Espandi menu
cerca
Stranger Things

5 stagioni - 42 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 2

  • 0-2017
  • 9 episodi

L'autore

mck

mck

Iscritto dal 15 agosto 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 206
  • Post 137
  • Recensioni 1146
  • Playlist 323
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Stranger Things

di mck
8 stelle

Jane, in the World.



I. The Now-Memories.

Stranger Things - 2” gioca esplicitamente e seriamente (coming of age + adventure arcade) sulla riecheggiante ripetizione del già assimilato, sulla reiterazione della replica, sulla fotografia di una fotografia, sull'autoritratto di una copia conforme/carbone, sull'eterno ritorno del già conosciuto (si prenda ad esempio il terrificante, annichilente loop in cui è imprigionata la madre di Eleven/Jane), e...sulla variazione del canone: un dialogo multi ma soprattutto metamediale con (dis)soluzione e con consolid(ific)azione di continuità tra i ricordi del presente di Will e il presente dei ricordi della serie stessa creata dai Duffer Brothers, fratelli gemelli classe '84, che finisce col creare la propria {dalle suggestioni (rimasticate grezze) di H.P. Lovecraft, passando per l'Amblin' spilberghiano [l'uno-due (uno dei tanti del regista ebreo statunitense) composto da “Close Encounters” ed “E.T.”], ai rimandi diretti all'universo accanto/complementare/sovrapposto di Stephen King (“It” e “the Body”)} mitopoiesi.

- It's crazy, but I really liked it.
- Liked it?
- Yeah. Well, I mean, I had a few issues.
- Issues?
- I felt it was a little derivative in parts.
- What are you talking about?
- I just wish it had a little more originality. That's all.
- You don't believe me...

Rispetto alla stagione precedente questa seconda annata è composta da un episodio in più (si passa da 8 a 9, sempre da 45-55 minuti l'uno), e quell'episodio in più ha un nome, un numero, il 7° (anzi, lo 008), e due funzioni non filler: una secondaria e derivata (trasportare la narrazione da Hawkins, Indiana a Chicago, Illinois), e l'altra primaria: la tensione, giunta a saturazione col finale del 6° capitolo, viene interrotta, sospesa, blindata, spostata, accantonata, rimandata: un bel cliffhanger, e poi...puf! Cambio. È un espediente classico, che, se ben gestito [si consideri il 3° ep. in trasferta californiana di “Fargo / 3”, che si scosta geograficamente del tutto dalla trama principale pur rimanendovi ben agganciato e contribuendo alla sua progressione, così come il 4° (la storia di Laura) e il 7° (la storia di Essie) di “American Gods / 1” e l'8° di “Twin Peaks / 3”], è un tassello che dona ed esprime solo e tutto valore aggiunto all'opera.  



II. “It's not a puzzle, it's a map! It's a map of Hawkins!”

Interessante riconoscere la ripartizione geometrico-industriale dei compiti [escluso dalla conta il 7° episodio, per ogni dittico (il primo splendidamente introduttivo, e poi...a crescere) si alternano un regista col proprio direttore della fotografia e due coppie di sceneggiatori e di montatori che si spartiscono il lavoro], dalla quale emerge chiara la figura del “macchinario da film”, la fearsome engine produttrice a catena di opere autorial-industriali:

Ep. 1 - “MADMAX”, scritto e diretto da the Duffer Brothers (fotografia: Tim Ives, montaggio: Kevin D. Ross).
Ep. 2 - “Trick or Treat, Freak”, scritto e diretto da the Duffer Brothers (fotografia: Tim Ives, montaggio: Nat Fuller).
Ep. 3 - “the PollyWog”, scritto da Justin Doble e diretto da Shawn Levy (fotografia: Todd Campbell, montaggio: Kevin D. Ross).
Ep. 4 - “Will the Wise”, scritto da Paul Dichter e diretto da Shawn Levy (fotografia: Todd Campbell, montaggio: Nat Fuller).
Ep. 5 - “Dig Dug”, scritto da Jessie Nickson-Lopez e diretto da Andrew Stanton (fotografia: Tim Ives, montaggio: Kevin D. Ross).
Ep. 6 - “the Spy”, scritto da Kate Trefry e diretto da Andrew Stanton (fotografia: Tim Ives, montaggio: Nat Fuller).
Ep. 7 - “the Lost Sister”, scritto da Justin Doble e diretto da Rebecca Thomas (fotografia: David Franco, montaggio: Katheryn Naranjo).
Ep. 8 - “the Mind Flyer”, scritto e diretto da the Duffer Brothers (fotografia: Tim Ives, montaggio: Nat Fuller).
Ep. 9 - “the Gate”, scritto e diretto da the Duffer Brothers (fotografia: Tim Ives, montaggio: Kevin D. Ross).

