1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie
Il riscatto di un gatto
La miniserie uscita nel 2016 dalla premiata ditta HBO rappresenta probabilmente uno dei migliori risultati qualitativi dell’anno sulla corta distanza dei lavori antologici. Solo 8 episodi, ma di una compiutezza di resa cristallina: tanto efficace che l’intera narrazione poteva concludersi dopo il solo (eccezionale) primo episodio.
L’introduzione è infatti la trasposizione di un perfetto intreccio kafkiano: inizialmente nella meccanica successione degli eventi, “letti” da un solo punto di vista, con la presentazione di tutti gli “attori” in campo; in seguito un viaggio infernale nei gangli del meccanismo astruso della giustizia umana, imperscrutabile agli occhi esterni di un non addetto, apparentemente melliflua e fallibile, dalle maglie allargate e gestita con visibile (ingannevole) noncuranza e abitudinaria stanchezza dai suoi rappresentanti. Maglie dalle quali un brillante universitario come Nasir, seppur scioccato dagli aventi tragici di una nottata “sbagliata”, parrebbe in grado di uscire senza danno, beffandone le dimesse routine procedurali (da antologia la sequenza del casualmente frustato tentativo di guadagnare l’uscita della stazione di Polizia senza essere notato da alcuno). Un Josef K. meno razionale, lucido e inizialmente (inutilmente) pomposo, ma ugualmente incapace di comprendere le dinamiche di un “dispositivo” impenetrabile e inesorabile.
Dalla seconda puntata in poi si amplia il racconto, si tirano le fila dello sgretolamento di verità che i vari personaggi ritenevano, a torto o ragione, incrollabili. Se ne ricerca quindi una, la più accettabile in un tribunale per l’accusa e, al contrario, più di una (quelle alternative proponibili) per la difesa. Si entra quindi nella fase del racconto procedurale (quasi) classico, mentre Naz prosegue il suo calvario, al quale con sempre più consapevolezza appare rassegnato, bilanciando le puntate con robuste puntate nel prison-(tv)movie.
Nella fase centrale fa capolino qualche debolezza di scrittura, un po’ edulcorata nelle scelte motivazionali di alcuni personaggi (soprattutto Chandra Kapoor e Freddy Knight, interpretati rispettivamente da Amara Karan e dal bravo “veterano” Michael K. Williams) ma nulla che infici una capacita di scrittura ottima (la sceneggiatura è di Steven Zaillian e del regista James Marsh, il soggetto di Peter Moffat) ed una regia abile nel mettere in immagini l’insicurezza tematica del plot, con un montaggio parimenti “preciso” nel dipanare un linguaggio strutturale fumoso.
Fino al termine del viaggio “circolare”, in compagnia di attori in ottime caratterizzazioni (Turturro, ovviamente, ma anche il serioso Bill Camp), che non può comunque essere salvifico: dall’inferno non si torna immuni.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta