4 stagioni - 32 episodi vedi scheda serie
Una serie televisiva che parla di sesso e corpo adolescenziale, senza troppi giri di parole, con tutti gli annessi del caso, ovvero turbe, fantasie, esperimenti, perversioni, paure, gioie e dolori, avrebbe dovuto essere diversa. Molto diversa.
Ilaria Feole, su FilmTv 09/2019 cita John Hughes e la commedia sporcacciona e pruriginosa americana da Porky’s (Bob Clark, 1981) ad American Pie (Paul Weitz, 1999), con giusta ragione: dopotutto, se pensiamo al mondo scolastico delle high school, il paesino di provincia, il ballo di fine anno, la rivalità atleti/nerd, i primi riferimenti tematici che vengono in mente sono quelli, anche se cambiando geografia cinematografica potremmo scoprire prodotti più interessanti nonostante non siano imparentati con la cultura anglosassone. La Feole, però, chiosa il suo commento con testuali parole: «Sex Education contiene tanto, tantissimo sesso: sgraziato e concitato, poco patinato […] messo in scena con tutta la cura del caso (sul set una “coordinatrice dell’intimità” per aiutare i giovani attori nelle scene esplicite)». Francamente io ho visto tutta un’altra serie, tutto un altro show, tutta un’altra messa in scena e iconografia.
Innanzitutto, la figura della “coordinatrice dell’intimità” fa ridere, ma chiudiamola qui. Siamo seri: l’unico pene che si vede, o meglio, che si intravede, ridicolamente nascosto dai soliti giochini di sovrapposizione che vanno bene e fanno ridere in Austin Powers (Jay Roach, 1997) è in realtà un pene di plastica, una protesi; le varie copule e masturbazioni sparse lungo l’arco degli otto episodi non mostrano nulla, sembrano copiate e incollate da un normalissimo film per famiglie, corredate da un certo umorismo che edulcora l’ignobile atto sessuale – e siamo anche qui nei dintorni della pruderia castrante anglosassone checché se ne dica – e iconograficamente non sono funzionali alla tematica di base. Qualche paio di tette – anche notevoli – e qualche chiappa maschile di sguincio giusto per metterci un po’ di pepe e poi il nulla totale. Ilaria Feole ha visto Love (Gaspar Noé, 2015) o Mentiras y gordas (Albacete/Menkes, 2009) o Chroniques sexuelles d'une famille d'aujourd'hui (Arnold/Barr, 2012) e molti altri titoli? Capisco le differenze del caso, ma se l’obiettivo è la narrazione del corpo adolescente bisognerebbe saper spingersi oltre. Ecco perché fa ridere la presenza della “coordinatrice dell’intimità”… cosa mai doveva coordinare se non si vede nulla?
Sex Education infatti sbaglia là dove hanno sempre sbagliato le serie e i film castrati che citava la Feole. Ha il pregio, e va detto, di affrontare realmente alcuni dei disagi sessuali degli adolescenti che non si accorgono purtroppo di non essere ancora in grado di fare sesso e che forse dovrebbero conoscere meglio il loro corpo, giocare e sperimentare, e solo in un secondo tempo, diventati uomini e donne, dedicarsi al vero sesso. È attestato da studi medici che gli adolescenti fanno sesso, forse tanto – non si sa, l‘unica cosa che si sa è che le sparano grosse – ma sicuramente male, con l’aggravante che sono molto sconsiderati e rischiano gravidanze non cercate e malattie a trasmissione sessuale, oltre all’aggravante, per me molto importante, di arrivare a 20/25 anni già stanchi, già stufi, già annoiati come canterebbe Patty Pravo: «che uomo sei / a vent’anni sei già stanco / ecco perché, con te non mi diverto più».
Sicuramente il messaggio antibullismo e antiomofobo, la ricerca di se stessi attraverso il piacere sessuale e attraverso la propria identità sessuale, lo scontro intergenerazionale, l’aborto, l’uso delle droghe, e cosi via, sono temi e questioni che la serie tratta di petto e con intelligenza. Purtroppo non basta. Il messaggio generale, l’idea finale di mondo adolescente che ne esce è irrisolto. Ovviamente siamo in un’età in cui è d’obbligo essere irrisolti, ma il pericolo di “educare” i più giovani a vedere la sessualità come una polarizzazione ideale tra problematicità ed edonismo è riduttivo. Il sesso è totalizzante, è un piacere fisico e animale che non ha nulla a che vedere con l’amore, i valori virginali o le dimensioni del pene – avere il pene grosso, si sa, è una sfiga. Oggi i più giovani vedono nel sesso o lo spauracchio di malattie, gravidanze, delusioni, impreparazioni, sfottò e bullismi, oppure l’emblema della propria virilità per i maschi, o della propria arte seduttiva per le ragazze, il territorio di confronto edonistico per cui il sesso è solo un modo per ascendere ai vertici del branco grazie alla divulgazione via social delle proprie conquiste o via sexting delle proprie performance – patologia dovuta alla dipendenza dalle nuove tecnologie che annullano la distanza tra reale e finzione, e convincono un normalissimo ragazzo inizialmente di cercare compulsivamente la copula o la fellatio per poterla successivamente postare come uno sfigato influencer, o youtuber, o gamer o altri aborti social. I nuovi, inquietanti, punti di riferimento dei più giovani, trapper compresi, stanno trasformando il sesso in una pura e sola questione estetica e bidimensionale, se non addirittura come una semplice fonte di denaro. Problematicità o edonismo. Tutto qui. Il sesso invece è tutta un’altra cosa, e Sex Education, benché sproni verso una visione più leggera e spensierata delle problematicità legate alla sessualità, non riesce a neanche a intravedere questa “altra cosa”, non sa raccontarla né ha il coraggio di mostrarla.
Finale velo pietoso sull’irritante interpretazione dell’alleniano e schizzato Asa Butterfield, e invece complimenti per il scespiriano Connor Swindells e per Kedar Williams-Sterling, caratteri rubati allo stereotipo e dotati di pieghe psicologiche interessanti.
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