6 stagioni - 63 episodi vedi scheda serie
La storia è sempre la stessa. Più gli attori sono giovani più hanno quella genuinità e freschezza del gesto attoriale, delle pose, della modulazione vocale che gli conferisce credibilità e fascino. A differenza per esempio degli USA, la cui industria cinematografica moderna nasce per gli adolescenti – da Roger Corman in avanti – e sopravvive grazie al mondo teen (Bordwell, Thompson, 1998: 454-456), l’Italia storicamente è un paese abbastanza avaro di giovani talenti. Pochi i film a loro strettamente dedicati, rispetto per esempio alla cinematografia spagnola, e pochi anche i ruoli interessanti, il più delle volte comprimari stereotipati di protagonisti adulti. Questo ovviamente riduce le possibilità per i giovani attori e attrici italiane di farsi notare, ma soprattutto di imparare sul campo.
Nel tempo ci sono state anche serie tv, o meglio “telefilm” come Classe di Ferro (Bruno Corbucci, 1989-1991), Chiara e gli altri (Barzini/Lanzotti, 1989-1991), College (Castellano/Moccia, 1990), Quelli della speciale (Bruno Corbucci, 1992) e più recentemente I liceali (Pietro Valsecchi, 2008-2011) e Fuoriclasse (Starnone/Starnone, 2011-2015) che hanno raccontato le vite degli adolescenti di oggi con fattura molto discutibile, senza riuscire ad avvicinarsi per potenza visiva, racconto e tematiche alle produzioni europee e americane più interessanti. Cosa che invece succede con Skam Italia (2018).
La regia di Ludovico Bessegato segue lo stile e le forme della serie originale, che sono dopotutto alla base del successo internazionale. La presa diretta e il taglio naturalistico per fotografare la vita quotidiana dei personaggi – nonostante il pudore con cui vengono castrate le scene più spinte – sono scelte autoriali innovative nel nostro panorama seriale, così come le tematiche, affrontate di petto e senza filtri per non cadere nel paternale. Grazie alle centinaia di interviste fatte ai sedicenni di molti licei romani, gli autori hanno potuto carpire problemi, ossessioni e dettagli interessanti della narrazione adolescenziale contemporanea. Ecco, i dettagli per esempio, quelle piccole sfumature di realtà pura e semplice che possono trasfigurare in qualcosa di gigantesco e incomprensibile che a sedici anni si traduce in un romantico e disperato titanismo, sono tra i fiori all’occhiello della regia di Bessegato. Captare anche i modi, i gesti, il linguaggio, i riferimenti culturali e politici, penso siano stati uguale prerogativa del regista e della co-sceneggiatrice, Anita Rivaroli. Questa strategia si è rivelata, come per la serie originale, la formula del segreto. Gli adolescenti di oggi, i millennials, la cosiddetta Generazione Y o Net Generation, che segue la Generazione X – la mia, l’ultima analogica, quella di un’identità sociale non definita – si riconoscono in questa serie perché per la prima volta il loro mondo – che è poi ancora e sempre il nostro, dato che possono cambiare le tecnologie ma la biologia e la fisiologia dell’adolescenza restano tali e quali, comprese le crisi esistenziali ed identitarie – viene messo in scena né in commedia macchiettistica né in tragedia generazionale dal linguaggio ipermelodrammatico.
Nei vari episodi dell’originale, che conta quattro stagioni, si parla di temi non solo attualissimi, ma universalmente riconosciuti come temi chiave dell’esistenza umana quando questa comincia a prendere una sua peculiare definizione per il soggetto pensante, ovvero a partire dall’adolescenza. Le difficoltà relazionali, l’identità sessuale, l’identità religiosa, i disturbi alimentari, sono tra i più canonici tra i temi trattati nei teen drama di tutto il mondo, liminali e a volte indistinguibili dai temi young adult o del mondo adulto.
L’alta rilevanza sociale della serie, e per serie si deve ormai intendere sia l’originale che ogni suo remake, quasi come se Skam fosse un’entità viva, pulsante, camaleontica e soprattutto ubiqua, è il trattamento spudorato e intelligente, diretto e provocatorio di temi meno appetibili per i soliti film adolescenziali, ma che da Tredici (Brian Yorkey, 2017) in avanti, compreso Riverdale (Roberto Aguirre-Sacasa, 2017) e l’antesignana Veronica Mars (Rob Thomas, 2004-2007), stanno fortunatamente attuando come nuovi dispositivi narrativi dei teen drama. Trattasi di cyberbullismo, islamofobia, omofobia, femminismo, ma anche solitudine, isolamento e marginalizzazione, relazioni personali tossiche e dipendenti, compulsioni e ossessioni autodistruttive, l’uso sconsiderato di droghe, alcol e social media, una sessualità sì attiva, ma non consapevole, autolesionismo, machismo, abusi sessuali e violenze di genere.
I bei tempi degli amici amanti dell’epica greca (Cabani, 1995), del “matrimonio tra maschi” nella wilderness americana, archetipo teorizzato da Leslie Fiedler (1963: 237) analizzando L’ultimo dei Mohicani (John Fenimore Cooper, 1926), o dell’amicizia virile di Huckleberry Finn (Mark Twain, 1884) e di numerosi western a venire, non sono certo finiti, e non finiranno mai, perché sono parte essenziale della fisiologia adolescente e umana tutta. Solo vanno integrando nuovi aspetti che prima non avevano cittadinanza nella “letteratura per ragazzi”, anch’essa oggi contenitore di nuove tematiche, attuali e private dell’inibitorio status di tabù, quasi desacralizzate. Aspetti forse sempre esistiti, ma mai dibattuti o rappresentati nelle forme del racconto.
L’aspetto innovativo della serie, a parte il taglio naturalistico con cui gli episodi sono fotografati e raccontati, sta nella forma distributiva. Ogni giorno sulle piattaforme di distribuzione vengono pubblicate delle clip che successivamente vengono assemblate per dare vita all’episodio settimanale. Mentre in rete, attraverso vari social, gli attori/personaggi pubblicanopost, video o stories in tempo reale. Questa simbiosi con i social media dà così vita a una narrazione interattiva attraverso la quale i protagonisti della serie, compresi quelli italiani e degli altri remake, hanno il loro proprio profilo Facebook e Instagram dove pubblicano in tempo reale, attualizzano e commentano. Un progetto audiovisivo preciso e calcolato che prevede una struttura narrativa non lineare che diventa comunicazione virale decretando il successo della serie, del fenomeno in sé e anche la grande attesa per le stagioni successive. Curioso anche il gioco di confrontare le varie versioni di Skam per tentare di identificare un’intera generazione.
Quindi, passando per la forma estetica e per la modalità di fruizione, per le tematiche trattate e la genuinità degli attori protagonisti, si può ben dire che Skam Italia sia a tutt’oggi il più alto e colto prodotto seriale del nostro paese.
Il rischio di portare sullo schermo degli adolescenti finti, idealizzati o stereotipati, che scimmiottano i cliché degli adolescenti reali, era un rischio molto probabile considerati i lavori precedenti. Il lavoro di ricerca sul campo e sul tema, invece, ha evitato questa trappola e ha apportato alla serie, già in fase di pre-produzione, non solo gli argomenti concreti da trattare e come trattarli, ma anche un cast degno di un prodotto così alto.
