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The Affair

5 stagioni - 53 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 2

  • 2015-2015
  • 12 episodi

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mck

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La recensione su The Affair

di mck
8 stelle

“Essere vivi è essenzialmente una condizione molto solitaria.”

 

Dove eravamo rimasti.
“C’è un’ipotesi, nella fisica teorica. [...] La nostra vera vita continuerebbe invariata, ma al momento della decisione si creerebbe una nuova vita in un universo parallelo.”

 

 

Per questa seconda stagione, delle cinque totali, di "the Affair", la decisione di cui sopra è quella di aprire, oltre a quelli dei due protagonisti, Noah “Tontolone” Solloway (Dominic West) e Alison “Bel Broncio” Bailey, ex Lockhart e non ancora Solloway (Ruth Wilson), anche ai PdV di Helen Butler, ex Solloway (Maura Tierney) e Cole Lockhart (Joshua Jackson), aumentando così le possibilità dello spettro narrativo e della segmentazione e ripartizione dei piani e delle linee spazio-temporali (i primi 2 ep. bipartiti raccontano la stessa storia da prospettive differenti, per un totale di quattro versioni, una consecutiva all’altra e con relativi restart, e, proseguendo lungo la stagione, a volte le coppie/binomi prevedono, di volta in volta, o una visuale parallela/sovrapposta, totalmente o in maniera parziale, con la seconda volta che fa ripartire il flusso da capo, o una conseguente, con la storia che prosegue là ove s’era interrotta, ma cambiando il testimone narrante), e il fatto che Maura Tierney abbia a disposizione più minutaggio, e più eterogeneamente caratterizzato (non solo come gli altri la vedono, ma anche come lei vede sé stessa e gli altri), è una manna per una serie sì adulta e seria, ma comunque sempre troppo “spinta” verso la “novela”.

Diretto da John Dahl, un esempio che spacca: Maura Tierney + Lucinda Williams ("Changed the Locks"). Giusto un assaggio, eh.

 

L’espletazione/confessione: «“the Affair”? A “Porn By Another Name”!»

E questa seconda è, infatti, anche la stagione in cui la serie metacinematograficamente “risponde”, in maniera esplicita, didascalica e autoironica alla sua stessa duplice evidenza, tanto quella sessuale, ad esempio quando Alison dice a Noah, parlandogli di “Descent”, il suo libro “milleriano” (e in questi nuovi 12 ep. sono molti gli scrittori statunitensi contemporanei, e al tempo viventi, citati direttamente: ovviamente Philip Roth, e poi, per un verso o per l’altro, Jonathan Franzen e Charles Frazier, oltre a, per una questione immobiliare, gli ex coniugi Jonathan Safran Foer e Nicole Krauss, sino ad arrivare alla partecipazione diretta di Sebastian Junger, mentre il prossimo lavoro di Noah dovrebbe essere una biografia di Omar Bradley, generale al comando della I armata durante la campagna di Normandia che si vocifera ebbe una relazione con Marlene Dietrich), che del romanzo ha “letto solo qualche pagina, ma… fin’ora a quanto pare è tutto una scena di sesso”, quanto quella architettonica, quando Max (Josh Stamberg) dice a Noah e Alison, per tentare di calmare le acque, che pensa che loro due abbiano solo delle “piccole divergenze di opinione riguardo ad alcuni eventiche hanno vissuto. 

 


Ottime new entry per Catalina Sandino Moreno (Luisa León in Lockhart), Richard Schiff (l’avvocato difensore), Jeremy Shamos (il conciliatore divorzista), Mark Margolis (il padre di Noah), Cynthia Nixon (la terapeuta di coppia), James Naughton (un produttore off-hollywood), Virginia Kull (l’ostetrica più bella del mondo), Peter Friedman (a cui spetta la battuta migliore - oltre a quella posta in esergo a questa pagina -, nella scena in cui Alison sta aiutando il suo personaggio nella riabilitazione di un menisco: “Non farti mai prendere in giro sulla vecchiaia. Tutti dicono che è gratificante. Sai cos’è davvero gratificante? La cartilagine!”) e Joanna Gleason (la coppia di locatori). A Colin Donnell, invece, spetta un’ottima versione live on set, con epifania correlata (ascoltabile in sottofondo), di “House of the Rising Sun”.

 

Sarah Treem, la creatrice (con Hagai Levi), scrive i primi due e l’ultimo episodio, lasciando Abe Sylvia, Sharr White, Anya Epstein, Alena Smith e David Henry Hwang spartirsi gli altri 9. A dirigere quasi la maggioranza degli episodi (cinque - compresi i primi due e l’ultimo-, quasi la metà del totale) è Jeffrey Reiner, mentre due a testa toccano alla coppia formata da Anna Boden e Ryan Fleck e a Laura Innes, con (il già ricordato) John Dahl, Scott Winant e Michael Slovis a completare il quadro.

Poi, sul finire, giusto una canzonetta, di manco due minuti, così, per gradire.

(Caso volle che, più o meno nello stesso periodo in cui assistevo, con 6 precisi anni di ritardo, al finale della 2ª stag. di “the Affair”, un magnifico Art Grafunkel decidesse di caricare su YT questa splendida versione acustica, sfornata dal terrazzino del suo attico su Central Park, della celeberrima “April Come She Will”, scritta dall’immenso Paul Simon, dal loro “Sound of Silence” del 1966.)

“Essere vivi è essenzialmente una condizione molto solitaria.” 

* * * ¾ - 7½      

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