6 stagioni - 27 episodi vedi scheda serie
STRIKING VIPERS
Ebbene, dallo scorso 5 Giugno, è disponibile su Netflix l’attesissima nuova stagione dell’acclamata serie antologica Black Mirror, ovvero la numero 5. Ideata e prodotta al solito dalla fervida mente iper-fantasiosa del geniaccio Charlie Brooker.
Stavolta gli episodi sono solamente tre, tutti come sempre della durata di circa un’ora.
Partiamo dalla recensione, dunque, del primo: Striking Vipers (Il morso della vipera).
Ah, premettiamo che riveleremo alcuni decisivi spoiler. Naturalmente, se voleste proseguire nella lettura di questa nostra breve disamina, vi conviene fermarvi qui.
Diretto da Owen Harris, Striking Vipers è un gioiellino pregevole di raro cinismo delicato, in puro stile appunto Black Mirror, affastellato intorno all’eterno quesito secondo il quale pare che venga chiesto a noi spettatori se un rapporto sessuale virtuale, fantasticato, baloccato di fantasie proibite nelle nostri menti eXistenZ-iali alla David Cronenberg sia da reputarsi un reale tradimento o soltanto un’innocua debolezza, per quanto inquietantemente scabrosa, delle nostre anime capricciose e desiderose di segrete voglie perturbanti e libidinosi pruriti inconfessabili svelatisi nel simulacro eccentricamente ludico di una balzana, spericolata immedesimazione corporalmente trascendente, permeata e trasfusa nell’identità fittizia di un avatar memore di Street Fighter. Entro cui, ex novo, possiamo soddisfare le nostre bramosie più celate nella vita quotidiana a sua volta mascherata nell’eterosessualità all’apparenza più normale e ordinaria.
Sì, questa infatti è la trama:
Danny (il Sam Wilson/Falcon di Captain America, vale a dire l’attore Anthony Mackie) e Karl (Yahya Abdul-Mateen II) sono due inseparabili ex compagni d’università che amano spassarsela, nel tempo libero, con le donne.
Danny, durante una serata in discoteca, incontra Theo (Nicole Beharie). Fra i due scoccherà subito la scintilla e sarà focosa passione a prima vista, il classico, fortunato colpo di fulmine imprevisto.
Tant’è che i due diverranno presto moglie e marito.
Danny e Karl son stati da sempre fanatici dei videogiochi di combattimento, i cosiddetti picchiaduro. Soprattutto del game appartenente alla serie Striking Vipers.
Nel giorno del compleanno di Danny, Karl gli regala la nuova versione dotata di un upgrade alquanto rivoluzionario. Adesso, non si gioca più a Striking Vipers col joypad bensì, grazie a elettrodi vagamente simili a quelli usati da Lenny Nero/Ralph Fiennes di Strange Days, si viene trasportati nei corpi dei vari lottatori selezionati.
Cosicché, Danny sceglie di penetrare e inocularsi nelle fattezze extrasensoriali, potremmo dire, del muscoloso e atletico karateka Lance (Ludi Lin) mentre Karl sceglie come sua sorta di alter ego la pugnacemente sexy Roxette (Pom Klementieff).
I due inizialmente se le daranno di santa ragione. Poi, i colpi si trasformeranno repentinamente in baci, effusioni e congiunzioni carnali parecchio amorose.
In fondo, che è successo di tanto scandaloso? Danny e Karl non sono gay, hanno fatto sesso fra loro solo nella dimensione irreale e favoleggiata di questo divertente, scacciapensieri gioco infantile.
Siamo sicuri che sia però così?
Questo tradimento virtuale così tanto reiterato e prolungato avrà lasciato immutate le loro intime certezze o avrà insondabilmente e visceralmente alterato il loro disinteressato, amicale rapporto interpersonale? Cambiando entrambi i protagonisti per sempre?
Splendide le scenografie modernisticamente decorative di Annie Beauchamp, qui coadiuvata e sorretta magnificamente da prodigiosi effetti speciali che generano in maniera fantasmagorica e mirabolante un microcosmo (ri)creativo il quale mescola attori in carne e ossa a computerizzati scenari figli dei picchiaduro più famosi, atmosfere orientaleggianti che possono richiamare alla memoria addirittura Kill Bill e perfino le atmosfere piovigginose e tetramente fluorescenti di Blade Runner e Black Rain.
