2 stagioni - 14 episodi vedi scheda serie
Natura selvaggia.
La miniserie del 2012, in tutto e per tutto creatura e creazione della regista Jane Campion (seppur diretta in collaborazione con Garth Davis), si inserisce a pieno titolo tra i lavori d’autore sulla carta più interessanti dell’ultimo periodo, sia per l’ambientazione insolita (la Nuova Zelanda) che per l’argomento scabroso (la pedofilia).
La protagonista, un’algida Elizabeth Moss, ritorna nei luoghi della sua infanzia, quale poliziotta ma soprattutto esperta psicologa infantile, per coadiuvare la polizia locale sul mistero di una dodicenne rimasta incinta. Il suo percorso investigativo, ovviamente catartico, si intreccerà con problematiche personali (il rapporto con la madre) e traumi non risolti, rimasti sepolti sotto il peso degli anni passati. Un’eroina dolente e malinconica, figura a tratti stereotipata dell’idea di cinema femminista della regista statunitense, “pesantemente” presente in questo lavoro a puntate. I personaggi femminili creati sono quindi sfaccettati, indipendenti, fragili, smarriti ed imperfetti ma sostanzialmente osservati con sguardo di parte e positivista rispetto alle controparti maschili, nella quasi totalità dei casi descritti come gretti, violenti ed insensibili ma essenzialmente impotenti.
La marginalità della vita sull’isola ricorda alcune realtà suburbane americane, fatte di camper, tende e vite randagie ma anche di villette colorate dalle architetture moderne, di giornate lunghissime e di noia affogata in fiumi di alcool e bravate. Una varia umanità annichilita da una natura mastodontica, che le ottime riprese grandangolari ben inquadrano in tutta la sua selvaggia (non controllabile) dirompenza. Impressionante la dismisura tra le figurine umane e I colossali spogli (mitologici) poggi ai piedi delle aspre montagne dove vengono girate alcune suggestive scene: dismisura soprattutto concettuale, stante l’dea base del racconto, ovvero la potenza magica e matriarcale della natura. La quale, benevola e a volte matrigna, ci viene mostrata come elemento decisionale ultimo delle attività umane (“Il tuo corpo sa cosa fare” – Cit.), con i suoi riti insondabili. In una costante Interazione tecnologia – natura che la Campion ben conosce e sa ben rappresentare (ottima la fotografia) essendo nativa dell’isola e conoscendone parimenti le dinamiche sociali.
Forse un po’ di eccesso di manicheismo panteista rende a volte poco comprensibili ed eccessive alcune fasi (i ripetuti amplessi a cielo aperto, i “viaggi” psichedelici ed i rituali ancestrali) ma nel complesso il tutto ben si amalgama con la parte “investigativa” della vicenda narrata, con una buona tenuta della tensione e dei colpi di scena, con solo qualche esagerazione nel dirimere le vicende personali ed “anagrafiche” dei vari personaggi, qualche ellissi narrativa di troppo che lascia inesplorati alcuni sviluppi e qualche banale buco di sceneggiatura (tipo andare ad interrogare un sospetto pedofilo/omicida nella sua cascina nei boschi da sola, di notte e disarmata…).
Gli interpreti sono bravi nell’immedesimarsi nell’atmosfera della pellicola (non sempre convincente la protagonista), con sufficiente personalità (Peter Mullan e David Wenham su tutti). Molto buona la prova delle simpatiche caratteriste formanti la Comunità “Paradise” (soprattutto Geneviève Lemon e Robyn Malcom) e stuzzicante ma alfine non imprescindibile la “sciamanica” presenza di Holly Hunter (che compare per una quindicina di minuti scarsi), per la seconda volta concessasi alla serialità televisiva dopo “Saving Grace” del 2007-2010.
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