4 stagioni - 35 episodi vedi scheda serie
Serial televisivo, più poliziesco con venature horror che thriller, che si sostanzia in otto episodi di circa 50 minuti l'uno a fungere da tanti piccoli segmenti di un'unica storia. In altre parole, la prima stagione di True Detective, giunto al momento a tre edizioni, ha un contenuto unico ovvero non formato da tante piccole storie unite da un filo rosso come a esempio X-Files. Lo scenaggiatore, nonché ideatore Nick Pizzolatto, da infatti il là a un interminabile lungometraggio proposto in otto episodi. La soluzione permette di lavorare molto bene sulla caratterizzazione dei due detective protagonisti, ma non viene sfruttata al massimo per delineare i connotati di una storia avvincente e coinvolgente. Se il progetto alla fine riesce il merito va soprattutto alle interpretazioni dei due protagonisti Matthew McConaughey e Woody Harrelson, semplicemente fantastici, e anche ai dialoghi e ai monologhi che assumono presto tratti filosofici/esistenziali con spunti molto interessanti legati al senso della vita e al ruolo della religione. Ciò premesso, si rivela invece un po' debole l'intreccio thriller costruito con taglio poliziesco anziché giallo e con molte dispersioni contenutistiche che, spesso e volentieri, rendono difficoltoso seguire l'evolvere dei fatti. Evidenti almeno due citazioni, una a Seven (uccisione del primo sospettato, ma anche la messa in scena della prima vittima che ricorda, pur se per ragioni diverse e con venature esoteriche, le messe in scena del killer di Fincher), con un depistaggio dei due poliziotti assai superficiale per coprire un loro omicidio gratuito (sarebbe bastato effettuare l'esame del c.d. "guanto di paraffina" per dimostrare come la ricostruzione spiegata dai due detective era del tutto falsa), e l'altra a Non Aprite quella Porta, con una famiglia che vive in una sorta di baracca immersa in campagna con cadaveri, reperti necrofili, rapporti incestuosi e un killer obeso e dalla faccia rovinata da cicatrici.
Pizzolatto inoltre, da scrittore professionista dato che è anche un romanziere, introduce degli elementi che si avvicinano alla letteratura del weird moderno, penso alle elucubrazioni del personaggio di McConaughey che sembrano a metà strada tra H.P. Lovecraft e Thomas Ligotti e che rappresentano l'uomo come un essere dal valore marginale rispetto all'universo, con un'impronta pessimista che definirei cosmica e che non riconosce alcuna speranza all'uomo e tende a escludere persino l'ambito sogno dell'immortalità dell'anima. Si assiste poi a un tentativo, direi alquanto abbozzato e per niente sviluppato, di chiamare in causa il celebre Il Re Giallo dello scrittore Chambers, ma lo si fa più a livello nominativo che contenutistico non ravvisandosi un vero omaggio all'autore americano contemporaneo e ispiratore di Lovecraft.
Il punto di forza di True Detective, lo ripetiamo, è allora da ricercare nelle caratterizzazioni dei due poliziotti. Uno direi piuttosto standard, interpretato dall'indimenticabile protagonista di Natural Born Killers, Woody Harrelson, classica figura del detective che antepone il lavoro alla vita privata, con i casini con le figlie (una, come dice lui, è la capitano della sezione puttane della scuola) e dagli scatti d'ira che non riesce a controllare, con una moglie che ha provveduto a cornificare con diverse ragazzine.
L'altro, il collega, è un personaggio costruito, a livello di scrittura, in modo magistrale, una sorta di criminologo (inteso all'americana) deviato e deviante, che snocciola disquisizioni filosofiche orientate al metafisico. Freddo e calcolatore, non disdegna alcool e droga. A differenza dell'altro è tendente al solitario, essenziale nella vita privata (eloquente l'arredamento assai spiccio e lacunoso della sua abitazione, con cataste di libri a terra e assenza di armadi), ed è la vera anima e la motrice della coppia ("senza di me tu saresti nessuno" dice al collega). Un personaggio dalla forte impronta pessimista, generata anche dalla prematura morte di una figlia, che ha una visione della vita che mi verrebbe da definire lovecraftiana, in cui l'uomo sta all'universo come una mosca sta all'uomo, ovvero del tutto insignificante. La sua, a differenza della caratterizzazione del personaggio di Harrelson senz'altro più cinematografica e muscolare, è una costruzione dalla maggiore impronta letteraria (si pensi allo Sherlock Holmes di Conan Doyle dipendente dalla cocaina o ai detective di Matthew Shiel e di Sax Rohmer).
La storia, che ha un arco temporale di circa venti anni (bravi gli addetti al trucco a invecchiare i due attori), viene proposta con una serie di flashback alternati al presente. La scelta rende meno pesante un soggetto che scorre in modo molto lento e, ripeto, che regge assai bene perché i due attori sono eccelsi, così come i dialoghi e i relativi monologhi (altro punto di forza del progetto). Manca un po' di pepe, pur essendoci sprazzi di azione e alcuni momenti di tensione (non molti in verità). Il regista ci mette del suo per rendere accattivante la visione e quando il film entra nel vivo dimostra ottima tecnica, purtroppo però non ha grande spazio per dare sfogo alle proprie qualità.
Molto bello, a livello scenografico e fotografico, il covo del killer in una grotta labirintica corredata di rovi e ramificazioni varie intrecciate a formare amuleti di derivazione voodoo (anche se poi ai fini della storia l'esoterismo è solo una facciata che copre delitti di stampo pedofilo-sessuale).
Confezione tecnica molto buona (fotografia e colonna sonora in primis), specie se si considera che è un prodotto televisivo.
La serie è stata appoggiata ed esaltata da molti spettatori con diversi che hanno parlato di capolavoro. Non mancano tuttavia i detrattori, tra i quali Quentin Tarantino, che hanno fatto notare come il tutto proceda in modo lento e quasi confusionario con un'impronta, probabilmente, non troppo commerciale. Ad avviso di chi qui scrive è un serial che esalta le doti dei due attori, soprattutto quelle di McCounaughey che offre i tratti di un personaggio apatico sospeso tra due mondi (non a caso ha delle visioni) poco interessato, sotto il profilo emotivo, da ciò che gli succede intorno. Harrelson tende al ripetitivo con i suoi continui spostamenti della lingua, sia fuori dalla bocca che all'interno, facendo pressione in continuazione sulle guance, alla fine però fa anche lui una buona impressione. E' allora merito dei due attori e dei dialoghi di Pizzolatto se il progetto è da salvare e ricordare. Sufficiente, ma con interpretazioni e dialoghi ottimi.
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