3 stagioni - 30 episodi vedi scheda serie
“Creepy, but i like it!” --- Questa notte, signore e signori: Zoya the Destroya Vs Liberty Bell! E un'apparizione speciale di Welfare Queen!
Los Angeles, 1985. Ruth Wilder {Alison Brie [“Mad Men” (ebbene si: GLOW, the Gorgeous Ladies of Wrestling, è: ''Trudy Campbell che sbrocca!''), “Community”, “BoJack HorseMan”, “the Disaster Artist”], bravissima, e piena di "graziosi" lividi violacei "da set"}, un'attrice off-hollywood spiantata ma molto...ehm...combattiva, che sta...ehm...lottando - ok, basta metafore - per trovare una parte decente, o anche solo una parte, partecipa ad un provino: la sigla al neon sulle note di “the Warrior” degli Scandal termina sfumando, lei è già mezza voltata verso la videocamera montata su cavalletto manovrata dall'assistente dell'agente/direttrice del casting (Amy Farrington), seduta lì a fianco ad assistere all'audizione: finisce di compiere il movimento ruotando col corpo di 180°, piano fisso, frontale, a mezzo busto americano, posizionata in parziale controluce stagliata di fronte a delle grandi vetrate, sullo sfondo dell'orizzonte le assolate colline californiane, motore, ciak, azione! “I am the warrior. In this world there are good guys and there are bad guys. And we are the good guys. You see that name on my door? It's my father's name, son of a bitch. But this isn't about him. This is about justice. This is about holding on to what's ours. This is about my company and my name. And I will not be bullied into submission”. Stop!
Sbatte le palpebre. Evapora una parvenza di lacrime. Sbuffa un “oohhh!” soddisfatto scemando l'emozione. “Volevo ringraziarvi molto per questa opportunità: al momento non ci sono ruoli come questo per le donne, è davvero fantastico!” - “Hai letto la parte dell'uomo”.
Sembrava, in effetti, tipo Al Pacino in “Any Given Sunday”.
Cristo santo, siamo ancora in “Mad Men”!
"What is that smell? - "Bourbon and despair."
Poco dopo, entreranno nella sua vita, grazie alla sua perseveranza ed impulsività, nel bene e nel male, nell'ordine: 1. una questione di corna {Betty Gilpin (Nurse Jackie, Master of Sex) - Rock You Like a Hurricane -, altrettanto diversamente strepitosa [nel giro di poco tempo l'è toccato d'essere cornificata dalla (migliore) amica in due distinte occasioni/serie: indimenticabili le scene al cimitero con Shadow e poi il reincontro in casa sua con la fedifraga sfasciafamiglie zombie Laura (Emily Browning) nella 1a stag. di “American Gods”], e sino a poco prima felicemente sposata col suo Jack (Rich Sommer, l'Harry Crane di, ebbene si, ancora, “Mad Men”), almeno all'apparenza}, 2. un regista di serie z, Sam Sylvia (Marc Maron), che, oltre a ritenere George Lazenby il miglior James Bond sino ad allora (lode a lui, a scatola chiusa, sulla fiducia) e ad uscirsene con frasi tipo “Porn you can watch with your kids? Finally!”, è (“a mustache full of coke”) pieno di idee in testa per un nuovo (vecchio) film (una storia di incesti e viaggi nel tempo: e infatti verrà fregato proprio sul tempo da tal - non ascoltare, non leggere, non guardare! - Robert Zemeckis) e sul come riuscire a trovare un modo per raccattare i soldi necessari a finanziarlo (lui vede il futuro, e noi con lui, e il futuro è sudore, brillantini, perfette chiome cotonate resistenti agli urti e mini-tutine aderenti) e girarlo - il che, tra l'altro, è, metacinematograficamente, parte fondante del perché dell'esistenza di “GLOW” -, e, 3. un eterogeneo gruppo di Vistose Signore del Wrestling.
“GLOW”, creata e showrunnerizzata (scrivono i primi due e gli ultimi due episodi) da Liz Flahive e Carly Mensch per NetFlix, racconta la nascita, romanzata ma non troppo, dell'omonimo e reale show di wrestling femminile prodotto (dall'86 al '92) e sindacato (verbo non sostantivo) sul circuito delle reti tv locali statunitensi. Alla produzione esecutiva, una garanzia: Jenji Kohan (“Weeds”, “Orange is the New Black”; ed è tanto innegabile quanto "insignificante" che "GLOW" ricalchi lo schema portante/costitutivo della serie ambientata nel fittizio/più vero del vero carcere di LitchField, con flash-side al posto dei flash-back), che si dedica anche alla stesura di un ep., il 6° (onestamente, scritto da dio e tra i migliori). Alla regia si alternano in 9: tutti registi/e con una breve o lunga carriera nel mainstream-broadcast (e qualche eccezione: “the Office”, “Girls”, “Parks and Recreation”) che riescono a restituire agli ottimi dialoghi e alle profonde interazioni tra i personaggi la loro forza intrinseca e a conferir loro un'ulteriore valore prettamente filmico veicolandoli attraverso una sintassi e una grammatica se non certo innovativa sicuramente inventiva [il migliore, da questo PdV, è il 5°, con Phil Abraham (the Sopranos, Mad Men, Breaking Bad, Weeds, Boss, OitNB, Halt and Catch Fire) dietro alla MdP]. Ma tutti gli episodi, da ca. 35 minuti l'uno, sono frizzanti, amari, teneri, tristi, dolci [la scena de- (e di preparazione a) -ll'aborto ("meglio": interruzione di gravidanza, "poco" cambia), nell'8° - scritto da Nick Jones e diretto da Sian Heder (“Tallulah”) -, anche senza scomodare “Heimat 2”, non si scorda].
“Oh, my God. It's a soap opera! This is a soap opera!”
“GLOW” soddisfa tutte le aspettative, ma non è un “male” perché lo fa bene.
Se la serie racconta il dietro le quinte dello show di cui riporta il nome e le gesta realisticamente romanzate, il non-luogo del motel nel quale buona parte della storia si svolge rappresenta il rifugio e il ristoro in cui l'ideale del sogno americano proletario si appisola, si rinfranca e si protrae.
• PLAYLIST (by Bruce Gilbert, ovvero: per metà delle scelte prendetevela con lui...ché io no, gli Scorpions no, che non li ho messi no (beh, ok, si, l'ho fatto, ma sotto forma di permalink, qui sopra). Il resto, invece: Magic Moments!).
Rose Royce - “Car Wash” - 1975
Billy Joel - “Movin' Out” - 1977
Studio:
Live:
Sylvester - “You Make Me Feal (Mighty Real)” - 1978
the Jetzons - “4-3-1” - 1982
Queen (feat. David Bowie) - “Under Pressure” - 1982
Studio (Freddy Mercury & David Bowie) :
Live (Queen – Wembley Session) :
Live (Annie Lennox & David Bowie) :
Tears for Fears - “Head over Hills” - 1985
Stan Bush - “Dare” - 1986
E “GLOW” è pure questo: vale la pena assitervi anche solo per il, ehm, piacere di riascoltare dopo 30 (porca puttana!) anni “the Look” dei Roxette (1988) :
Creepy, but i like it!
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