e orrido della nostra umanità abominevole da zombi, di un nostro mondo vicinissimo all’ecatombe psichica, emozionale e non.
di Stefano Falotico
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