1 stagioni - 4 episodi vedi scheda serie
FESTIVAL DI CANNES 2014 - QUINZAINE DES REALISATEURS
Per Bruno Dumont la bellezza è un concetto che svia dalle simmetrie e dai canoni estetici, dalla perfezione comunemente riconosciuti dal gusto popolare e dai valori più abitualmente dati per assodati.
Chi già lo conosce ha ben presente tutto ciò, ripesando ai suoi eroi problematici e disadattati. Chi avrà occasione di visionare questa bizzarra meravigliosa operazione, ibrida, irrisolta, misteriosa e farsesca, potrà averne la conferma soffermandosi sui visi, gli occhi, il naso e tutti gli altri particolari dei suoi protagonisti, belli ma di una imperfezione che li rende anche unici e non copie statiche assogettate ai dettami del bello inteso come perfezione plastica e fragile, quella che basta una smagliatura o un graffio per far crollare in tutti i suoi dettami e regole matematiche che ne costituiscono la base ed il fondamento.
P'tit Quinquin (2014): Bruno Dumont
Dumont impegnato in una serie televisiva di quattro puntate???
Dumont che cambia genere e punta alla commedia???
Se ne sono sentite molte e l'attesa è per questo notevole. La maratona di tre ore e venti ci porta in Normandia, tra la gente contadina che coltiva la terra e alleva splendidi esemplari di cavalli da tiro possenti e maestosi. Vita contadina schietta e per nulla edulcorata: dunque nulla di nuovo sin qui. Poi tuttavia ci accorgiamo che P'TIT QUINQUIN parte come un giallo, un thriller calmo e riflessivo, alla Twins Peaks, e procede in effetti col ritmo discorsivo e contemplativo della commedia nera non priva di sipari di una comicità bizzarra e talvolta quasi apparentemente (ma in reltà tutt'altro) involontaria.
P'tit Quinquin (2014): locandina
Nella regione agricola di Boulonnais, che dà il nome anche al celebre e imponente cavallo da tiro bianco dalle possenti zampe e splendida criniera, all'interno di un fortino utilizzato ai tempi dello sbarco degli alleati, viene inspiegabilmente trovato il cadavere di una mucca con all'interno una serie di resti umani e molto sangue. Poco dopo il ritrovamento della testa di una donna permetterà di identificare quel cadavere. A dirigere le ricerche viene assegnato il bizzarro e nervoso capitano Van Der Weyden, devastato di tic facciali che gli impongono espressioni buffe e contraddittorie, nonché un passo strascicato ed altalenante che lo rende un personaggio come minimo bizzarro, quasi come una marionetta o un mimo. Non gli è da meno l'aiutante Carpentier, denti marci e una passione folle per la corsa in macchina, per le accelerate e le impennate, con cui si prodiga durante gli spostamenti richiesti dall'indagine.
Intanto le morti non si arrestano perché un'altra vacca sventrata viene ritrovata in spiaggia con un cadavere umano al suo interno. Alle indagini, che il poliziotto conduce in modo davvero discutibile ed originale, si affiancano quelle improvvisate e bonarie del piccolo Quinquin, biondino sveglio seppur sordo e con un accenno di labbro leporino ed il naso schiacciato da pugile, capobranco di una babygang nonché figlio di contadini ed allevatori, con i nonni vecchi e malfermi a casa ed un fratello malato di mente che si aggia per i boschi, specie la notte.
P'tit Quinquin (2014): Bernard Pruvost
Un giallo in piena regola, direte voi? Tutt'altro, perché a Dumont, lo capiano dopo un'oretta, non interessa per nulla scoprire i responsabili di delitti così atroci e devastanti: al fantastico originale regista piace indagare sui misteri della natura umana, sul comportamento animale ed istintivo dell'essere umano che non si fa condizionari dai dettami della società: da ciò si spiega l'attrazione del regista, che scorgiamo sin dai suoi esordi, per i personaggi balordi, schizzati di mente, per le deformazioni e le tare mentali: disgrazie che in quel paese contraddistinguono famiglie intere, rendendole in un certo senso più genuine e “animali”, e dunque a loro modo più pure.
P'tit Quinquin (2014): Alane Delhaye, Lucy Caron
Un detective che è una rielaborazione del fantastico e disarmante personaggio del meraviglioso stordente L'umanità, prende tempo, anzi lo perde proprio, sbaglia l'indagine, non si applica, ma si comporta come un principiante e depista indizi anziché scovarne altri. Forse perché nemmeno più gli interessa risolvere un enigma che va oltre la concezione umana, forse perché per lui il colpevole è non già “la bestia umana”, come gli suggerisce il bislacco Carpentier“, ma addirittura “il diavolo in persona”: forse per tutto questo è meglio mettersi il cuore in pace e avviare l'inchiesta verso l'oblio.
Primi piani insistiti su volti e occhi sgranati, su smorfie che assalgono e scuotono come scosse elettriche un sistema nervoso ormai incontrollabile, infermità, irregolarità e malformazioni umane ritornano anche qui e forse in modo ancora più ossessivo ed impudico. Ma a tutto ciò si aggiunge anche, forse per la prima volta dopo un parziale tentativo in Camille Claudel, la tenerezza delle riprese sui volti dei bambini, sugli amori adolescenziali improvvisi ed incontrollati.
P'tit Quinquin presenta certo una durata e tempi dilatati ad uso di uno sfruttamento di tipo televisivo: ma è cinema al 100%, ed è il Dumont che inquieta ed attrae come in tutta la sua notevole carriera precedente, con qualche piccolo risvolto di originalità ed emotività che prima proprio non riuscivamo a scorgere.
P'tit Quinquin è un film non facile e, per chi non conosce l'autore, potrà risultare certamente indigesto e quasi offensivo verso le categorie altrove protette (ma qui messe a nudo senza veli o falsi moralismi): un film che ti si appiccica addosso come in un abbraccio che ti sembra freddo e distaccato, ma dal quale sadicamente non ti liberi più.
P'tit Quinquin (2014): Lucy Caron
P'tit Quinquin vive di intensi primi piani sui volti, inebetiti dalla follia, dalla vecchiaia e dai nervi a fior di pelle, ed è in assoluto il film che, tra tutti quelli visti al Festival di Cannes 2014, mi ha regalato le più forti emozioni, confermandomi, pur nella singolare scelta di un genere ibrido e a metà strada tra il thriller e la commedia farsesca comunque all'autore quasi completamente nuovo (a parte il già citato L'umanità), le doti uniche di un regista unico per stile e argomentazioni; un individuo ossessionato dal rapporto “animale” che anima l'uomo nel suo districarsi e poter vivere o sopravvivere alle asperità di una vita in cui predomina il gelo dei sentimenti e la bestialità istintiva di un regno animale spesso più saggio e maturo.
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