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Feud

2 stagioni - 16 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 1

  • 2017-2017
  • 8 episodi

L'autore

supadany

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La recensione su Feud

di supadany
8 stelle

Feud stagione uno, che potrebbe essere facilmente sottotitolata La guerra delle dive che stanno perdendo tutto – Dentro e fuori lo schermo.

Ryan Murphy non è certo un autore che va per il sottile, ma allo stesso tempo ha la dote speciale di creare palcoscenici dal grande appeal, panorami televisivi che prestano la visuale al cinema, delle galline dalle uova d’oro (mentre quando ha provato la strada del grande schermo con Mangia prega ama è retrocesso al giurassico della forma).

Per questo suo nuovo – ed ennesimo – esordio antologico, che prevede in ogni stagione una grande rivalità (al prossimo giro, sarà il turno del rapporto tra il Principe Carlo e Lady Diana), non risparmia nulla. Affonda le fauci nella rigogliosa e capitalistica industria di Hollywood dei primi anni sessanta con la figura di Jack L. Warner (Stanley Tucci), sfarina il gossip che cerca ardentemente il sangue tramite quello squalo di Hedda Hopper (Tilda Swinton), crea e uccide i sogni (anche) attraverso la figura dell’aiutante alla regia Pauline Jameson (Alison Wright), fa a pezzi icone assolute senza rinunciare al lato umano, che evolve conformemente alla vita stessa conducendo dalle stelle alle stalle, alimenta la fame di un tempo lontano, senza fermarsi alla citazione (cui comunque ricorre, sfogando tutto il ricettario possibile), mostrando spesso e volentieri angoli nascosti che, veri o falsi che siano, sono carburante della curiosità, con la morbosità destinata a mutare in altro, seguendo il percorso di due divinità: Joan Crawford e Bette Davis.

Hollywood, agli inizi degli anni sessanta. Joan Crawford (Jessica Lange) è da tempo fuori dal giro ed è disposta a tutto pur di rilanciarsi. Trova il soggetto giusto e insegue tenacemente chi può essere della partita. Con Robert Aldrich (Alfred Molina) alla regia, Jack L. Warner (Stanley Tucci) alla produzione e Bette Davis (Susan Sarandon) come coprotagonista, può materializzare il suo sogno.

Inutile dire che il rapporto tra le due star un po’ attempate sarà da montagne russe, tanto più che c’è chi intuisce quanto la loro rivalità non possa che giovare all’autenticità del film.

Il risultato finale è il cult Che fine ha fatto Baby Jane?, un successo a sorpresa, un protagonista annunciato per la successiva serata degli Oscar. Peccato che tra le candidate ci sia Bette Davis ma non Joan Crawford, scatenando il rancore dell’estromessa.

Il presente, così come il futuro, le vedrà nuovamente sulla stessa traiettoria: quella del cinema che vorrebbe ripetere se stesso all’infinito (Piano… piano dolce Carlotta), ma anche quelle teoricamente separate, per quanto contigue, della vita privata, piena di disgrazie.

 

Jessica Lange, Susan Sarandon

Feud (2017): Jessica Lange, Susan Sarandon

 

La prima stagione di Feud affonda i tentacoli nell’industria di Hollywood, laddove livore ed egocentrismo demarcano la griglia d’azione più di ogni altra cosa e i sogni sono spesso destinati a rimanere tali. Pur guardando al passato, siamo di fronte a tutto fuorché a un’immagine da cartolina, quanto a un affresco che non ha certo intenzione di enucleare fedelmente i fatti, pur dettagliando all’occorrenza, quanto semmai di riportare in auge un universo di comportamenti che, nella loro generalità arrivista, non sono certo campati per aria.

Un cinema nel cinema sul cinema, che parte da uno stile affilato, chiarificato a partire dalla magnifica composizione dei titoli di testa, in pieno stile hitchcockiano, con colori accesi e angoli di ripresa esasperati, in piena sintonia con la vanità che fagocita ogni cosa, produttore seriale di reazioni a catena, che pare divertirsi a calpestare le persone per poi accompagnarle quando hanno dato quanto dovevano, non rimanendo altro che decantarne gli ultimi passi, quegli anni in cui i riflettori su di loro sono andati spegnendosi.

La narrazione è talmente piena da esondare, senza prevedere alcun episodio di puro raccordo, in un tragitto che tiene da conto dei passi precedenti, pur guardando sempre in avanti. Non è questione di cliffhanger, quanto di rigenerarsi, una puntata dopo l’altra.

Il culmine è raggiunto con il quinto episodio – non per niente nominato agli Emmy – con la vetrina degli Oscar, con tanto di spasmodica rincorsa al dietro le quinte (una ripresa unica che toglie il fiato), una rievocazione di volti – ce ne sono a decine - che è pura lussuria (ri)creativa, ma poi ogni pagina ha i suoi cardini.

La voglia di rinascita del primo episodio, l’acredine che si mescola all’amicizia nel secondo e nel terzo, il sogno di Pauline che s’infrange al cospetto del sistema nel quarto, la realtà degli oscar nel quinto, il dopo sbornia che riporta sulla terra nel sesto, un nuovo set che non può che non esacerbare l’astio del passato nel settimo e poi la decadenza, quella solitudine che accompagna gli ultimi passi nell’ottavo e conclusivo step.

Un’inarrestabile movimento orizzontale impreziosito da un cast degno delle grandi occasioni: Susan Sarandon e Jessica Lange rasentano la perfezione, Stanley Tucci sguazza nella caricatura sovraccaricata, Alfred Molina crea ordine e rappresenta con precisione un dedalo di virtù e difetti, Jackie Hoffman è tanto rigorosa quanto rassicurante, infine Tilda Swinton regala l’ennesima e colorita trasformazione totalizzante della sua carriera.

 

Alfred Molina, Stanley Tucci

Feud (2017): Alfred Molina, Stanley Tucci

   

Un’abbondanza di materiale – umano, narrativo e tecnico - che fa della prima stagione di Feud uno show onnicomprensivo, uno spaccato sul divismo a 360°, tra la necessità del guadagno, i sogni di gloria e un futuro sempre incerto, riproponendo a vario titolo decine di volti noti (da sottolineare l’incursione di John Waters che omaggia William Castle… semplicemente essendo John Waters). Una missione espletata senza peli sulla lingua, mostrando anche quanto usualmente rimane fuori dal cono dell’audience: l’impossibilità di accettare il tempo che passa, il (tuo) mondo che cambia forma, la solitudine del crepuscolo, i sacrifici che si portano nella tomba, quel lato oscuro che c’era, c’è e ci sarà, il successo che non basta mai, che non contempla il tempo del godimento, perché il pensiero fisso è subito orientato al suo mantenimento. Sopra e sotto, dietro e di lato, quel bisogno di sentirsi sempre al centro dell’universo. E anche quando ci sei, ancora non basta.

Un cuore a pezzi, che prima stringe un patto di poliedrica partecipazione con il pubblico e alla fine lacrima, condividendo ogni cosa, senza omettere niente: il discernimento rimane onere degli eruditi, mentre discettare a tutto campo, è il piatto forte della casa.

«Ce l’ha fatta, percorrendo la strada più difficile». Epitaffio di Bette Davis.

Ryan Murphy ha scelto la più facile, ma con risultati fiammeggianti. 

 

Susan Sarandon

Feud (2017): Susan Sarandon

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