3 stagioni - 33 episodi vedi scheda serie
Scrivo queste note su Shtisel dopo aver visto le prime due stagioni. Non mi imbarco nell'impresa di recensire l'opera globalmente, mi limito a fare una lista di osservazioni. Forse alla fine ne uscirà una qualche visione di insieme.
Shtisel non è una serie sulla vita in una comunità ortodossa di Gerusalemme: è una serie ambientata in una famiglia di ebrei ortodossi. Guardare questa serie come ad un documento sulla vita di uomini e donne che vivono in una comunità religiosa strettamente osservante è fare un torto agli autori e perdere una grande occasione. Shtisel parla di persone, uomini e donne, con un respiro universale nel tempo e nello spazio. Le passioni che agitano i protagonisti sono le stesse che occupano il cuore e la mente di uomini a tutte le latitudini: la serie avrebbe potuto essere ambientata nel Far West o nell'Italia del tredicesimo secolo e la sua universalità non ne avrebbe in alcun modo sofferto. Qualcuno ha detto che Shtisel è come Shakespeare e io sono del tutto d'accordo: si parla di morte, fantasmi, famiglia, rapporto padre-figlio, vincoli sociali, amore, religione, ma in un formato assoluto per cui la specifica trasposizione geografica e storica è ininfluente.
Shtisel è il contrario dell'Italia di oggi, valori e comportamenti sono opposti all'Italia in cui siamo immersi. Faccio una lista che potete allungare a piacere. Famiglie molto numerose, usanze religiose profondamente sentite e non formali, lo studio come primissimo valore, il contatto fisico quasi assente, cibo come motivo di convivialità e mai con valore in sè (se non in modo caricaturale come per Shulem). Soprattutto, in Shtisel i protagonisti sono sempre e solo coinvolti nei grandi problemi della vita: è come se l'assenza di pioggia di informazioni che vengono dagli strumenti di comunicazione più moderni permettesse di focalizzare solo le domande intorno alle quali vale la pena di dedicarsi. In questo senso l'ambientazione ebraico ultra-ortodossa è funzionale ma, ripeto, non necessaria.
La sceneggiatura di Shtisel è straordinaria, ma diventa realtà visiva grazie ad un cast notevolissimo. Sopra tutti le interpreti femminili. Difficile dimenticare la caparbietà di Giti, la passione adolescenziale e la sete di amore assoluto di Ruchama, difficile dimenticare la grazia con cui Elisheva scosta una ciocca di capelli dalla fronte.
Uno degli stratagemmi narrativi più efficaci della serie è il rapporto con i cari defunti. I morti appaiono nella vita quotidiana mentre la vita quotidiana si svolge, partecipando e dando il loro contributo alla intepretazione con naturalezza, senza generare nè paura nè disperazione e senza mai parlare della loro condizione. Elisheva parla con entrambi i mariti attorno al tavolo della cucina, la moglie di Shulem lo conforta spesso, senza mai giudicarlo nè ammonirlo. La nonna muore quando è il momento e lo fa dove vuole. Una visione straordinariamente laica della morte che non stride con l'ambientazione profondamente religiosa che, ripeto, è di collocazione storico-geografica, non sostanziale.
Tutti i personaggi di Shtisel sono accomunati dallo stesso denominatore: hanno una forte passione, un amore, un dono artistico, che devono conciliare con una situazione reale fatta di vincoli, usanze, doveri e promesse. Di nuovo, l'ambientazione religiosa è funzionale: Akiva ha un talento per la pittura, suo fratello Lipa ama il canto e potrebbe diventare un artista, Shulem si affeziona al cane. Poi gli esiti di queste contraddizioni sono diversi, vuoi per scelta, vuoi per caso, vuoi perchè i personaggi stessi sono combattuti. Shulem caccia Akiva di casa due volte e due volte lui torna dal padre senza grandi patemi, Giti è assoluta nel contrastare il matrimonio di Rucahma, ma è ancora più risoluta nel cambiare idea. La potenza di questa serie è di trasporre questi eventi di vita quotidiana (ma non banali!) su un livello universale grazie all'asciuttezza del linguaggio e l'efficacia degli attori.
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