5 stagioni - 20 episodi vedi scheda serie
London Bridge is falling down
La lista dei serial prettamente polizieschi, interamente prodotti e realizzati in Inghilterra, si arricchisce di un nuovo eroe: John Luther, interpretato dall’inglese Idris Elba. Molto noto (anche) a livello internazionale, la sua investitura nei panni del detective nato dall’idea dell’autore Nick Cross è stata probabilmente molto azzeccata, per porre il giusto risalto su un personaggio a suo modo innovativo nel panorama dell’abusato mondo delle serie tv generaliste, soprattutto americane.
In quanto, per chi scrive, rappresenta un buon ibrido tra l’imperante irruenza della “scuola” d’oltreoceano, stilisticamente imperante, e la ricerca di atmosfera della controparte britannica, al limite dell’affettazione, ben rappresentata nell’ultimo periodo dall’evidente diversificazione stilistica di telefilm quali “Broadchurch”, “I Misteri di Brokenwood”, “Whitechapel”, “DCI Banks” e “Grantchester”. Contrapposizione oltre che concettuale anche prettamente numerica (qualitativa ?), ove dal lato (ex)europeo si mira anche ad un contenimento delle puntate (solo sedici per 4 stagioni, in questo caso) rispetto alla fiumana di episodi delle coeve U.S.A., di solito mai al di sotto della 60ina.
Un personaggio ben tratteggiato, e parimenti ben caratterizzato da Elba, “giganteggia” in puntate di una 50ina di minuti l’una, con casi di giornata (di solito “risolti” in due episodi) ed una storia orizzontale che affronta le vicissitudini (anche lavorative) del nostro, a causa della confusionaria vita personale e del suo “sghembo” modo di risoluzione dei casi. Ci viene presentata, subito dalla 1^ puntata, anche quella che può essere considerata la co-protagonista del telefilm, nonostante non compaia in tutti gli episodi: la psicopatica Alice Morgan, interpretata dalla brava attrice inglese Ruth Wilson, personaggio originale forse al pari del protagonista.
Anche l’ambientazione londinese (oltre all’impeccabilità di tutti gli interpreti coinvolti) risulta confacente alle tematiche trattate. Perché, come ripete spesso un mio conoscente londinese, “A Londra esiste un’unica grande stagione. Piovosa”. Ci si aggira quindi in ambienti cittadini poco illuminati, grigi e tendenti allo squallore, dove mancano del tutto i contrasti cromatici naturalistici di altri telefilm, anch’essi britannici, ad ambientazione però rurale.
Un soggetto ed uno svolgimento ispirato, con un ottimo ritmo (che spesso “inchioda” alla poltrona) ma purtroppo non esente da difetti; quali qualche percettibile sbavatura a livello di scrittura (alcune soluzioni poco credibili ed il finale un po’ sbrigativo) ma soprattutto l’esasperazione di un particolare che caratterizza in toto tutti i polizieschi inglesi: il fatto che gli agenti vadano in giro, di pattuglia o per indagini, completamente disarmati (accade anche nella realtà, le squadre armate intervengono solo se attivate). Elemento che stiracchia la sospensione dell’incredulità dello spettatore, disposto ovviamente ad accettare l’eroismo del protagonista ma non il continuo ripetersi di inseguimenti per acciuffare uomini armati fino ai denti, con pistole e armi varie, forniti solamente di coraggio, incoscienza e parlantina.
Si ha pertanto la sensazione (forse voluta) che tra i criminali e la polizia sia quest’ultima il soggetto “debole”, spesso impotente di fronte alle azioni di una schiera di antagonisti (noti da subito) particolarmente efferati, ben tratteggiati ed altrettanto originali nelle loro caratteristiche principali (memorabile, per esempio, il killer che si ispira ad un GdR [Gioco di Ruolo]).
Problematiche minime, comunque, di una serie TV che si eleva molto al di sopra della mediocrità imperante nel mare magnum televisivo, con l’innegabile pregio di aggiungere all’immaginario collettivo un altro personaggio memorabile ed icònico.
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