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Fleabag

2 stagioni - 12 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 2

  • 0-2019
  • 6 episodi

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mck

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La recensione su Fleabag

di mck
8 stelle

"Arm Touch...! Ooohh...!"

 



Si piange, si ride, non ci si crede.


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I primi quattro episodi sono piccoli capolavori - termina inflazionato, stra-abusato e svilito, ma qui, assumendomi ogni responsabilità, me ne faccio carico utilizzandolo in modo, “Dica lo giuro!”, non improprio - che rasentano la perfezione, gli ultimi due, a meccanismo oramai non solo ovviamente ben oliato ma proprio avanzante perorantesi in moto autonomo e avviato ad una velocità di crociera supersonica, rimangono ottimi, e solo un poco più canonici.      

 


Tutti scritti e interpretati (“FleaBag” è nata primariamente nel 2013 come one-woman play per gli assiti dell'Edinburgh Festival Fringe) da Phoebe Waller-Bridge [creatrice/showrunner di “Crashing” x Channel 4 (di cui è anche attrice), “Killing Eve” per BBC America e della prossima “Run” per HBO, oltre che attrice in “BroadChurch” e “Solo: a Star Wars Story” e rifinitrice dello script del prossimo James Bond (Craig/Fukunaga), il n. 25 o giù di lì] e diretti da Harry Bradbeer (“Killing Eve”), sono stati trasmessi (prodotta e pubblicata da BBC Three, la prima stagione (del 2016) è in seguito stata riproposta da BBC Two, mentre questa seconda annata/venuta/avvento (che però si svolge 1 anno dopo, non 3) è stata rilasciata, passando lancia in resta, direttamente su BBC One e contemporaneamente su BBC Three) a cadenza settimanale: assistere a 20/25 minuti circa tanto pieni quanto leggeri una volta ogni 7 giorni posso immaginare (perché infatti, con la distribuzione internazionale - U.S.A. e Resto del Mondo - acquisita da Amazon, l'ho recuperata in una tirata unica di due ore) non sia poi soverchiantemente irritante all'eccesso (sono “troppo” pieni, ma sono così leggeri!), ch'è invece quel che accade con l'addiction per “Game of Thrones” o, per rimanere in zona BBC/Waller-Bridge, “Killing Eve”.     

 


Al cast principale della prima stagione (Sian Clifford, la sorella, Bill Paterson, il padre, Olivia Colman, la matrigna, Brett Gelman, il cognato, e Jenny Rainsford, l'amica del cuore, tradita e deceduta), si aggiunge niente po' po' di meno che Moriarty in persona (carne, ossa e ghigno), ovvero Andrew Scott (tanto teatro, poi, appunto, “Sherlock”, e inoltre un ep. della prossima, 5a stag. di “Black Mirror”), mentre due piccoli ruoli (comparsate, ma incisive) sono affidati a Fiona Shaw (ancora, in mezzo a una carriera immensa, “Killing Eve”), e Kristin Scott Thomas (una bellissima particina, davvero).     

 


Fotografia di Tony Miller. Montaggio di Gary Dollner. Musiche, tra cui un potente e ottimamente utilizzato Kyrie Eleison, di Isobel Waller-Bridge (the real sister).    

 


Adorabile e sorprendente il contro-sfondamento / ri-(s)velamento della quarta parete (“What was that?” - “What?” - “Where did... Where did you just go?” - “What?” - “You just... went somewhere. There! There! Where did you just go?” - “Nowhere.” - “Okay...” - “...?!!!?....”), momento ripetuto, reiterato e protratto per un paio abbondante di volte in cui l'altro da sé, cioè da lei, ovvero lui, si accorge di questa particolare peculiarità comportamentale espressa dalla protagonista e ad essa connaturata e caratterizzante tanto il personaggio quanto l'autrice e la serie stessa: un dispositivo che, grazie a questo intervento - che appare come "extra"-diegetico, ma che, cambianto le carte in tavola in corso d'opera, risulta essere profondamente diegetico -, anche lo spettatore scopre esistere come concreto nel mondo fittizio della storia seriale narrata: certo, poi è solo un gioco, non importa davvero se sia reale o no, perché conta ciò che significa questo segno, dato che il succo del discorso è che compiendo questo atto (naturale, non pre-architettato/studiato) lui la guarda davvero, e la vede e riconosce realmente per ciò che è, in una delle sue manifestazioni più intime e personal(izzant)i. E poi, il finale, in cui – senza spoilerare, e con la voce di Brittany Howard sulle note di “This Feeling” degli Alabama Shakes, qui in studio e qui dal vivo –, con un cenno, lei ci dice di non seguirla più. Almeno per ora.    

 


“E sono stato bene, e sono stato male.”

* * * * ¼ (½) - 8 ¾       

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