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Fleabag

2 stagioni - 12 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 1

  • 2016-2016
  • 6 episodi

L'autore

mck

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La recensione su Fleabag

di mck
8 stelle

One Broke Girl.

 

“Il sangue fluisce direttamente dal loro cazzo al cuore. E tutto è fottuto.”

 

Oppure no.

 

[ Mestruo in agguato : se vuoi far scorrere il flusso, sulle note e la voce di "Sail" by AwolNation (Aaron Bruno), clicca qui o sulla fotografia ]

 

- “Non farmiti odiare, amarti è già troppo doloroso.”
- “Ook, scusa...ma credo sul serio che dovresti scrivertela! Lo so, lo so che adesso non è il momento adatto, ma questa devi scrivertela, è perfetta per un verso...”
- “Non me la voglio...scrivere!”
- “No, no, no, no!, dico sul serio, usala per una canzone, è perfetta, è poetica ma vera, dico sul serio.”   

 

Fatto.    

 

 

One Broke Girl. Si, perché s'è vero com'è vero che nulla di più lontano, niente, da una sit-com, è, dal PdV della forma e dello stile e dei principi tecnici e grammaticali, “FleaBag” (letteralmente: sacco pulcioso → persona squallida) di Phoebe Waller-Bridge [“BroadChurch”, “Crashing” (altra sua creazione) e il prossimo “Untitled Han Solo Star Wars Anthology Film”], è altrettanto evidente che la sostanza e il contenuto di questa serie in 6 episodi da 25 minuti l'uno della BBC Three (poi acquistata da Amazon) girata in un metropolitanico-ecceteraecceterico 2.35/2.39:1 (fotografia: Tony Miller) si allineano con una impossibile ed improbabile versione (incommensurabilmente ancor più) nera, empia e spinta della serie multi-camera creata da Michael “Sex &” Patrick “the City” King e Whitney “Whitney” Cummings per Warner-CBS con Kat Dennings (e Beth Behrs), presente in un universo parallelo in cui Al Gore, Barak e Michelle Obama, Bernie Sanders e Nancy Pelosi (e Jeremy Corbyn) la fanno da padroni.    

 

 

«L'unica ossessione che vogliono tutti: l'“amore”. Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l'amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due.»

 

Philip Roth - the Dying Animal - 2001 (trad. ital di V.Mantovani: “l'Animale Morente” - Einaudi - 2002)    

 

 

Il paragone immediato e ben più pertinente, invece, è con “One Mississippi” di Tig Notaro (e Diablo Cody e Louis C.K.) e “Girls” di Lena Dunham, e, ancor più, per altri versi, nello spirito e nella carne -[ e nella sintassi: il rivolgersi direttamente al pubblico - lo sguardo in camera portato e protratto all'ennesima potenza - rompendo la quarta parete in/con una dialogazione a una sola via a senso unico che come non mai produce una contro-reazione percepibile, viva, immedesimante, “oltre” l'empatia - aggeggio, congegno e dispositivo il cui uso inflazionato ha sovraffollato di mostri l'arte contemporanea (vedasi la madrina-matrigna, interpretata da Olivia Colman, che non è l'antagonista per partito preso, ma perché lo è, punto) - : FleaBag c'est moi? Tropismo all'ennesima potenza: Moi c'est Fleabag: un per nulla ridondante ma perentorio viceversa che ci schianta ]-, col “WhatEver Works” di Woody Allen.    

 

 

Falling in Love.   

 

Un semplicissimo campo controcampo (montaggio di Gary Dollner) tra un risveglio all'alba nel presente e un ricordo a supporto di un dialogo [ tra FleaBag e Boo - la migliore amica, l'altra parte di sé (e siccome la protagonista è, filosoficamente parlando, sadomasochista/autolesionista morale...), interpretata da Jenny Rainsford ] da antologia:    

 

