6 stagioni - 60 episodi vedi scheda serie
La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.
Se si vuole ricondurre ad una sola e semplice caratteristica il motivo per il quale The Crown spicca su tutte le altre serie non solo dello stesso genere, ma degli ultimi anni, si dovrebbe menzionare la precedenza assoluta data ai personaggi: complessi ed ineffabili, dato il loro stato di monarchici, sovrani, la serie creata da Peter Morgan (The Queen, Rush) vuole e riesce superbamente a svelare gli esseri umani nascosti (o oppressi?) dalle svariate maschere del potere.
Già accennato nelle precedenti, in questa quarta stagione il contrasto tra la tradizione e la modernità diventa un tema predominante: l’entrata in scena di due nuovi personaggi, Margaret Thatcher e Diana Spencer, oltre a costituirsi come principale linfa vitale di un ciclo di episodi che si attesta su livelli clamorosi, rappresenta la carica dirompente dei tempi che cambiano, scoprendo così il velo sulle tante contraddizioni della corona. Il potere è sempre più una facciata, una farsa, ma non per questo libero da responsabilità; in tale contesto la serie di Netflix racconta gli affanni psicologici e i conseguenti comportamenti contrastanti di persone prigioniere di una gabbia dorata.
Emblema di tutto ciò e vero protagonista di questa quarta annata è, infatti, il rapporto tra il principe Carlo e Diana: negli anni di differenza, il nuovo e il vecchio, l’impossibilità o la non volontà di comprendersi. La loro relazione viene sviscerata nei suoi (pochi) alti e (tanti) bassi, colpendo lo spettatore con la brutalità della sua messa in scena della ragione dei sentimenti. Ricordando gli apici delle prime due stagioni, quando ad essere messi sotto torchio erano Elisabetta e Filippo, The Crown riesce a rappresentare perfettamente i due mondi ideologici ed emotivi della coppia: distaccati ed impossibilitati a trovarsi, l’odissea di Diana Spencer è la tragedia dell’essere assorbiti da qualcosa di astratto e superiore, l’entità minacciosa (per l’umano dietro la maschera) che dà il titolo alla serie. Infine, la ciliegina sulla torta della storyline più riuscita della stagione si chiama Emma Corrin: attrice giovane e sconosciuta (lo sarà ancora per poco), la sua Lady D è eterea e dannata, bellissima e fragile; una grande prova attoriale che rifugge dallo stereotipo, un magnetismo che anticipa una diva del futuro.
The Crown conferma un livello tecnico-artistico ineccepibile, dalle scenografie sontuose alla regia elegante e posata, in linea con i personaggi raccontati; a volte non si fa mancare, infatti, quella leggera dose d’ironia squisitamente british che, comunque, non intacca la statura drammatica di dieci episodi che affrontano le difficoltà del cambiamento e la necessità di trovare un compromesso coi sentimenti. Peter Morgan, oltre ad essere una penna eccezionale, come showrunner dimostra la capacità di dosare il minutaggio dei molti personaggi, senza rinunciare a dare a ciascun episodio un proprio focus, così da renderlo quasi indipendente. Nessuno viene lasciato indietro, sicché anche il cast di veterani (alla seconda stagione dopo il salto generazionale) ha il suo spazio per offrire le consuete performance di valore. Ovviamente, a spiccare è Olivia Colman, regina in conflitto con se stessa, divisa tra il proprio, glaciale, modello di regalità e una nuova sensibilità, riscoperta con la vecchiaia.
Arrivata alla quarta stagione, The Crown non ha solo compiuto l’impresa di mantenersi su alti livelli artistici, sapendo rinnovarsi nel cast, nelle epoche e nelle vicende rappresentate, ma ha sfornato un vero e proprio capolavoro sentimentale: ancor più che negli altri cicli di episodi, la serie che racconta la famiglia reale britannica giunge infine a raccontare l’essere umano e le sue infinite debolezze, con un’efficacia toccante ed una vena espressiva che raramente si vede, su piccolo e grande schermo.
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