3 stagioni - 30 episodi vedi scheda serie
Pazzi in U.S.A. (e Australia) aka “Per Fortuna c’è Nora”
Serie HBO andata in onda per la prima volta dal giugno 2014 al giugno 2017, “The Leftovers” segnò il ritorno alla produzione televisiva – dopo un quadriennio - del (famigerato) sceneggiatore Damon Lindelof; per i suoi estimatori (per chi lo ignorasse) Lindelof è stato il creatore di “Lost”. Per i suoi detrattori, invece, è stato il creatore di “Lost”….
Serie comunque epocale – fonte di una “mitologia” infinita e “sdrucciolevole” - della quale ho un ricordo vago (visto il tempo trascorso dalla visione, ma ricordo una ventina di minuti di pianti e singhiozzi della mia abituale compagna di visione al termine della puntata finale…[sotto il mio sguardo attonito e colpevole]) ma mi pare che, un po’ alla “Dexter”, fino alla metà del guado – la terza/quarta annata sulle sei totali – lo spettacolo funzionasse sufficientemente bene. Per poi dissolversi in una miriade di (spesso assurdi) fili narrativi impossibili poi da finalizzare coerentemente. Lezione probabilmente appresa col tempo da Lindelof che, per questo lavoro seriale, ha preferito optare per 28 “agili” episodi (divisi in 3 stagioni da 10 episodi – le prime due – e 8 la terza) della durata di 50-60 minuti l’uno (più qualche mini-film di un’ora e un quarto) diretti da registi vari tra i quali meritano una citazione Peter Berg (“Hancock”), Mimi Leder (“The Peacemaker”, “Deep Impact” etc) e Carl Franklin (“Out of Time”).
Antefatto: il 14/10/2012 il 2% della popolazione mondiale sparisce misteriosamente. Conseguenze: il restante 100% circa (ricalcolato) della popolazione mondiale impazzisce. Semplificando, il plot è tutto qui. Basandosi sul libro omonimo dello scrittore Tom Perrotta (saggiamente adattato in cooperazione con Lindelof) si scandagliano le reazioni dei superstiti. Punto d’azione è l’immaginaria cittadina U.S.A. di Mapleton che, 3 anni dopo gli eventi del “10/14” (un immaginario “9/11” mondiale), prova a ripartire.
Sono fiorite nel frattempo sette più o meno ufficiali (i “colpevoli sopravvissuti” la più bizzarra), integralismi più o meno ortodossi e psicologie più o meno disturbate. “Reazioni” umane filologicamente standardizzate dal filone catastrofico-(post) apocalittico della serialità a stelle strisce. Con in più un non apertamente espresso - ma spesso accennato - arretramento delle regole democratiche in favore di un progressivo (violento e sbrigativo) totalitarismo. Conseguenze poi non così lontane della realtà per un’umanità alle prese con il Covid 19 (varianti incluse) e le sue - spesso incoerenti e assurde - scorie post-umane.
Ma, dicevamo, Lindelof ha trovato per questo lavoro la giusta misura: le trovate sapientemente folli – che non mancano- sono ben integrate in puntate dove i “ganci” e le sorprese sono quasi tutti perfettamente calibrati. Il tono apocalittico la fa ovviamente da padrone ma le ridondanze religiose ed esistenziali sono smorzate dalla molteplicità dei punti di vista dei vari personaggi. “The leftovers” fa quindi del racconto corale la sua caratteristica principale, nonostante l’innegabile centralità del bravo Kevin Garvey/Justin Theroux (un misto tra Gesù Cristo e Willy il Coyote), poi parzialmente condivisa con lo splendido personaggio di Nora Durst/Carrie Coon.
Non avevo ancora parlato di Carrie ? Carrie Coon ? Illumina, anche con i suoi cipigli, ogni singola sequenza che la vede protagonista; attrice poliedrica dalla bellezza spigolosa e non comune (non-standardizzata), si dimostra capace di drammatizzare silenziosamente – con il solo utilizzo dello sguardo e degli (essenziali) ammiccamenti del volto cubista - varie gamme di stati d’animo. Nonché capace di pervasiva espressività, sia negli scoppi d’ira che nel leggere burocratici test assicurativi.
Anche gli altri interpreti fanno un ottimo lavoro, sugli scudi sicuramente l’ottima (infestante) Patti Levin/Ann Dowd, il penitenziale e apostolico Matt Jemison/Christopher Ecclestone, ma anche il veterano Kevin Garvey Sr./Scott Glenn e Lauren Garvey/Amy Brennemann.
Una citazione speciale anche per le ottime sigle delle tre stagioni: la prima accompagnata dal crescendo strumentale del “Leftovers Theme” (su affreschi apocalittici “prospetticamente” disvelati) composto da Max Ritcher (già autore delle musiche di “Valzer con Bashir” e poi di “Arrival”), la seconda dall’ottima country-folk song “Let the Mistery Be” (della cantante statunitense Iris Dement) su suggestivo tappeto visivo di foto familiari “In Absentia” che accompagneranno anche la stagione finale, ma quest’ultima con un accompagnamento differente per ogni episodio.
“Noi abbiamo perso loro. Loro hanno perso noi”
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta