4 stagioni - 45 episodi vedi scheda serie
Elliot Alderson: "Ehi, amico. Ehi, amico. Non mi piace. Forse dovrei darti un nome… Ma è una strada pericolosa. Esisti solo nella mia testa. Ricordiamocelo. Merda. È successo per davvero, sto parlando a qualcuno che non esiste. Quello che sto per dirti è top secret. Si tratta di una cospirazione gigantesca. C’è un gruppo di persone potenti che governa il mondo in segreto. Parlo di gente che nessuno conosce, di persone invisibili. L’1% più ricco dell’1% più ricco del mondo che gioca a fare Dio senza permesso. E ora penso mi stiano seguendo."
È con questo monologo paranoico e complottista che lo showrunner Sam Esmail apre la sua serie cult Mr. Robot, un paranoid thriller informatico che ha sconvolto il panorama televisivo recente ottenendo importanti premi agli Emmy Awards e ai Golden Globe, oltre che ad essere stato apprezzato molto da un pubblico mainstream (ma non troppo) che si è riconosciuto nelle inquietudini e nelle riflessioni politico sociali all’interno della serie.
Elliot Alderson, il protagonista hacker psicologicamente instabile di Mr. Robot, è infatti diventato negli anni un simbolo immortale non solo della serie, ma della stessa contestazione politico sociale nei confronti dello status quo neoliberista imperante, che sembra aver soffocato ormai anche le ultime pulsioni anticapitaliste e antiautoritarie dell’hacktivismo degli Anonymous e il movimento di Occupy Wall Street. Movimenti politici pacifici che miravano a rivoluzionare una società in termini più egualitari, solidali e libertari, come tanti altri movimenti politici antisistema a seguire mossi dalle conseguenze della crisi economica e finanziaria globale del 2008. Questi ultimi vengono però bollati come “populisti” o “sovranisti” dai regimi capitalistici tecnocratici odierni, confondendoli e mischiandoli con i veri movimenti reazionari ed estremisti che comunque nascono spesso da un disagio reale e dilagante spesso taciuto dal sistema.
La retorica capitalistica, la banalizzazione delle stesse problematiche mosse dalle forze extraparlamentari e l’ostracizzazione di queste voci fuori dal coro, che in realtà denunciano un sistema economico e politico sempre più malato e corrotto atto a favorire una fascia di popolazione sempre più ricca ed elitaria, ha fatto nascere l’ormai frase celebre ed emblematica di Mr. Robot: “La nostra democrazia è stata hackerata” / “Our Democracy has been hacked”.
Le deficienze strutturali e le storture psicosociali che genera un regime capitalistico vittorioso sempre più neoliberista, consumista, classista, tecnocratico e promotore di un individualismo di massa, vengono quindi esorcizzate da Sam Esmail, che dal 2015 fino al 2019 con Mr. Robot costruisce una narrazione centrata su quattro stagioni in cui racconta il catartico percorso di crescita e maturazione dell’hacker Elliot Alderson. Il protagonista di Mr. Robot è un individuo alienato dalla società e affetto da disturbi psicologici e psichiatrici, che di giorno lavora come dipendente per un’azienda di cyber security chiamata All Safe, mentre di sera agisce come hacker giustiziere dal suo PC, punendo criminali e persone che utilizzano la rete in modo subdolo e immorale.
L’evento scatenante che rompe la routine e lo status quo del colletto bianco è Mr. Robot, un hacker anarchico rivoluzionario che coinvolgerà Elliot in un gruppo hacktivista denominato fsociety. Il gruppo di hacker ha come unico obiettivo quello di cancellare tutti i debiti del popolo americano hackerando il database della più grande multinazionale del mondo chiamata E-Corp, ribattezzata ironicamente Evil Corp da Elliot, che detiene tutto il debito privato dei cittadini americani. Il conglomerato economico e bancario è quindi il Nemico numero Uno durante il corso della prima stagione e il principale bersaglio dei protagonisti (tra cui la sorella di Elliot, Darlene) guidati da Elliot e Mr. Robot, che riescono ad effettuare l’hackeraggio, chiamato poi durante il corso della serie “9 maggio”/”Five/Nine Hack”, generando una crisi economica mondiale irreversibile.
La riuscita del piano però, provoca una crisi esistenziale e una ricaduta psicologica gravissima in Elliot quando scopre la vera identità di Mr. Robot. Egli infatti non è altro che una sua seconda personalità derivata dal suo disturbo dissociativo dell’identità e dai suoi traumi infantili. Da questa presa di consapevolezza nascerà un profondo e lungo conflitto interiore con la sua altra metà in cui si esploreranno i traumi passati di Elliot Alderson, mentre nel presente il mondo comincerà ad andare sempre più a rotoli dopo gli eventi del 9 maggio. Elliot si interrogherà quindi se i suoi propositi rivoluzionari siano serviti a migliorare il sistema e se davvero il nemico sia effettivamente la Evil Corp, soprattutto quando nuovi attori pericolosi e sempre più invadenti come l’FBI e la Dark Army colpiranno la sua vita privata e tutte le persone a cui tiene di più. I secondi, un efferato gruppo hacker cinese capitanati da una misteriosa Whiterose, inizialmente si riveleranno fondamentali per la riuscita dell’hackeraggio, ma successivamente si dimostreranno un nemico così letale che sveleranno ad Elliot conflitti di potere più grandi di lui e una realtà ben più complessa rispetto a quella presentata all’inizio della serie.
Combattere o soccombere di fronte alla dolorosa realtà del mondo sarà quindi la chiave risolutiva della serie, ma anche lo specchio del lungo conflitto interiore che Elliot dovrà affrontare per trovare una pace definitiva per il suo animo tormentato.
La genialità e la peculiare unicità di Mr. Robot deriva principalmente dalla mente del suo creatore Sam Esmail, americano di origini egiziane nato il 1977 nel New Jersey. Sin da bambino fu da sempre appassionato all’informatica ed iniziò a programmare durante le scuole medie, per poi affiancare alla sua passione per l’informatica quella per il Cinema, che lo portò durante le scuole superiori a tenere a casa sua dei cineclub privati per coltivare la sua passione per la Settima Arte, prediligendo in particolare il regista Stanley Kubrick.
Queste due passioni saranno poi determinanti per la genesi della sua serie cult Mr. Robot, tanto da portarlo a studiare in varie università e accademie discipline come mass media, arte visuale, cinema e informatica.
Un fatto curioso che sarà poi l’elemento autobiografico scatenante per la creazione del suo alter ego Elliot Alderson, è un suo hackeraggio tramite le e-mail di una delle università in cui ha studiato, frutto di una sua voglia di impressionare una ragazza del suo corso. Sam Esmail ha ammesso che quell’evento pur essendo modesto per abilità e tecnica visto che erano ancora gli anni ‘90, è stato in realtà fondamentale nella creazione del tormentato protagonista della sua serie, che non è solo il suo alter ego estremizzato ovvero un hacker dalle capacità informatiche straordinarie, ma anche un suo voler esorcizzare delle proprie patologie psicologiche come il disturbo d’ansia sociale e il disturbo ossessivo compulsivo.
L’idea di creare un prodotto audiovisivo che riflettesse su delle sue problematiche personali e nel rappresentare in modo non stereotipato il mondo della sottocultura hacker, sono dunque la basi da cui parte il progetto di Sam Esmail, che per anni sviluppa e scrive il concept di Mr. Robot.
Oltre la presenza di una forte componente autobiografica e voglia di rompere gli stereotipi sugli hacker spesso stereotipati nei film hollywoodiani, sono presenti altre due fonti d’ispirazione che costituiranno l’ossatura della macrotrama più appariscente di Mr. Robot.