Interno Giorno – da sotto le lenzuola – primo cisposo sguardo del mattino rivolto al comodino: una matita con gommino, posata, lì, per traverso, sta.
STACCO
Interno Giorno – conversazione a due nella mattina inoltrata al tavolino del locale (coffee) per, pardon, ispirato ai roditori (Guinea Pigs).
- “Ohm!”
- “Cosa?”
- “Oh no, non penso che a Hillary [specie: nome latino: Cavia porcellus, nome comune: cavia domestica o porcellino d'india...sudamericana] piacerà sentire questa storia”
- “Oh, vai avanti”
- “No”
- “Oh, vai avanti”
- “Ok. Un ragazzino di undici anni è finito in carcere minorile per aver ripetutamente ficcato delle matite col gommino nel culo del criceto della scuola”
“Cosa?!”
“Eh si”
“E perché farlo?”
“Pare gli piacesse quando strabuzzava gli occhi”
“No: perché lo hanno allontanato? Ha evidentemente bisogno di aiuto”
STACCO – da sotto le lenzuola: “Era una persona sorprendente” – STACCO
“Non avrebbero dovuto rinchiuderlo”
“Ha scopato un criceto con una matita!”
“Si, ma è ovvio che non è felice, le persone felici non fanno cose del genere”
“Giusta osservazione”
“Ad ogni modo, è quella la vera ragione per cui si mettono le gomme alla fine delle matite”
“Cosa? Per fottere i criceti?!”
“Noo. Perché le persone sbagliano”.    

 

 

Phoebe Waller-Bridge, classe 1985, trae dal suo monologo teatrale (ben lontano anni luce da Eve Ensler, ad esempio) un potente, scorticato, amorevole, impietoso (auto) ritratto (para/semi) universale.    

 

“E so che il mio corpo, così com'è ora, è l'unica cosa che mi è rimasta, e quando invecchia e non diventa più scopabile tanto vale morire. E in qualche modo non c'è niente di peggio di qualcuno che non vuole scoparmi. E mi scopo di tutto… E si sentono tutti almeno un po' così, anche se non ne parlano, oppure sono completamente sola?”    

 

 

Messa davanti al disvelamento dell'agnizione nel pre-sottofinale al termine della stagione (e davvero non o ben poco importa quanto questa rivelazione sia risultata essere più o meno intuibile da parte dello spettatore: a mio avviso questa svolta, rilancio e passo obbligato della trama è stato soprattutto ben gestito e congegnato attraverso l'applicazione di un buon compromesso tra topos/retorica e suspense/colpo di scena), FleaBag (il cui Vero Nome non viene, mai, pronunciato nel corso di tutti e 6 gli episodi: e ciò accade per molti personaggi: il padre, interpretato da Bill Paterson, la nuova compagna di questi, molti amanti della protagonista: le uniche due persone ad aver concessa la grazia di un documento d'identità sono la sorella e, ma solo in parte, l'amica del cuore, che si deve accontentare di un soprannome, mentre pure del roditore conosciamo il battesimo), col suo carico di colpe non ancora elaborate-espiate, si volta per sfuggire ai suoi giudici-accusatori di turno, ma trova un muro davanti a sé, quella quarta parete che nel corso delle due ore precedenti aveva ripetutamente, consapevolmente e abilmente sfondato, squarciato e attraversato: e quel muro siamo noi, è la macchina da presa (mi viene in mente Alice in “Eyes Wide Shut” che per uscire dal bagno nel prologo del film di Kubrick si sposta, ''impercettibilmente'', compiendo un gesto con la spalla e sbilanciando il corpo, per non incappare contro l'operatore alla steady-cam che nel precederla sulla soglia s'era fermato ad attenderla), e così fa dietro front e ritorna sui suoi passi: noi non possiamo, più, esserle d'aiuto nel climax-rivelazione-epifania del momento, ma torniamo ad essere quello che siamo sempre stati, torniamo a ricoprire il nostro vero ruolo, quello di spettatori. Le ottime musiche di Isobel Waller-Bridge (sorella di Phoebe) contribuiscono allo straniamento, alla disvelazione, alla presa di coscienza.  

 

 

Poi, tutto viene esplicitato da una battuta (di Claire - interpretata da Sian Clifford -, la sorella di FleaBag), che racchiude il senso ultimo della grammatica e della sintassi utilizzata per mettere in scena “FleaBag” (e per una serie che spinge, forza e sfrutta il contatto empatico sino allo stremo questo è specificatamente significativo) : uno dei migliori esempi di Forma e Stile che si concretizzano, trasportano, traslano e riconoscono in Sostanza e Contenuto:
“I'm sorry, but you just have to see it from my point of view”.     

 

* * * * ¼ (½)   

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