3 stagioni - 38 episodi vedi scheda serie
“The Orville” non è in alcun modo una farsa ma una consapevole rivisitazione che esprime la prevalenza del comico. Nella vita.
C'è una mosca zampettante sul petto insanguinato di Alara Kitan, la giovane Xelayan (una razza ch'è una versione addolcita dei Klingon), capo della sicurezza della Orville, stesa per terra gravemente ferita da una raffica di proiettili che l'hanno scaraventata rotolandola sull'erba verde di un dolce declivio nel mondo cavo di Doral a guardare l'ultimo cielo azzurro della sua vita.
E le compli-cose tecno-illogiche, là fuori nel nero nulla di niente nei pressi dello zero assoluto dello spazio siderale, fanno Sguiiisch-sguiiisch, e fanno Vrouuum-vroummm!, e fanno Pssiiuuw-pssiiuuw!, quando si spostano rispetto a un centro di gravità apparente/locale grazie a motori a curvatura, a spinta quantica, a getti di gas o a battito d'ali.
Superato lo scoglio cosmico del pilot (girato dal modesto Jon Favreau nell'autunno del '16) che scrive nell'acciaio dello scafo dell'astronave con le sue faraglioniche guglie di roccia plasmata dalle onde di risacca delle correnti gravitazionali intergalattiche la parola sufficienza a imperitura memoria (perdite: qualche spettatore lanciato, eiettato, catapultato nell'oscuro freddo vuoto disperso per sempre, anche se sul totale una grossa percentuale è rientrata dai portelli d'emergenza degli episodi successivi lasciati semi-aperti e pulsanti luci di segnalazione per un comodo rientro ed aggancio; guadagni: qualche spettatore mainstream che, con un po' di fortuna, verrà educato al piacere della speculative science fiction...sui generis) facendola così entrare nello stretto giro delle superpotenze spaziali che contano (HBO, AMC, ShowTime, Hulu, NetFlix, Amazon, BBC, e, in questo caso, la più scrausa, tapina e derelitta fra tutte, la FOX), la Orville è pronta (primavera '17) ad affrontare altre 11 avventure [la 13a è già stata girata, ma verrà utilizzata come 1° ep. della della seconda stagione già rinnovata in corso d'opera: ed infatti come final season l'ep. 12 è un pochino fiacco (aspetto formale e significante che in alcuni finali degli episodi precedenti compare più volte, specialmente nel 10°, “FireStorm”, col suo under-statement / anti-climax sfruttando/omaggiando una caratteristica classica di Star Trek: il ritorno alla normalità dopo un periodo di crisi attraverso un crescendo/calando, grazie alle musiche, che accompagnano lo spettatore in surplace dal dubbio alla certezza, dal perturbante alla quiete), anche se mai quanto lo è stato il pilot di questa 1a].
Tra la Kelvin TimeLine di JJ & C., la USS Callister di Charlie Brooker (“Black Mirror” 4.1) e “Star Trek: Discovery”, forse questo “the Orville” di Seth MacFarlane -[“Family Guy”, “American Dad”, “the Cleveland Show”, “Ted” 1/2, “a Million Ways to Die in the West”, e co-produttore, col trekkiano d.o.c. Brannon Braga - che in questa serie ricopre un ruolo fondamentale tra sceneggiatura e regia, dirigendo 4 ep. ("About a Girl", "InTo the Fold", "FireStorm" e "Mad Idolatry") e scrivendone mezzo -, di “Cosmos: a Space-Time Odyssey”]- è il prodotto che rispetta in pieno lo spirito di Gene Roddenberry e della serie classica (televisiva e cinematografica) del media franchise “Star Trek”: e questo è un ottimo limite a cui sottostare (sotto alcuni aspetti, ma sotto altri no), sul quale lavorare e da “dover provare a superare” (non solo con la pura comicità).
“There's a little coffee shop on Lafayette Street in SoHo called Central Perk. My friends are there. Just, please, don't hurt the monkey.”
Ok, così adesso sappiamo che nel XXV° secolo (2418 a.C.) i cofanetti di “Friends” saranno ancora in circolazione.
Così come Emerson, Lake e Palmer (e Young)...
- “If the stars should appear one night in a thousand years, how would men believe and adore and preserve for many generations the remembrance of the City of God?”
- “Is that Shakespeare?”
- “Emerson.”
- “William Byron Emerson, yes, yes.”
- “Ralph Waldo.”
- “Ralph Waldo. Lord Ralph Waldo Keats David Thoreau, yes.”
“Un leader che ammiro. Affronta le crisi a sangue freddo, ispira grandezza nella sua gente. Lui è…hhh...”
Immagine simbolo e meme perpetuo: Alara (Halston Sage) che corre mulinando le braccia nei corridoi della Orville.
Adrianne Palicki. Perché si, per forza.
La serie ideata, creata, showrunnerizzata, co-prodotta, co-interpetata e co-diretta da Seth MacFarlan (che si costruisce la propria USS Callister su misura per fare il bello e cattivo tempo sul set, da vero Re dei Nerd) dell'universo di “Star Trek” ne rispecchia pregi (lo “spirito” illuminista, laico ed epicureicamente scientifico) e difetti:
- la panspermia e/o l'evoluzione parallela e in(ter)dipendente di molteplici specie antropomorfe/umanoidi (e, ad esempio, in correlazione, la relativa ambiguità sulla presenza/assenza di traduttori simultanei universali e/o la compresenza impossibile di una lingua parlata universale, nello specifico l'inglese ammeregano) presenti nella galassia: teorie spiegate, confutate e risolte già in “Star Trek: the Next Generation”, stag. 6, ep. 20, “the Chase” (soggetto del Ronald D. Moore di “BattleStar Galactica”, il quale, tra l'altro, ha svezzato - così come ha fatto, con le debite proporzioni, David Chase con Mattew Weiner in “the Sopranos” - Brannon Braga in tNG), in cui rinviene alla luce la figura del Progenitore Comune (argomento trattato, parzialmente, anche nell'ep. 9 di “the Orville”, “Cupid's Dagger” (diretto da Jamie Babbit), oltre che ingrediente dei film della saga prequel di "Alien": "Prometheus" e "Covenant"), e qui affrontate col blackmirroriano (l'uno vale uno pentastellato portato agli estremi della democrazia diretta, senza deleghe, e quindi "paradossalmente" ultra-totalitaria, veicolata dai like/dislake dei social/digital media) ep. 7, “Majority Rule” (diretto da Tucker Gates), che, da questo PdV, riesce a sfruttare al meglio questo difetto di illogicità scientifica, presentandoci una società/nazione di una civiltà aliena del tutto simile alla specie Homo s. sapiens [senza sfruttare dunque i viaggi nel tempo di “Star Trek IV: the Voyage Home”, ma attestandosi più sul concetto sviluppato da Iain M. Banks nel suo ciclo d romanzi della Cultura, una Storia “Futura” (“Una scienza sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”, A.C.Clarke) in realtà coeva - per un breve tratto, il nostro - alla nostra] ch'è la copia carbone di quella che da qui a poco potrebbe essere una distopia avverantesi in Nord America, in Europa, in cina, etc…
- le onde sonore che, da un PdV terzo ed esterno, si propagano nel vuoto (ma nel corso degli episodi questa accomodante prerogativa mainstream-blockbuster-hollywoodiana tende “coraggiosamente” quasi a svanire, o per lo meno ad assottigliarsi molto, e ci sono intere piccole riprese della Orville viaggiante/fluttuante nel buio completo del silenzio assoluto)…
- ep. 5, “Pria”: la distruzione del wormhole stabile e la “conseguente” scomparsa della viaggiatrice / contrabbandiere ovviamente è un'implausibilità in stile Back to the Future im-perdonabile).
Inoltre ed invece (e a proposito) è ottima e “coraggiosa” la deviazione dalla Linea SpazioTemporale “originale” (le virgolette sono d'obbligo in quanto “the Orville” nient'e nulla (ehm) c'entra con Star Trek, essendone una fan fiction coi dollari) riguardante il fatto che il teletrasporto sarà inventato/scoperto solo nel futuro (ep. 5, “Pria”, diretto da Jonathan Frakes, con MacFarlane che 3 anni dopo Old Stump ci riprova con Charlize Theron, e come non capirlo...) e/o grazie ad una razza aliena umanoide (ep. 12, “Mad Idolatry”).
Momenti di lucido cinismo realista da fare invidia alla miglior serialità della Golden Age:
- il finale dell'ep. 3, “About a Girl”: non spoilero nulla, ma non sfigurerebbe in un episodio di “Mad Men”, “BoardWalk Empire”, “the Sopranos”, “Oz”, “DeadWood”, “Breaking Bad / Better Call Saul”, “Fargo”…
- ep. 6, “Krill”, diretto da Jon Cassar e scritto da David A. Goodman: venuto in possesso in battaglia di un vascello da combattimento Krill (razza assimilabile ai romulani) il capitano Mercer organizza una spedizione per infiltrarsi in una nave madre dei nemici di sempre camuffandosi olograficamente per microfotografare e carpire i segreti del loro libro sacro bibbiacoranico [il timoniere Malloy (Scott Grimes) al suo comandante: “Non fa parte della missione, Ed! Noi siamo venuti qui per fare letteralmente delle fotocopie!”]. E bla bla bla e pata pim e pata pam si giunge alla fine con la maestra-soldato krill sopravvissuta che rimprovera al capitano l'azione di guerra, che le risponde:
- “Il tuo equipaggio stava per uccidere 100.000 persone indifese, che cosa diamine avrei dovuto fare?”
- “Perché hai salvato i bambini?”
- “Sono bambini! Hanno tutta la vita davanti, non sono nostri nemici.”
- “Dopo quello che ti hanno visto fare oggi, lo saranno. Lo saranno presto.”
Cameo e special guest: oltre alla già citata Charlize Theron: Rob Lowe azzurrino in versione citrato di sildenafil che eiacula dalle sopracciglia, Liam Neeson, Jeffrey Tambor, Robert Picardo (Star Trek: Voyager), etc…
Entrambi scritti da Seth MacFarlane, vale la pena soffermarsi su altri due tasselli di "the Orville".
Il 2° ep., "Command Performance", diretto da R.D.McNeill, sfrutta un topos/must della Sf, lo "Zoo Alieno", in cui ad essere rinchiusi nelle gabbie non sono gli animali ma le specie senzienti dell'universo, tra cui quella umana [due esempi tra i tanti, il mit(opoiet)ico "the Cage", ovvero il pilot/n.0 di "Star Trek" (mai regolarmente trasmesso, e che sarà poi fagocitato per intero in un doppio ep. della 1a stag., con una minima e sostanziale variazione sul finale, "the Menagerie"), e il 17° ep. della 7a stag. di "Futurama": "Fry and Leela's Big Fling"].
L'ep. 4, “If the Stars Should Appear” (diretto da James L. Conway), è un tanto palese ed evidente quanto rispettoso e sentito omaggio al Robert A. Heinlein di “Orfani del Cielo” (“Universe” + “Common Sense”), del 1941 (i discendenti dei superstiti dell'equipaggio e dei passeggeri originari di un'astronave multi-generazionale che a seguito di un guasto o di un incidente semi-catastrofico perdono memoria di sé e delle loro origini arrivando a considerare il mondo cavo come l'universo tutto).
“The Orville” non è in alcun modo una farsa ma una consapevole rivisitazione che esprime la prevalenza del comico. Nella vita.
* * * ¼ (½)
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