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The Affair

5 stagioni - 53 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 5

  • 0-2019
  • 11 episodi

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mck

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La recensione su The Affair

di mck
8 stelle

This Land (Burned & Submerged) Is My Land.

 

“The Affair 5”: una storia “alla #MeToo”: incendi e inondazioni.

I presunti problemi verificatisi sui set delle passate 4 stagioni denunciati da Ruth Wilson riguardo ad un ambiente di lavoro “ostile/tossico” (instaurato nei suoi confronti dalla creatrice Sarah Treem) e a delle situazioni “poco sicure” (rese tali per l’attrice dal regista Jeffrey Reiner) vengono cristallizzati e catalizzati (per non dire inglobati, digeriti ed espulsi) in questa 5a ed ultima di “the Affair” già dal primo episodio, un piccolo capolavoro di gestione – come sempre – rashomonica dei punti di vista (con un paio di stoccate “ad personam”: tre differenti paia di tette altrui esposte e il… “suo” cadavere ritrovato, cui seguirà per par condicio politicamente corretta un semi-full frontal maschile con conchiglia anatomica inguinale, oltre a dodicenni che trincano direttamente da magnum di spumante).

E, a proposito di narratori affidabili e inaffidabili à la Akutagawa/Kurosawa, questa metacinematografica (elemento incarnato da un Claes Bang - da “the Square” a “ther NorthMan” - forse senza “quel” preciso e necessario physique du rôle nei panni di Sasha Mann, un regist’attore stella di Hollywood tipo George Clooney e/o Warren Beatty) stagione finale chiarisce e ribadisce ulteriormente e definitivamente come stanno le cose: “Fin’ora ho girato in entrambi i modi, così da decidere al montaggio, ma non intendo girare tutto il cazzo di film così!”. Poi, verso la fine, nel penultimo episodio, il caleidoscopio dualistico di versioni trova un punto d’incontro alla “the Last Duel”, col narratore che diventa affidabile perché doppio: Noah & Helen, a dirsi quel che c’era da dirsi.

 

 

Purtroppo quest’ultima annata conferma pure un certo approccio disinvolto verso la scienza dura e pura (ch’è sì una tautologia, m’anche una definizione): se da un lato prima ripropone la pratica delll’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) per la gestione, il trattamento e la cura di PTSD, di cui però sembra non condividerne in pieno la reale efficacia - e non certo solo perché fra i protagonisti, chi la pratica, in questo racconto, è un assassino -, e poi, invece e per contro, introduce una tematica nuova, l’epigenetica (che no, non è l’ambiente che modifica il DNA instillando in esso una “memoria” comportamentale “lamarckiana” collegata ad eventi traumatici trasmissibile ai figli, ma una cosa molto più complessa in cui non avviene alcuna modificazione del genotipo, bensì una diversa gradazione nell’attivazione dei geni instillata da condizioni e circostanze esterne che non siano, per dire, radiazioni, ma forti stress psicologici che lasciano un’impronta mnemonica perpetuabile alle generazioni future su base biologica e non “culturale”), portando all’attenzione dello spettatore come esempio un dato di fatto (si veda Nature Neuroscience, e un estratto da le Scienze), ovvero il processo di metilazione (sì, ma nei roditori, non nei primati superiori), dall’altro, soprattutto, discetta del perigeo lunare (la cosiddetta dalla stampa di Topolinia “Super Luna”), avventurandosi in elucubrazioni sulle “relative” conseguenze ed effetti sulle maree degli oceani terrestri, che fanno inneggiare alla jihad illuministica (tanto nel senso di illuminismo quanto in quello del mettere al rogo i ciarlatani).

La showrunner e co-creatrice Sarah Treem scrive il primo, in parte il penultimo e poi l’ultimo episodio, che dirige ella stessa, mentre le altre regie appartengono a Colin Bucksey con tre episodi, poi Steve Fierberg e Toa Fraser con due ed Eva Vives, Silas Howard ed Allison Anders ognuno con un episodio a testa.

 


Crocevia di EMDR, epigenetica e perigeo lunare è Joanie Lockart, il personaggio (adulto) “introdotto” in questa stagione (nelle due precedenti era una bambina) e interpretato al meglio da Anna Paquin, che sceglie la via più difficile: non quella del perdono, ma quella di non applicare la legge del taglione. (Ottima prova anche per Julia Goldani Telles, mentre completano il cast delle principali new entry Jennifer Jason Leigh – che recita la parte della madre del personaggio interpretato da Emily Browning e che ha un bel duello attoriale in una scena con la fenomenale Maura Tierney – e Michael Braun, l’epigenetista, che si scoprirà – intuendolo sin dalla sua prima entrata in scena – essere il figlio di… “spoiler”.)

La felicità, insomma, compare nell’esistenza di un essere umano con una frequenza simile a quella con cui Brigadoon spunta dalle brume del tempo. E spesso, in quel mentre ch’è la danza della vita, si balla.

Auspicio (che per alcuni, tipo il sottoscritto, è già un dato di fatto, grazie): in “the Affair” si prevede che fra 30 anni “Phantom Thread” sarà considerato un classico.

Il tutto (finale madmeniano compreso), al tirar delle somme, poteva essere gestito meglio? Sì. Ma comunque… “Ne verrà fuori una gran bella storia...”.

E la si potrebbe intitolare “Montauk, Via Lattea” (by Stacey Solloway).

“Due astronauti s’incontrano sulla Stazione Spaziale Internazionale; s’innamorano follemente, ma è un amore sventurato. Cercano di dimenticarsi, si rifanno una nuova vita con persone diverse, ma nel profondo sono ancora innamorati l’uno dell’altra. Finché un giorno, s’incontrano di nuovo, sul lato opposto della galassia, perché per tutto il tempo, quando credevano di allontanarsi, in realtà erano in orbita.”

 

 

Da una parte, la East Coast, col faro che resiste allo scrosciare tempestoso dell’innalzantesi oceano e, dall’altra, un intero continente, il resto dell’America, e tra loro, lei.

It is always a matter, my darling,
Of life or death, as I had forgotten. I wish
What I wished you before, but harder.

(Richard Wilbur, “the Writer”, 1969)

* * * ¾ -

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Da Fiona Apple

I was screaming into the canyon
At the moment of my death
The echo I created
Outlasted my last breath

My voice it made an avalanche
And buried a man I never knew
And when he died his widowed bride
Met your daddy and they made you

I have only one thing to do and that's
To be the wave that I am and then
Sink back into the ocean…

(La canzone, “Container”, è stata scritta nel 2014 per i titoli di testa della serie, e ne descrive “perfettamente” lo svolgersi a venire, accompagnandone gli eventi sino al 2019, e al 2053.)

…a Fiona Apple (cover di “the Whole of the Moon” dei WaterBoys), volteggiando (Dominic West) sulla scogliera.

(Quanto vorrei essere quel filtro anti-pop!)

 

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