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True Detective

4 stagioni - 35 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 2

  • 2015-2015
  • 12 episodi

L'autore

Immorale

Immorale

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La recensione su True Detective

di Immorale
8 stelle

“Abbiamo il mondo che ci meritiamo”.

La seconda stagione dell’acclamata “creatura” di Nic Pizzolato cambia completamente coordinate, sia ambientali che contenutistiche: dalle desertiche atmosfere della Louisiana si passa ai tentacolari meandri di una “immaginaria” cittadina californiana, Vinci.

 

 

Differente anche la scelta dei protagonisti, ove l’ingombrante figura “cristologica” del mattatore Matthew Mc Conaughey (qui anche produttore insieme a Woody Harrelson) lascia spazio ad un quartetto di protagonisti principali (Colin Farrell, Taylor Kitsch, Rachel McAdams e Vince Vaughn), di conseguenza ampliando la coralità del racconto e degli intrecci. Il creatore del progetto continua, anche in questo “seguito”, nella sua riproposizione di luoghi (narrativi) già bagaglio dello spettatore tipo di ogni età ma accentuati e stressati, al limite dell’esasperato manierismo, fino a farli coincidere con i gusti ultra-pop odierni. Si passa quindi dal racconto gotico-sudista al noir metropolitano, in un connubio sceneggiativo/visivo che produce, a parere di chi scrive, un risultato superiore alla prima stagione.

 

 

La città corrotta, sporca e coacervo di interessi economici indicibili ma ben visibili se si sa dove guardare, è un archetipo del racconto polar e fa da sfondo ai destini intrecciati dei protagonisti i quali, seppur apparentemente operando su fronti contrapposti, si incroceranno in un gioco perverso del quale pochi, alfine, conoscono le dinamiche. L’indagine di polizia si fa pertanto espediente narrativo abusato ma ben bilanciato nei caratteri delle diverse tipologie di “sbirri” e criminali rappresentati, ognuno con le proprie motivazioni personali e i propri fantasmi. Altro tema principale è senz’altro la paternità: sofferta e indecisa quella di Velcoro (Farrell), inaspettata quella di Woodrugh (Kitsch), agognata quella di Frank Semion (Vaughn) e accantonata quella di Bezzerides (McAdams); desideri e rivincite, omissioni e vendette si rincorrono quindi in un affresco oscuro, controbilanciamento in negativo di un’ambientazione, la California, che si penserebbe (vorrebbe) solare ma ch’è invece “infettata” da una luce malevola che tutto avvolge, uomini e cose. Pregevole, in questo senso, il discorso ambientale e metafilmico: la città immaginaria, ispirata all’altrettanto realmente mefitica e ingovernabile Vernon, si fa concreta nell’esporre i suoi depravati gangli alla luce di occhi noncuranti o troppo cinici per vedere. Efficacia esplicativa amplificata da una fotografia forse imperfetta e esasperata nel suo pessimismo, ma che a tratti si fa “personaggio” essenziale della narrazione, sostituendo le parole ed esaltando i cupi stati d’animo.

 

 

 

La stesura degli episodi segue la stessa dinamica della prima stagione, per fortuna meno soffocati dagli sproloqui messianici di un personaggio “à la Rusty”, con un cambio radicale di struttura dell’ingarbugliato plot a metà percorso, che rimescola le carte e incanala sapientemente il racconto verso i suoi sviluppi ultimi. Bravi tutti gli interpreti, abili nel vestire i laconici panni dei personaggi cucitigli addosso, soprattutto un convincente Vince Vaughn, che non ho mai amato particolarmente nei suoi ruoli brillanti, apparsomi completamente a suo agio in uno sfaccettato ruolo drammatico.

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