Paradigmatici di questa (consapevole, voluta, ricercata) riproposizione della “non” originalità sono i titoli di testa, che Imaginary Forces ha giusto ritoccato con un bel “2” e qualche pixel bianco glitchante. Ma basterebbero i nomi di Sean Astin e Paul Reiser…! Enjoy: 


Le interpretazioni di David Harbour (lo sceriffo Hopper) e Millie Bobby Brown (il portale, il gate, la firestarter, la new mutant versione adulta: 011, che un tempo, per un breve lasso di tempo, si chiamava Jane, e che ora torna a possedere e pronunciare il proprio nome, senza eccessivamente mollyringwaldizzarsi troppo) sono entrambe, pur con tutte le dovute e (in)significanti differenze del caso, molto classiche e pulite.

A fare la differenza sono Winona Rider (Joyce, la madre di Will e Jonathan), che rispetto alla stagione passata, propone una recitazione più controllata, ma con picchi - anche in sottrazione - altissimi, Noah Schnapp (Will, il bambino scomparso, morto, funeralizzato e resosi redivivo, lo zombie-boy, e l'infiltrato, la spia, il doppiogiochista, l'infetto), il quale, forse, tra i componenti del sestetto di Perdenti, oltre alla protagonista, è la giovane promessa da tenere più d'occhio: cresciuto moltissimo rispetto all'annata scorsa, in cui era relegato in un ruolo un po' monotono seppur movimentato, è bravissimo, e Gaten Matarazzo (Dustin): suo è il difficile ruolo della parte “grezzamente” umoristica: ma lo porta a casa alla grande: non un'esagerazione o un'espressione fuori posto, e tempi comici invidiabili e promettenti.

A ruota, due new entry delle 5 maggiori: Sean Astin (Bob Newby: SuperHero), direttamente da “the Goonies” - l'apoteosi del cinema per ragazzi anni '80: Steven Spielberg, Chris Columbus, Richard Donner: punto - (Mike) e da “the Lord of the Rings” (Sam), riesce, in uno dei ruoli forse più stereotipati (giudizio tecnico e qualità di per sé né negativa né positiva che, se applicata ad una scrittura valida, olia alla perfezione il meccanismo generale) dell'opera (non indossa la giacca rossa di Star Trek e non ha un bersaglio stampato in fronte, sul petto e sulla schiena, ma quasi), costruire - in medias res - un percorso credibile, e Paul Reiser (il Dottor Owens), direttamente da “Aliens” (l'ho sempre visto/vissuto come la versione malvagia e malefica del Rob Morrow di “Northern Exposure”), prima conferma, poi ribalta e riscatta quel ruolo.

Il resto del cast, vecchio -[Finn Wolfhard - Mike (il Richie nell'It di Muschietti), Caleb McLaughlin - Lucas, Natalia Dyer - Nancy, la sorella maggiore di Mike, Charlie Heaton - Jonathan, il fratello maggiore di Will, Joe Keery - Steve, il (ex?) ragazzo di Nancy, il (ex) ragazzo-più-fico-della-scuola (il suo segreto? Lacca Farrah Fawcett), ma California batte Indiana 3 a 0, sorry: dall'attacco passa alla difesa, poi alla panchina, poi all'infortunio, poi al babysitteraggio precettante...]- e nuovo -[Sadie Sink - (Mad)Max: Dustin e Lucas non producono poesie (ancora e sempre, “It”: “Brace d'Inverno / i Capelli Tuoi / Dove il Mio Cuore Brucia”) ma regalano lucertole anfibie demogorgoniche (e, davvero, siamo tutti con Dustin: perché mai un simile mostriciattolo schifoso - il girino demo-dog - non dovrebbe piacere ad una ragazzina?) e...storie, segreti, avventure, iniziazioni (“I felt it was a little derivative in parts”: ?!), Dacre Montgomery - Billy, il fratellastro di Max: la versione molliccia e stranosessuale di John Nada (bella la scena “ri/dis-velatrice” - seppur troppo retoricamente e facilmente evidenziatrice, sottolineatrice, rapporto-di-causa-effettatrice - dello scontro col padre, Neil (Will Chase), in zona Chris Cooper by “American Beauty”), Linnea Berthelsen - Kali/008, Brett Gelman (il cospirazionista-realista), fresco fresco da “Twin Peaks - 3” (Burns, il supervisore che non supervisiona), Prutt Taylor Vince, in un ruolo secondario, al solito incisivo]-, completa un ensemble affiatato e rodato.

