6 stagioni - 24 episodi vedi scheda serie
Con Rocco Schiavone, proposta nello stesso periodo di La mafia uccide solo d’estate, la Rai conferma di poter generare prodotti seriali di qualità, capaci di unire l’intrattenimento al pensiero, in questo caso rigettando, non senza fatica, il consolidato (e deleterio) buonismo.
Mostrare coni d’ombra, abitudini sconsigliate, qualora non proprio vietate, può assumere un significato più rotondo quando la scrittura è di livello tale da essere in grado di gestire un bagaglio di argomentazioni che non ha timore di essere trasparente.
Dopo una scazzottata fuori programma, il vicequestore Rocco Schiavone (Marco Giallini) è trasferito dalla sua Roma ad Aosta. Il suo disagio è evidente, ma conferma anche di saper svolgere il suo lavoro, magari anche senza rispettare le regole e giusto spendendo qualche sacramento in più, soprattutto nei confronti di alcuni colleghi inetti. Per sua fortuna, la presenza immaginaria di sua moglie Marina (Isabella Ragonese), lo attende a casa, mentre le conquiste in campo sessuale non gli mancano e sul lavoro si trova particolarmente bene con il medico legale Fumagalli (Massimo Reale) oltre che con un paio di giovani collaboratori.
In più, di tanto in tanto, riceve la visita dei suoi amici romani, primo tra tutti Sebastiano (Francesco Aquaroli). Purtroppo, dal suo passato, pieno di traumi, arrivano anche insidie che richiedono (re)azioni pericolose.
Se al cinema il prodotto italiano di fine 2016 ha manifestato il fiato corto, in televisione qualcosa si muove, anche inaspettatamente. Dalla penna di Antonio Manzini, per la regia di Michele Soavi, a proposito, da tanto tempo non lo si vedeva così in forma, nasce una serie che ha fatto discutere ma che, pur senza rinnegare l’intrattenimento, appone uno spazio per pensare a cosa sia realmente giusto e cosa lo sia meno.
Chiaro, non bisogna prendere quanto si vede come base per nuove forme paradigmatiche, ma un personaggio appartenente, per la carica che riveste, al sistema, eppure così distante dalle sue regole, è una rarità.
La prima stagione è speziata dal sarcasmo, presenta indagini deduttive, spesso con intelligenza, in alcuni casi con licenze logiche ma prima di tutto parla di persone vere, tremendamente umane e come tali fallaci.
C’è proprio bisogno di vivere le cose per capirle e di gente come Rocco Schiavone, una sorta di problem solving pur senza essere inappuntabile, ma che sa essere umano, prima di tutto perché lui lo è avendo conosciuto il dolore, sapendo cosa vuol dire soffrire e quindi ormai incapace di sopprimere la sua indole.
Un personaggio tosto, ricco di asperità, scorretto solo per chi si ferma in superficie nel giudizio, che Marco Giallini rende perfettamente nelle sue dicotomie. Per l’attore romano - ormai apprezzato anche al cinema (Perfetti sconosciuti) dopo tanti anni di gavetta (L’odore della notte) - è il ruolo della vita, che riesce a valorizzare al massimo, mostrando apertamente lo sprezzo per un mondo inane, destinando un occhio di riguardo per i più deboli.
Intorno a questo personaggio enorme, ruota tutta la stagione che offre ottiche fuori dal comune sentore, partendo dal luogo, Aosta, posto all’estremo nord e così distante dalla baricentrica Roma, cui l’ego del personaggio è profondamente collegato.
Inoltre, gli elementi caratteristi sono molteplici: in (quasi) ogni episodio sono presenti delle reiterazioni, tratti distintivi coloriti, dei veri e propri rituali come l’immancabile, e goduriosa, lista di rotture di coglioni, le razze di animali prese a pretesto per descrivere metaforicamente le caratteristiche di qualche personaggio, la canna in ufficio che è di prassi e pure la parola del giorno di Marina.
Come se non bastasse, non si scorda del sociale, per cui alla domanda «come si fa a rubare un cadavere?», la risposta non può che essere «come si fa a mettere qualcuno nella condizione di farlo?» e le risoluzioni dei crimini sono abbastanza articolate, senza mai scordare che, quando ritenuto opportuno, andare oltre la legalità è lecito.
Ci sarebbero poi da aggiungere i tanti temi toccati, quando non proprio descritti entrando nella carne viva: si parla d’immigrazione (1° episodio), droga (2° episodio), violenze sessuali (2° e 4°), violenza domestica (2°), disoccupazione (3°), incidenti stradali (4°), violenza in prigione (5°), razzismo (4°), omicidio a tradimento (5°), malavita organizzata (4°) e banche deviate (4°).
Rocco Schiavone presenta quindi un paniere ricco, tanto da avvicinarsi alla completezza, abbracciando anche la leggerezza di alcune azioni senza scordare le capacità cognitive e con la fantasmagorica presenza della moglie deceduta non dimentica nemmeno di trasmettere il più grande calore umano possibile.
Una prima stagione quindi ben organizzata che parte essendo in prevalenza di sviluppo verticale per poi divenire improvvisamente orizzontale, con un quinto episodio caratterizzato da un cliffhanger clamoroso, con anche le puntate più fiacche in grado di trovare, anche all’improvviso, uno spunto che le ravvivi.
Al di là di taluni aspetti, una stagione da incorniciare, un tentativo di fare altro che merita di essere riproposto, ma prima di tutto visto e vissuto, formulando un quadro completo, senza fermarsi alle prime apparenze.
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