Rendere reale, vero e riconoscibile il mondo dei sedicenni di oggi, come di ieri o di domani, è difficile se non si hanno nel proprio arco le frecce giuste. Qui, al servizio di Bessegato c’è innanzitutto Ludovico Tersigni che dal suo esordio non ha mai deluso. È uno dei più talentuosi attori italiani di oggi, il cui personaggio, pur lontano anni luce dall’inetto e già iconico protagonista di Slam – Tutto per una ragazza (Andrea Molaioli, 2017), è ugualmente incisivo e spiazzante nel suo particolare approccio al personaggio. Grazie alla sua istintiva fisicità Tersigni ha la capacità di modulare le caratteristiche tipologiche fondamentali dei suoi personaggi, senza scadere nella macchietta o nel puro imitativo. Possiede una vera e propria maschera evocativa, la cui versatilità è da applausi, e che unita ad una modulazione vocale matura e controllata completano un corpo attoriale unico. Al suo fianco c’è Ludovica Marino è l’attrice rivelazione della serie, una ragazza, Eva, acqua e sapone e dal gran fascino rustico che vive un momento travagliato della sua adolescenza. Attrice abile in scena quanto nella modulazione vocale, sulla quale insisto molto perché da sempre tasto dolente della scuola italiana, regolarmente teatrale se non addirittura declamatoria. Il terzetto protagonista – perché di tale si tratta – è completato da Federico Cesari, attore davvero gradevole e dotato pure di una buona verve comica che ha infatti il ruolo dell’amico simpatico e rompiscatole, l’archetipale buffone che arriva al momento sbagliato – o forse no – che non ne fa mai una giusta – o forse no – e che come candido ingenuo non sa mai quando chiudere la bocca – o forse no. Un personaggio a tutto tondo, quindi, nonostante il carattere basico della caratterizzazione, giocato sulla plasticità del volto e della voluta maldestra presenza scenica. Interessante quindi vederne l’evoluzione misteriosa ed ambigua lungo l’arco dei vari episodi.
Il resto degli attori, tra secondari e marginali, conta ugualmente su attrici e attori in ottima forma e soprattutto sempre in parte come Benedetta Gargari, di felina bellezza, che all’interno del sistema dei personaggi ricopre un ruolo ambiguo, notturno, umbratile. Beatrice Bruschi, che da vita a Sana, ragazza di padre musulmano e madre pescarese che veste con abiti tradizionali e per questo non è ben vista a scuola. Martina Lelio e Greta Ragusa, le due ragazze che danno vita al gruppo di queste nerds marginalizzate dalla scuola. Giancarlo Commare e Luca Grispini infine, danno vita ai due “farabutti” della serie proprio grazie alla bellezza e alla presenza scenica che li distingue dagli altri attori e che quindi, diegeticamente, li trasforma negli oggetti di desiderio di ogni ragazza della scuola.
Dalla regia agli attori, dal testo alla forma distributiva, Skam Italia è una serie di successo senza dover essere necessariamente commerciale, bassa e generalista. Tutt’altro.
La seconda stagione conferma il successo della precedente. Ascolti triplicati e trending topic su Twitter (Di Lorenzo, 2018), Skam Italia 2 segue la formula dell’originale che, oltre il taglio naturalistico delle immagini, si distingue per soffermarsi, di stagione in stagione, su un personaggio diverso. Mentre la prima stagione era appannaggio di Eva/Ludovica Marino e del rapporto tormentoso con Giovanni/Ludovico Tersigni – come succede in Skam España (Andem/Álvarez/Ayerra, 2018) ma senza la stessa efficacia – la seconda stagione si concentra su Martino/Federico Cesari.
È proprio il suo personaggio, durante la stagione precedente, a chiudere in cliffhanger l’ultimo episodio e aprendo quindi le porte al plot successivo. Martino, che avevamo lasciato nell’ambiguità di un’identità omosessuale, inizia a provare emozioni particolari per un nuovo ragazzo arrivato a scuola, tale Niccolò Fares. Il ragazzo, presentato fin da subito come il classico bello e maledetto, con una personalità sì creativa, ma anche problematica, è interpretato da Rocco Fasano, un giovane attore potentino che oltre alla recitazione ha coltivato la musica, diplomandosi presso il Conservatorio Gesualdo da Venosa, e lo sport, come nuoto e kung fu. La fisicità in effetti è la caratteristica che prevale nel suo personaggio energico, dinamico, vivace, persuasivo, determinato e risoluto. Una copia totalmente contraria a quella del Martino di Federico Cesari che nella seconda stagione si incupisce e immalinconisce portando il famoso “dolore di vivere” in superficie, trasfigurandolo nel volto, nei gesti, nella recitazione sottrattiva, sconfessando il personaggio brioso e brillante della stagione precedente. Un lavoro sul personaggio molto maturo e di notevole talento, che mi ha ricordato il giovane Elio Germano – per altro, proprio nel terzo episodio della seconda stagione, viene realmente accostato all’attore romano dai suoi amici.
La storia d’amore tra i due ragazzi, materia già di per sé poco raccontata nella serialità televisiva e nel cinema italiano, non è modulata su facili stereotipi e rapide svolte narrative. La bravura di Bessegato sta anche nel saper personalizzare il format norvegese di successo e adottare un’estetica propria con cui rappresentare, secondo il suo sguardo e, perché no?, il suo “tocco”, i temi principali. Nonostante i molti non-detti, tra cui l’assenza di nudità benché il tema lo richiedesse secondo la mia personale idea di rappresentazione e utilizzo del corpo attoriale (Fradegradi, 2018a), Bessegato sa dare forma, una forma viva, naturalistica e al tempo stesso evocativa, alla storia. La poetica si fa estetica e il contenuto si fa discorso. La messa in scena è tale che il pubblico si immerge nelle storie, nelle strade, nelle aule e nelle camere dei suoi personaggi. I giochi di luce, il montaggio, la fotografia ricercata e a volte antinaturalistica, come nella scena del primo bacio tra Martino e Niccolò in piscina di notte o nella casa dei due designer durante la fuga a Milano, agiscono come eccezioni visive, trasgressioni dello sguardo naturalistico per celebrare e iconizzare una scena, un volto, un sentimento.
In questa seconda stagione, intorno ai due protagonisti e alla loro storia, ruotano soprattutto gli amici di Martino, mentre le ragazze, molto più presenti nella stagione precedente, sono più marginali non incidendo sulla narrazione e non contribuendo allo sviluppo dei propri personaggi, a parte Sana che instaurerà con Martino un rapporto di amichevole sfida. Mentre invece, regolarmente presenti e influenti sulla trama ci sono Giovanni, a cui Tersigni conferisce sempre una freschezza e genuinità disarmanti, Elia, interpretato da Francesco Centorame e poco utilizzato nella prima stagione, e Luca, interpretato da Nicholas Zerbini, probabilmente, il miglior acquisto della stagione. Tutti e tre gli amici di Martino utilizzano le loro sfumature e i loro cliché per lasciar emergere il tormento interiore dell’amico innamorato, ogni giorno sempre più cupo e molesto. Se Giovanni è maturo e riflessivo, forse anche lui con un universo emozionale articolato, Elia è lo spaccone del gruppo, abbastanza rancoroso e utilitaristico, l’adolescente medio italiano che passa più tempo a pensare alla scopata epica che a concretizzare davvero qualcosa, mentre Luca è il fool, del quartetto, sostituendo di fatto il Martino della prima stagione. Zerbini irrompe nella serie come una piacevole sorpresa, dando al proprio corpo attoriale un tratto comico davvero efficace. Se al personaggio di Giovanni spetterebbe una stagione a lui dedicata, non si può fare a meno di rilevare come Centorame e Zerbini siano ormai fondamentai per la riuscita delle prossime stagioni.
I dieci episodi in cui è articolata la seconda stagione non lasciano un attimo di tregua allo spettatore attento perché il prodotto instaura un rapporto di complicità tale per cui la riconoscibilità delle emozioni vissute e delle storie raccontate risponde all’orizzonte d’attesa sia del pubblico più giovane come più adulto. I più giovani ritroveranno la loro attualità e il loro mondo rappresentati con efficacia, mentre i più adulti, sottoscritto compreso, rivivranno emozioni già vissute, rivedranno storie già viste, oppure si crogioleranno nel dubbio di come sarebbe potuta andare. Sicuramente, per ogni tipo di pubblico sarà piacevole la visione anche da un puro punto di vista cinematografico. La recitazione, la regia e gli accorgimenti tecnici, come già ampiamente detto, sono di ottima fattura.
Basterebbero solo alcune scene esemplari per sottolineare questa distanza estetica con la serialità e il cinema, per esempio, di Andrea De Sica (I figli della notte, 2016; Baby, 2018), per restare in tema di cinema di e per i giovani. Pensiamo all’alchimia tra i personaggi maschili, Tersigni, Centorame e Zerbini e al gusto slapstick delle loro gag. I loro dialoghi, come quelli degli altri personaggi, non sono mai banali, bensì incisivi ed efficaci anche quando non veicolano informazioni fondamentali per l’avanzamento dell’azione. Assistiamo a una “coreografia del testo” in cui predomina il ritmo, incalzante e armonioso dei turni di parola, che evidenzia non solo un ottimo lavoro di gruppo, ma conferma la naturalezza degli attori nella recitazione, superando il limite tipico italiano della recitazione ad azione minima (Vicentini, 2007: 22). L’intero cast di Skam Italia 1 & 2, utilizza lo spazio e gli oggetti di scena in modo totale e continuo.
Non solo: pensiamo alla scena in cui Martino svela la sua omosessualità a Giovanni. La reazione dell’amico è un ottimo esempio, innanzitutto di testo e regia, ma anche di recitazione mimetica. Tersigni, con piccoli scarti recitativi, comunica una serie di emozioni tra loro contrastanti, ma vere, sentite e pure coinvolgenti per il pubblico proprio attraverso l’utilizzo che l’attore fa dello spazio – il salotto e il divano su cui sono seduti – degli oggetti – la console della play station che ha in mano e il televisore dove è in azione il videogioco – e del suo corpo – gli sguardi, i movimenti impercettibili, gli scarti. Segnale tra l’altro, di continuità narrativa con la prima stagione e di una focalizzazione fortemente voluta della coppia Giovanni/Martino come personaggi tra i più emblematici della serie. Almeno nel reparto maschile.
La serie diretta de Bessegato può quindi ritenersi soddisfatta di aver contribuito al miglioramento del linguaggio televisivo e cinematografico italiano attraverso tecnica e contenuti. La “bella generazione” (Fradegradi, 2018b) passa anche da Skam Italia, permettendoci di conoscere attori e attrici di disarmante bravura e competenza, di un’abilità scenica rara, capaci di trasmettere, in una serie dalla forte intenzione immersiva, emozioni e sensazioni precise e di evocare altrieri dossiani con la loro recitazione sincera.
La quinta stagione di SKAM Italia è probabilmente il primo episodio in narrazione di devirilizzazione della figura maschile attraverso i genitali. Il tema centrale della quinta stagione, una delle migliori insieme alla prima e alla seconda, è il disagio che avverte il personaggio di Elia, interpretato da Francesco Centorame, a causa del micropene. Si chiama ipoplasia peniena e la soffre lo 0,6% della popolazione maschile. Una patologia tanto rara quanto drammatica per le ricadute psicologiche e sociali di chi la soffre.
Lungo l’arco della storia dell’uomo il pene, e quindi la rappresentazione della virilità, è stato trattato in modo differente e percepito di volta in volta in modo diverso in base alla cultura dell’epoca. Per esempio nel mondo classico il pene piccolo era considerato armonico e bello, mentre quello grosso volgare e brutto: e dal cristianesimo, confessione che mortifica il corpo e demonizza l’atto sessuale, è arrivata la censura iconografica e ideologica delle pudenda, condannando per estensione concettuale la nudità e tutta la sfera del sessuale. Oggi è nota, invece, l’idea associativa tra dimensioni e mascolinità.
Il tabù per antonomasia, ancor più della morte, è il membro maschile la cui immagine ancora fatica ad essere del tutto sdoganata in quanto perturbante per definizione. Nonostante dagli anni 2000 in avanti si siano moltiplicati i nudi maschili frontali al cinema come nella serialità televisiva, non siamo ancora arrivati ad una normalizzazione della nudità maschile. Questo tabù è alla base di ogni turba psicologica di cui soffrono gli uomini in relazione all’altro sesso e in relazione a se stessi. Come dice il dottor Emmanuele Jannini, medico sessuologo, a Repubblica il 15 settembre 2022: “Le dimensioni diventano, soprattutto, il termine di confronto fra uomini. Il problema psicologico, infatti, è proprio questo: il pene è importante non tanto per una questione di competizione intergenere, ovvero nei confronti della donna, quanto nella competizione intragenere, fra uomini che condividono situazioni di nudità collettiva, come negli spogliatoi in palestra”.
Da qui è rapido il passo verso le problematiche tutte al maschile che la società contemporanea continua a non vedere, dal machismo al patriarcato, dalla mascolinità tossica al femminicidio, passando anche, pur cambiando di segno, per le imperfezioni estetiche e per le ben più serie patologie fisiche, compresa l’ipoplasia peniena, vista come l’incubo peggiore perché demascolinizza definitivamente il maschio.
Il body shaming, di cui sono vittime soprattutto donne e ragazze, può colpire anche l’uomo, il ragazzo, e la scelta tematica dell’equipe di sceneggiatori di SKAM Italia non poteva essere più felice ed azzeccata. Infatti questa quinta stagione è la prima a soggetto originale. Il tema è forte, pruriginoso, colpisce il ventre molle del Paese Italia e del suo immaginario maschilista, sbriciolando con tatto registico e scrittura di classe tutta l’insana impalcatura ideologica di quella che giustamente si chiama mascolinità tossica.
E infatti, la quinta stagione di SKAM Italia è anche molto politica, in senso stretto, e ahinoi pure preveggente nella sovrapposizione delle elezioni studentesche con le elezioni politiche del 2022. Un parallelo, devirilizzazione e neofascismo, che non può non ricordarci l’ideologia fascista sul maschio italiano, la deportazione degli omosessuali durante il ventennio fascista e l’opera di Carlo Emilio Gadda Eros e Priapo concepito tra 1941 e 1945, ma pubblicato solo nel 1967. La vittoria dei “fasci” alle elezioni studentesche viene comunque sconfitta narrativamente, ovvero annichilita, nascosta, eliminata dall’orizzonte narrativo, proprio dalla vittoria di Elia nell’accettazione del proprio problema. Un finale politico.
Se questa quinta stagione è tra le migliori della serie è anche grazie all’attore che dà vita ad Elia ovvero Francesco Centorame. Per il potenziale dell’attore e del personaggio, evidenti fin dalla prima stagione, si sarebbe dovuto sviluppare maggiormente e fin da subito il personaggio stesso – esattamente com’è successo con Ludovico Tersigni, ottimo attore e faro dell’intero gruppo di giovani talenti, il cui personaggio dopo la prima stagione cede troppo spazio agli altri personaggi, nonostante questa sia proprio la linea artistica del progetto. La profondità di sguardo e i non detti che si animano sul suo viso, fanno di Centorame un attore intenso e naturale nel gesto attorico.
Molti sono i momenti toccanti della quinta stagione. Grazie alla naturalezza con cui i giovani attori interagiscono tra loro e danno vita ai rispettivi personaggi e grazie anche allo sguardo registico, sempre neorealista, ma dai guizzi antinaturalistici, impressionisti, come è dopotutto la percezione del mondo a quell’età, e ovviamente grazie alla scrittura di Bessegato, pulita, sicura, solida, SKAM Italia conquista il suo terzo primato. Al suo esordio è giustamente considerato il primo teen drama italiano degno di esserlo, con plauso di pubblico e critica. È la prima delle varie versioni nazionali a continuare la serie senza più seguire i binari dell’originale norvegese (Julie Andem, 2015-2017) – e non va dimenticato che è considerata la versione migliore tra le tante nate dopo il successo dell’originale. Infine è la prima serie che utilizza come motore narrativo, problematizzandolo, un tema scomodo e impopolare come le dimensioni del pene, il fallo, lo scettro del potere maschile.
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