Striking Vipers, dicevamo, è una perla, uno degli episodi migliori in assoluto di tutto Black Mirror.
Direi che come inizio per la stagione cinque non poteva esservi di meglio.
Inoltre, c’è parso d’intendere che, nonostante il solito cinismo sarcastico di fondo, il futuristico e profetico pessimismo tipico di Charlie Brooker, in passato indubbiamente ai limiti della sopportabilità, si sia leggermente, positivamente attutito in favore di una maggiore leggerezza narrativa.
Malgrado qualche dialogo troppo marcatamente giovanilistico e alcune volgarità onestamente stucchevoli ed eccessive.
SMITHEREENS
Dopo la recensione del primo, entusiasmante episodio di Black Mirror stagione 5, qui recensiamo il secondo di questa suddetta nuova stagione, ovvero Smithereens.
Diretto da James Hawes, diciamolo subito per non incorrere in fraintendimenti: Smithereens è decisamente poco efficace, per non dire banale. Anche se, a essere onesti, dovremmo liquidarlo semplicemente col termine esatto che si meriterebbe, ovvero brutto.
La trama è questa:
un tassista di nome Chris Gillhaney (un comunque bravissimo Andrew Scott), nonostante numerose sedute psicanalitiche, non riesce ancora a darsi pace poiché si ritiene l’involontario responsabile della morte della sua donna, deceduta in seguito a un grave incidente stradale da cui lui è rimasto miracolosamente illeso ma che ha ucciso, oltre a lei, perfino il guidatore dell’autoveicolo che s’è schiantato loro contro.
Un giorno ha una violenta crisi psicotica e, nel suo tassì, prende in ostaggio un uomo di nome Jaden, (Damson Idris), credendo di trovarsi di fronte a uno dei pezzi grossi di Smithereens, ovvero l’azienda creatrice di un’app simile a Facebook e Twitter che Chris identifica come capro espiatorio della tragedia occorsagli. Infatti, lui è convinto che non sarebbe successo nulla se, in quella notte in cui morì la sua donna, non si fosse distratto alla guida, utilizzando Smithereens per controllare una notifica. Lui e la sua donna sarebbero rincasati sani e salvi e avrebbero vissuto felici e contenti per tutto il resta della vita.
Chris scopre però immediatamente che l’uomo da lui rapito altri non è che un povero stagista.
Al che, la polizia comincia a inseguirlo, a pedinarlo lungo le campagne e Chris, a quel punto, accerchiato dalle forze dell’ordine, affonda nella disperazione più assoluta.
Il negoziatore David Gilkes (Daniel Ings) prova ad arrivare a una soluzione pacifica, tentando di mediare con Chris. Il quale però, temendo di venir ingannato, per la liberazione del suo ostaggio, pone come condizione la possibilità di mettersi in contatto con l’artefice di Smithereens, vale a dire Billy Bauer (Topher Grace). Il capo di questa potentissima corporazione, un guru che vive nella sua casa lussuosa, isolata nel deserto.
Ebbene, abbiamo sempre lodato Black Mirror e soprattutto il suo geniale inventore Charlie Brooker per essere stato il padre di una serie che c’ha continuamente stupito, essendosi saputo reinventare perennemente, ingegnandosi brillantemente nel partorire storie dagl’intrecci fantasiosamente mirabili.
Stavolta però, ci piange il cuore, dobbiamo ammetterlo: Brooker c’ha stupefatto in peggio. Perché Smithereens è innanzitutto un episodio troppo prolisso che si dilunga in retorici piagnistei retorici e, in alcuni punti, risulta davvero soporifero e prevedibile.
Perché da Charlie Brooker c’aspettiamo lecitamente di più. Brooker, invece, come detto, s’è limitato stavolta a un j’accuse loffio contro il potere malsanamente valoriale e distorsivo delle nostre abusate, internettiane reti sociali
Un moralistico pistolotto pieno zeppo di luoghi comuni con un finale insopportabilmente pietistico che sembra fare il verso a Un mondo perfetto di Eastwood nel suo scontato e programmatico cinismo di maniera. Sì, il cinismo è il marchio di fabbrica di Black Mirror ma qui il colpo di scena è stato telefonato. Quindi, non è stato affatto un colpo di scena vero e proprio, sorprendente ed emozionante, bensì un calcolato giochino talmente ovvio d’averci lasciato increduli.
No, grazie. Tutto già visto. L’unico motivo di reale interesse di quest’episodio è Andrew Scott che ha saputo riprodurre, soprattutto negli ultimi venti minuti, tutta la folle, crepitante ansia di un uomo crollato a pezzi.
Che Andrew Scott fosse bravo, lo sapevamo.
Quello che invece abbiamo saputo è che anche Charlie Brooker può rivelarsi, come in questo caso, fallimentare.
Speriamo che si sia trattato del classico, perdonabile errore di percorso.
D’altronde, dopo 5 stagioni, appunto, prima o poi doveva sbagliare anche lui.
RACHEL; JACK AND ASHLEY TOO
Eccoci arrivati al terzo episodio conclusivo della stagione 5 di Black Mirror, ovvero Rachel, Jack and Ashley Too che vede, come protagonista assoluta, nientepopodimeno che la super star del pop Miley Cirus.
Rachel, Jack and Ashley Too dura circa 67 minuti ed è diretto da Anne Sewitsky.
Questa la trama:
una ragazza di quindici anni di nome Michel (Angourie Rice, The Nice Guys, Spider-Man: Homecoming) si è trasferita in una nuova cittadina assieme al padre (Marc Menchaca), uno strampalato inventore d’una macchina per la derattizzazione dei topi, e alla sorella maggiore che ha un nome maschile, Jack (Madison Davenport).
Michel è depressa, non riesce ad ambientarsi a scuola e, come succede a molte adolescenti, passa le giornate da sola, afflitta dal suo mal di vivere, estraniandosi dalla realtà e trovando compensazione al suo disagio psicologico nel proiettare i suoi sogni fustigati nella diva-cantante da lei idolatrata, Ashley O (Miley Cirus).
Ashley O, per far felici i suoi fan, guidata dalla sua inseparabile, dispotica e arcigna manager, la zia Catherine (Susan Pourfar) e dalla sua promozionale equipe, ha creato una bambolina robot che vagamente riproduce le sue fattezze, affinché quest’elettronica doll, dotata di intelligenza artificiale, possa tenere compagnia alle sue ammiratrici teenager.
Michel, per il suo compleanno, chiede a suo padre di regalargliela. E lui acconsente a questa dolce sua richiesta.
La bambola diventa allora per Michel una sorta di assistente sociale e di tutor che la sprona a ritrovare la fiducia in sé stessa.
Nel frattempo, la vera Ashley, in maniera inversamente proporzionale a Michel che, come detto, si sta invece risollevando dal suo stato depressivo, comincia progressivamente a immalinconirsi in maniera allarmante.
Tant’è che sua zia, preoccupata della sua salute psichica o probabilmente, per meglio dire, soltanto allertata dal timore che Ashley possa deludere il suo enorme pubblico, la imbottisce di tranquillanti.
Ashley O collassa e cade in coma farmacologico.
A questo punto, non vi sveliamo altro per non rovinarmi ovviamente la sorpresa.
Dopo il deludente episodio precedente della serie, Smithereens, ci spiace dover asserire che anche Rachel, Jack and Ashley Too segna, ahinoi, un altro passo falso per Charlie Brooker.
A conti fatti dunque dobbiamo concordare con la Critica che ha già unanimemente definito Black Mirror 5 la stagione più brutta.
Peccato davvero perché, come avevamo affermato nella recensione dell’intrigante episodio uno, Striking Vipers, era partita assai forte. Rachel, Jack and Ashley Too è invece un compendio piuttosto risaputo sul falso mito del successo e della celebrità, apprezzabile solamente per l’autoironia con la quale Miley Cirus ha incarnato sé stessa, sbeffeggiandosi amabilmente da sola. Già quasi vent’anni fa, Andrew Niccol col suo S1m0ne aveva detto tutto con molta più sofisticatezza e piglio.
E il personaggio di Susan Pourfar è sinceramente troppo cinicamente tagliato con l’accetta per essere appieno credibile. Pare la versione esageratamente villain della strega di Biancaneve.
di Stefano Falotico
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