5 stagioni - 35 episodi vedi scheda serie
Maledetti anni 80'.
La serie Tv che ci riporta indietro nel tempo non utilizza una reale “Time machine”, preconizzata da Wells quasi nella stessa decade ma di un secolo prima (1895) nell’omonimo romanzo, ma sfrutta semplicemente, palesemente e gioiosamente l’effetto nostalgia di chi all’epoca aveva più o meno la stessa età dei protagonisti di questo lavoro a puntate ma anche degli adulti, d’ogni età, amanti del cinema d’avventura allora nella sua fase imperante. Ad entrambi, la fatal decade regalò parecchie soddisfazioni, ormai ben immagazzinate in quella area del cervello (sistema limbico ?) demandata alla assimilazione e (ormai) ri-costruzione emotivo-mitologica dei ricordi televisivi.
Una idea filologica-antologica che pone il fulcro della narrazione, quindi, al servizio dello spettatore e della sua capacità di riconoscere, in quasi ogni sequenza delle 8 puntate che compongono questa prima stagione, le fonti cinematografiche “ottantottine” (per una completa ed esaustiva bibliografia [non solo StephenKing-hiana] rimando all’ottimo commento “sottosopra” di mck: //www.filmtv.it/serie-tv/125031/stranger-things/stagione-1/recensioni/871659/#rfr:stagione-125033) inoculate in maniera quasi subliminale.
Il recupero anche fisiognomico (è parso solamente a me che Gaten Matarazzo [https://s.yimg.com/ny/api/res/1.2/tLHpHCh7Tx89brW7ImmpAg--/YXBwaWQ9aGlnaGxhbmRlcjtzbT0xO3c9ODAw/http://media.zenfs.com/en/homerun/feed_manager_auto_publish_494/083a6f89564bd74bf9e445583b478f45] sia una quasi copia infantile, e più sveglia, del comico poi politico Al Franken di “Una poltrona per due” ? [http://www.aveleyman.com/Gallery/ActorsF/25399-19933.gif]), molti personaggi sembrano infatti stranamente familiari, si traduce in una immediato acclimatamento dello spettatore alle tematiche fantastico-horror “ideate” dai Duffer Brothers.
Se a ciò aggiungiamo anche la sicurezza registica dei citati fratelli, che dirigono 6 degli otto episodi, capaci di gestire con mano professionale le avventurose sequenze del plot, tenendo sempre ben presente le lezioni del nume tutelare Spielberg, la sua proverbiale precisione dinamica del montaggio oltre che l’eccelsa concisione narrativa, ci avviciniamo quasi alla perfezione artistica della spesso vituperata arte della rielaborazione, comunque aggiornata alla modernità, di un filone (di genere) ormai quasi spento nella stanca e roboante ripetizione al ribasso della produzione “digitale” degli anni 2000. Una pratica artigianale che caratterizza tutto il progetto, dalla granulosità delle riprese alla classicità degli effetti speciali fino ad arrivare alla fotografia dai marcati toni scuri, a rappresentarne sia l’omaggio estremo che un rilancio modernista.
Lavoro encomiabile, quindi, che ha come unico difetto, a parere di chi scrive, un inevitabile drawback, ovvero una certa linearità sceneggiativa (nessuna vera sorpresa dalla trama per lo spettatore navigato) presumibilmente messa ampiamente in conto dalla produzione. Ma non sarò certo io a fare le “pulci” controsenso.
Per chi c’era, ma soprattutto per quelli che non c’erano.
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