Cameo espanso per Matthew Modine, “Papà” (senz'accento), il Dottor Brenner, presenza (a)morale e schrödingheriana.  



Colonna Sonora: musiche originali (potentissime) di Kyle Dixon & Michael Stein (due tracce tra le 34, per un totale di 72': “Presumptuosus” e “the Return”), musiche non originali di (per ogni nome citato ce ne sono altri tre...) Devo (“Whip It”), Ted Nugent (“Wango Tango”), the Mercy Brothers (“Whistle on the River”), Queen (“Hammer to Fall”), Metallica (“the Four Horsemen”), Tangerine Dream (“Rare Bird”), Cindy Lauper (“Time After Time”), Roy Orbison (“Blue Bayou”), the Clash (“This is Radio Clash” e “Should I Stay or Should I Go”), Billie Holiday (“No More” e “You Better Go Now”), etc...
Menzioni speciali per la “GhostBusters” di Ray Parker, Jr., per “the Bank Robbery” di John Carpenter (da “Escape from New York”) e per “You Don't Mess Around with Jim” (1971) di Jim Croce (Studio e Live). 
E, per finire, la quintessenza dello Spirito del Tempo: the Police (“Every Breath You Take”).    

 



III. Le regole del Gioco.

Stranger Things”, con le sue citazioni, i suoi ricalchi, le sue ruberie, i suoi omaggi, è, parafrasando la risultanza di un battibecco tra Dustin e Lucas, una metafora e un'analogia: le ninfe d'essere umano, le imago dell'Homo s. sapiens, i ragazzini, nel loro coming of age, mutano pelle tante volte quanto una larva-girino-lucertola di Demogorgone.
Più o meno in qualsiasi epoca e più o meno in qualunque parte del mondo, quotando ancora il Re: “Non ho mai più avuto amici, in seguito, come quelli che avevo a dodici anni. Gesù, e voi?” +, tag-line del brand ST by Duffer Brothers, “Friends Don't Lie”: semplici, basilari regole epigenetiche specie-specifiche della società/civiltà/razza umana.
Le regole prima si imparano, poi si rispettano, poi si mettono in discussione, poi si trasgrediscono, e poi si scrivono.
Con le relative e dovute eccezioni del caso di volt'in volta.

“Che avevamo detto? Prima la cena, poi il dolce. È la regola.”

ST2 è una conferma, senza una eccessiva reinvenzione [lo spettro “antologico” - oltre che, e non "solo", ontologico - viene scacciato: spingersi troppo in là con un recasting (lo splendido lavoro fatto da N.Hawley con “Fargo”) sarebbe stato un suicidio], e con un immenso background extradiegetico (“Stranger Things” è uno pseudopodo, uno spin off degli anni '80) da introiettare e restituire da cui attingere (diegetico per “Better Call Saul”, lo spin off di “Breaking Bad”).

Jane, in the World.
Eleven re-impara qual è il suo nome (e noi – così come accade in “the HandMaid's Tale” però per bocca della voce narrante della protagonista, June – con lei), e i suoi piedi la portano a ripercorrere il cammino percorso dalle proprie radici (mentre quelle della godzillesca ombra nel cielo a forma di ragno-mantide gigeresc'aliena si espandono prima sotto i pumpkin e poi sopra i clover fields del cortile della scuola media dove la brigata allargata dei Perdenti sta danzando al ballo d'Inverno 1984-'85, ché l'anno prossimo “Stranger Things - 3” reinizierà col primo giorno di scuola di Eleven/Jane...?...).

ST2 è come un cruciverba facilitato (“Easy Peasy!”, ovvero: affronta di petto le tue perturbanti paure, e male che vada ne sarai invaso e annientato), ma il risultato è una (im)pura poesia.

 

* * * ¾ (****)       

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati