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P'tit Quinquin

1 stagioni - 4 episodi vedi scheda serie

Serie TV Recensione

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La recensione su P'tit Quinquin

di GIANNISV66
8 stelle

Gli occhi del piccolo Quinquin scrutano il mondo. Quinquin è un bambino come tanti, che pregusta la vacanza, inforca la bici, attraversa a rotta di collo le strade di campagna dell'estremo nord della Francia, quello lambito dalle acque del mare del Nord di fronte alle coste britanniche, corre dai suoi amici, tira petardi, fa arrabbiare il padre, scorbutico agricoltore, e corteggia la bella Eve.

Ma i suoi sono occhi da adulto in una testa di bambino, occhi da cui arriva uno sguardo duro da pugile, come da pugile è la sua faccia, il labbro spaccato, il naso storto.

Fin dalle prime immagini, da quello sguardo incisivo così spiazzante in un volto da bambino, Bruno Dumont fa capire che non ha intenzione di dare punti di riferimento al pubblico, e che la storia va seguita con attenzione perché l'imprevisto può essere dietro l'angolo.

Il ritrovamento della carcassa di una mucca dentro un bunker decrepito, fatiscente ricordo di una guerra di lontana memoria, dà il via alla narrazione. L'animale non può essere arrivato lì da solo, e quando l'autopsia rivela che all'interno del corpo del bovino vi sono resti umani, è chiaro che siamo di fronte ad un delitto piuttosto grottesco.

Indaga sulla vicenda il comandante Van der Weyden affiancato dal fidato Carpentier. Tutto regolare parrebbe, come nei crismi di un giallo che si rispetti; senonché l'investigatore è devastato da una serie di tic che gli conferiscono una mimica facciale da clown mentre il fido aiutante è un ometto smilzo con la faccia di un frescone, la passione per le partenze automobilistiche a razzo e il sogno di poter guidare solo su due ruote (non la moto ovviamente, sarebbe troppo facile, ma la suddetta automobile).

Insomma dovremmo essere nell'ambito del thriller e invece siamo nella commedia, dovremmo assistere con orrore all'escalation di un serial killer che farà altre tre vittime e invece ci si ritrova sbalzati nella comicità più surreale. Van der Weyden sembra in tutto e per tutto un idiota, che parla a sproposito di gendarmerie e di sicurezza nazionale, mentre sotto i suoi occhi bovini ne succedono di tutti i colori, compresa una demenziale funzione funebre condotta con piglio esilarante da un giovane parroco completamente fuori ruolo, mentre dai banchi della chiesa assiste, fra gli altri, un individuo incappucciato, cosa che non fa muovere la minima obiezione all'avveduto (si fa per dire) comandante di polizia.  

 

Si ride e molto, anzi ci si sbellica letteralmente. Eppure quando meno te lo aspetti Dumont ti assesta il colpo secco, ribalta la faccenda, e una situazione di pura demenzialità assume i connotati della tragedia. Come quando il giovane Mohamed, figlio di una delle vittime, si trova a fare i conti con l'intolleranza degli altri ragazzi, inseguito e sbeffeggiato, fino a un epilogo che ci lascia attoniti. Il regista francese sembra davvero, lui sì, divertirsi alle nostre spalle, sembra voler cogliere il nostro sconcerto.

E forse alla luce di questo assume un significato lo sguardo bruciante del piccolo Quinquin, che pare in qualche misura voler trapassare quello che ha di fronte, come se non si accontentasse della prima interpretazione visiva.

Quinquin che sembra poter farsi un baffo di una realtà così assurda abbracciando la dolce Eve e mormorandole "mon amour......"

Il tutto ambientato nella periferia più remota della Francia, quel Nord Pas de Calais considerato talmente marginale da diventare l'ambientazione fortunata per un film di grande successo (basato proprio sulla costernazione di chi dall'assolata riviera si ritrova confinato in un luogo fuori dal mondo), Bienvenue chez les Ch'tis , da noi conosciuto come Giù al Nord, quella sì una commedia vera.

Qui invece la commedia è solo un pretesto, Dumont ci fa ridere ma poi ci manda a gambe all'aria, cosparge la strada del racconto di dubbi, fa saltar fuori storie di vecchi rancori familiari,si diverte a far trapelare tra le maglie grigie di una anonima provincia passioni e gelosie che appartengono a una umanità troppo paciosa per essere vera, ci conduce in un itinerario che sembra dettato dalla folle inventiva del comandante Van der Weyden.

E ci sconcerta con un finale che ovviamente non raccontiamo.  

Bellissima l'ambientazione, le basse colline della costa atlantica settentrionale, bravi gli attori, su tutti lo straordinario Bernard Pruvost negli esilaranti panni dello sconclusionato comandante ben affiancato da Philippe Jore in quelli di Carpentier, ma menzione doverosa al piccolo Alane Delhaye nel ruolo del P'tit Quinquin del titolo.

Del film abbiamo detto, spiazzante fino a rischiare di essere forse anche un po' irritante, ma prodotto di alto livello. E due personaggi come Van der Weyden e Carpentier non si dimenticano tanto facilmente.    

 

 

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