5 stagioni - 42 episodi vedi scheda serie
Stranger Things è diventata grande.
La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.
Se l'immaginario anni '80 si è affermato da ormai una decade come uno dei più grandi polarizzatori mediatici dei nostri tempi, Stranger Things può essere ritenuto senza dubbio lo show che, nel bene e nel male, ha saputo meglio di tutti gli altri sfruttarne la carica immaginifica, riprendendo i capisaldi di un cinema d'intrattenimento per ragazzi che non esiste più. Esplosione fulminante e fenomeno di culto sin dalla prima, bellissima stagione, la serie dei fratelli Duffer stupì grazie al suo mix ben dosato di avventura, fantascienza e horror, tra Stephen King, Lovecraft e Spielberg, alla quale seguirono una seconda annata più action, ma meno ispirata, ed una terza sicuramente coraggiosa nell'adottare un approccio diverso, più giocoso e colorato, ma che comunque non riuscì a toccare le vette dell'esordio.
Arriviamo così a Stranger Things 4. Sovvertendo il rischio di una prolissità stagnante, i due showrunner cambiano nuovamente volto alla serie, sfruttando una posizione produttiva svantaggiosa: la sospensione causata dall'emergenza pandemica. I vari rinvii e la conseguente crescita puberale del giovane cast giustificano infatti un cambio di registro, dall'avventura per ragazzi dai tratti orrorifici ci troviamo in un incubo ad occhi aperti, debitore verso il cinema di Wes Craven e John Carpenter. Spingere sui tratti del gore e rendere più adulto il racconto non solo è fisiologico e giusto per quello che è un gigantesco romanzo di formazione, ma permette anche di abbattere un grosso limite narrativo delle precedenti stagioni: per la prima volta si percepisce un reale senso di pericolo per le vite dei protagonisti. Difatti, soprattutto nel primo dei due volumi nei quali è stato diviso questo nuovo blocco di episodi, gli stilemi di classici come Nightmare – Dal profondo della notte vengono riletti ed adattati alla struttura ciclica propria della serialità, ma a spiazzare realmente è vedere calati in quest'ottica slasher personaggi dei quali abbiamo seguito il percorso di crescita fin dall'infanzia. La quarta stagione di Stranger Things è un'apoteosi lovecraftiana, dalla genealogia di un Sottosopra popolato da entità primeve, minacciose ma incomprensibili all'uomo proprio perché precedenti e totalmente estranee a lui, alla creazione dell'ansia come aspettativa del male e paura dell'ignoto.
Seppure più cinico, violento e maturo, non manca quel tocco di teen drama, atto a speziare con del sano kitsch una ricetta mai così lugubre prima d'ora. Sfruttando un livello di scrittura dei personaggi tendenzialmente alto e disseminando tatticamente gli episodi di momenti che ne esplorano e rinnovano i rapporti, l'empatia dello spettatore nei confronti dei suddetti viene rafforzata. Infatti, le dinamiche tra i componenti del gruppo di ragazzini rimane uno dei maggiori punti di forza della serie, campo fertile anche per gli autori, i quali ne approfittano per penetrare il 1986 con temi dell'attualità: dall'euforia nevrotica che gli statunitensi provano alla sola idea di imbracciare un'arma da fuoco alla persistente questione LGBT. Proprio la gestione della supposta omosessualità di uno dei protagonisti, mai esplicitata realmente (erano altri tempi), è un trionfo in termini di eleganza, pudore e sensibilità della messinscena, capace di regalarci due scene drammatiche ricche di pathos.
Se il cuore di questa serie rimangono sempre i personaggi, i loro rapporti e le loro sorti, Stranger Things 4 è allora una variante dello slasher movie anni '80, con le dovute differenze strutturali, dove la posta in palio affettiva per lo spettatore è decisamente più alta, o quantomeno esiste. Merito anche di una scommessa vinta in fase di casting, oggi come ai tempi: se tra veterani e nuovi arrivi il cast si conferma composto da ottimi interpreti, tra i quali spiccano le prove drammatiche di Sadie Sink (Max), Caleb McLaughlin (Lucas) e Gaten Matarazzo (Dustin), a rubare la scena è sicuramente Joseph Quinn, capace in una manciata di episodi di regalare alla serie un personaggio divenuto già iconico, Eddie Munson, istrionico e sensibile, vero e proprio cuore propulsivo di questa quarta stagione. Un'energia che si ripercuote anche nella colonna sonora, la quale sguazza tra l'heavy metal, il rock ed il pop, ribadendo al mondo l'influenza culturale che Stranger Things è in grado di esercitare al momento, per la gioia di Kate Bush.
In termini tecnici e creativi, per mole produttiva ed ambizione in relazione ad un world building elaborato ed in costante crescita, oltreché per un livello generale in piena corrente ascensionale, da una regia ed una scrittura capaci di spettacolarizzare, senza mai perdere di vista lo sguardo umano sopra menzionato, ad un reparto visivo che, tra scenografie ed effetti speciali, guarda senza nascondersi alle grandi saghe cinematografiche, Stranger Things ha pochi eguali nel panorama cinetelevisivo odierno: questo quarto capitolo della storia si impone come un vero e proprio kolossal. Poco importa che il mastodontico finale di stagione a tratti fatichi a tenere in piedi contemporaneamente cinque (!) diverse linee narrative, o che, nelle tante scene dal pesante carico emotivo, alcuni eccessi di miele possano alzare la glicemia a qualcuno. Tutto è facilmente dimenticabile davanti alla bellezza di un arco di episodi non perfetto, ma quasi. Stranger Things è finalmente maturata e, diventata più adulta, presenta un potenziale nuovo, inaspettato, che la proietta verso una stagione finale che dovrà eguagliare, se non superare, un'asticella mai così alta prima d'ora, con l'onere di provare ad imprimere un'impronta duratura nell'Olimpo della serialità televisiva.
PS. Per me il voto giusto sarebbe un otto e mezzo, ma siccome le voglio bene ed il mezzo punto sul sito non è contemplato, le do nove.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta