11 stagioni - 177 episodi vedi scheda serie
The looping dead.
La sesta stagione si era conclusa con l’enorme cliffhanger rappresentato dalla minaccia di Negan e dei suoi “Salvatori” al gruppo di Rick e soci. E il culminante colpo di scena si scioglie nella prima puntata, senza giri o fronzoli di sorta, concretizzando saggiamente la suspense abilmente creata con le sedici puntate precedenti.
I problemi iniziano dalla 4-5 puntata in poi, preso atto del comprensibile “tempo” narrativo dato ai vari personaggi per metabolizzare i traumatici eventi. I differenti punti di vista del racconto di accettazione del cambio di status quo nella porzione di mondo post apocalittico che li riguarda di solito dedica una puntata ad ogni protagonista, alle sue reazioni ed alle sue traversìe emozionali, espediente non nuovo ma abilmente dosato fino alla citata “deadline” di “mid-mid season”. Da qui, dicevamo, sembra che tutti i difetti latenti accumulati, fin qui coperti sufficientemente dal racconto serrato e dall’introduzione di cambi di modulo registico (subentrano con insistenza i flashback e, più avanti, i flashforward), si palesino come un sol uomo ad affossare un’idea seriale finora vincente.
Le ripetizioni, i dialoghi e le situazioni inconcludenti diventano (purtroppo) inconsapevolmente centrali, non trovando un appoggio adeguato in una scrittura che non è mai stata il cavallo di battaglia di Kirkman & C.. La sceneggiatura si incarta in scelte a dir poco inverosimili e sempre uguali a se stesse, eccessive nella dichiarata drammaticità che spesso produce invero reazioni al limite dell’ilarità. Uno scontato tutti contro Negan, un Jeffrey Dean Martin (non sempre) piacevolmente gigione, con lui che sopporta l’inverosimile e numerosi tentativi di “regicidio” senza batter ciglio (di solito) o al massimo propinando uno dei suoi pistolotti messianico/tarantiniani con ammiccamento/barcollamento d’ordinanza dall’alto della sua allampanata statura. Sopportazione estrema che, pur tenendo conto della sua indole parassitaria (da racket post-catatrofico ma con regole auree antiche: i morti non pagano), sfiora a più riprese l’implausibilità.
Ci si accartoccia quindi in tematiche di rivalsa tanto scontate quanto improbabili per poi riportare il tutto ESATTAMENTE (sic !) laddove era iniziato. In altro contesto ma nella stessa identica situazione. Al ché lo spettatore perplesso si domanda a cosa siano servite la quindicina di puntate trascorse per ricomporre poi un quadretto narrativo (quasi) immutato. Che non risolve alcun filo di trama, se non “potando” alcuni personaggi minori, ma rimanda sine die all’ottava stagione…
Una stanchezza d’offerta che affloscia l’aplomb B-movie del progetto e richiama in causa l’ottica statunitense di lucrare (serialmente) il lucrabile: il programma funziona ? Aumentiamo la puntate stagionali (sedici, dalla 3° stagione in poi); i personaggi influenzano l’immaginario pop ? Incrementiamo anche il loro numero e creiamo un cattivone d’impatto (dopo il carismatico “Governatore”, antagonista della 3^/4^ annata interpretato dal [a questo punto] misurato David Morrissey) con un’arma blues.
Una logica cannibale. Durerà ?
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