3 stagioni - 30 episodi vedi scheda serie
"This place can make you a little crazy."
Se “Rhapsody” non può essere rinnovata con innesti dalla HollyWood classica come vorrebbe Sandy Devereaux St. Clair (ladies and gentlemen: Geena Davis, in gran rentrée), la direttrice del Fan-Tan Hotel & Casinò, ma deve sopportare l'irruzione delle ragazze con le BMX, allora si può passare dall'apprendistato con l'August Strindberg della “Signorina Julie” al “True West” di Sam Shepard messo in scena con due protagoniste femminili, mentre lo shuttle Challenger disegna un bianco scorpione nel cielo cobalto di un terso mattino invernale floridense (il relativamente recente ritorno rispolverante agli eightees - introdotti dal parziale meltdown dell'incidente di Three Miles Island e chiusi in anticipo, e con essi il secolo breve, dal crollo del Muro di Berlino e della Cortina di Ferro - non può prescindere da quel momento condiviso in diretta televisiva internazionale: e chissà se e come verrà affrontato o accennato nella quarta stagione di “Stranger Things”) e Menahem Golan, padrone dei b-movie di serie A degli anni '80, gira action film in Spagna.
Da rimarcare la “parentesi” hollywoodiana - che viene subito dopo quella della gita fuori porta al Red Rock Canyon nel deserto del Mojave (ma sono entrambi tutt'altro che episodi riempitivo (filler), anzi, invece, meglio: sì, riempiono la serie, la costituiscono a tutti gli effetti) - con Sam Sylvia (Marc Maron, monumentale) e figlia (Britt Baron) novella sceneggiatrice agli Studios della Tri-Star Pictures, diretta dalla stessa Alison Brie in cabina di regìa (le altre sono a cura Claire Scanlon, Mark A. Burley, Jesse Peretz, Anya Adams, Lynn Shelton e del grande Phil Abraham, che dirige il penultimo con un finale da Golden Age delle serie tv in David Chase / Matthew Weiner / David Simon / Terence Winter style) mettendo in scena lo script di Victor Quinaz (gli altri sono di Sascha Rothchild, Rachel Shukert, Isaac Oliver, Marquita J. Robinson e ovviamente degli stessi creatori e showrunner Liz Flahive & Carly Mensch: come per la stagione precedente, Jenji Kohan - “Weeds”, “Orange Is the New Black” - qui si limita al ruolo di produttore esecutivo).
Un plauso, oltre ai già menzionati Alison Brie e Marc Maron, a Betty Gilpin [che bullizza alla tonysoprano/dondraper tanto hostess quanto magnati delle terre rare (Toby Huss, d'altri contemporanei anni '80, quelli di “Halt and Catch Fire”) con la stessa sciolta destrezza], Gayle Rankin [che infine, causa assenza forzata della collega Ruth, al posto del dialogo tratto dal “True West” di Sam Shepard porta sul palco dello spettacolo di beneficenza in favore dei malati di AIDS il monologo autobiografico di Julie (contenuto all'interno del dialogo con Jean) presente nel 6°, ultimo e più lungo segmento a metà della strindberghiana signorinescamente omonima tragedia in atto unico], Kate Nash, Britney Young, Kia Stevens, Sydelle Noel, Jackie Tohn, Sunita Mani, Shakira Barrera, Chris Lowell... E la miglior new entry: Kevin "Barbra/Liza" Cahoon.
E uno a Bruce Gilbert, come al solito, che ci regala la playlist: Press Play!
Joy Division - “Disorder” (due dita in gola e via, Debbie)
Siouxsie & the Banshees - “Cities in dust” (jump cut di 150 rappresentazioni, vale a dire di circa 6 mesi, di GLOW a Las Vegas)
Kate Bush - “Running Up That Hill (A Deal With God)”
Astenersi fan di “Community” (quelli di “Mad Men” potrebbero farcela) e cucciolosi innamorati di Alison Brie (rischio mortale):
Zoya the Destroya versione Betty Gilpin (impossibile astenersi):
“We have a plan and a dream for the show.” - Liz Flahive & Carly Mensch
Altre 3, 5, 10 di queste stagioni!
Stagione Uno (2017)
Stagione Due (2018)
Stagione Tre (2019): * * * * (¼)
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