La prima è la crisi economica mondiale del 2007, in cui Sam Esmail vede il male nel turbocapitalismo finanziario delle corporations fagocitato dalla globalizzazione, dalla finanziarizzazione dell’economia e maturata da una calcolata e lunga negligenza delle élite governative, economiche, finanziarie e bancarie a favorire un regime capitalistico sempre più neoliberale, falcidiando di conseguenza gli strati sociali più deboli e sensibili della popolazione alle oscillazioni economiche. Da questo contesto viene concepita la Evil Corp, una multinazionale così potente da tenere sotto scacco governi, stati e popoli essendo ramificata in ogni ambito dell’economia mondiale, sostituendosi agli stessi istituti di credito. Nell’individuazione del male assoluto nelle grandi corporations emerge quindi la fortissima critica anticapitalista della serie.
La seconda fonte d’ispirazione per Sam Esmail è la Primavera Araba, che coinvolse anche il suo paese d’origine, l’Egitto, in cui osservò come i suoi parenti d’Oltreoceano, soprattutto i più giovani, utilizzarono mezzi tecnologici per guidare attacchi e tenersi in contatto con i vari ribelli che insorsero contro il governo. Nell’analisi di queste insurrezioni nel mondo arabo successivamente strumentalizzate e pilotate dagli Stati Uniti (e paesi dell’area alleati e non) generando mostri come l’ISIS, nuovi dittatori ma “legalizzati” e guerre civili devastanti che tutt’ora stanno insanguinando il Medio Oriente, lo showrunner interiorizza e imprime questo sconvolgimento politico nella componente politica ed antisistema della serie. Da questa analisi lucida del contesto geopolitico mediorientale deriva infatti la critica fortissima all’autoritarismo dei moderni stati nazionali e delle loro mire geopolitiche, ma si origina anche una profonda riflessione su chi effettivamente detenga il potere in un mondo sempre più subdolo e ambiguo.
Inizialmente il creativo egiziano americano pensava alla stesura di una sceneggiatura per un film e al massimo per una trilogia cinematografica, ma nel corso del processo creativo di scrittura realizza che la mole di contenuti è troppo vasta per essere racchiusa in un unico film. Conscio della sua travagliata e lunga esperienza nell'ottenere un budget soddisfacente nel cinema indipendente per la realizzazione del suo film fantascientifico romantico Comet, Sam Esmail decide di rivolgersi ai network televisivi americani per creare una serie tv e realizzare un primo pilot. USA Network si dimostra subito disposta ad accettare lo script del creativo del New Jersey e metterlo come showrunner della serie, dandogli un’incredibile libertà creativa e credendo fermamente nel suo progetto.
L’approccio di Sam Esmail però, non insegue il modello televisivo classico, ossia lasciare diversi registi dirigere gli episodi e nel mentre lasciare diversi sceneggiatori scrivere le sceneggiature degli episodi successivi, ma decide di inseguire una produzione più di stampo cinematografico nella realizzazione della serie. La follia e la maniacalità di Sam Esmail è infatti quella di essere lui stesso il regista di tutti gli episodi della serie, di scrivere lui stesso la maggior parte delle sceneggiature prima di girare e poi successivamente mettere in scena le puntate senza seguire un ordine cronologico, ma basandosi solo sui costi di produzione, arrivando a girare anche per 12 ore al giorno su set diversi di episodi diversi per più di 3 mesi.
Inizialmente l’impianto fortemente cinematografico viene visto con scetticismo da USA Network, che per la prima stagione lascia dirigere solo 3 episodi a Sam Esmail. Il network televisivo notando la precisione, la dedizione e la chiarezza con cui lo showrunner istruiva attori, registi e tutte le altre maestranze sul set su come direzionare la complessità visiva e narrativa della serie, decide successivamente di lasciare carta bianca all’autore di dirigere tutti gli episodi delle tre stagioni successive. Lo scetticismo e le perplessità dei dirigenti e produttori di USA Network, a detta dello stesso Sam Esmail, non era tanto sulla riuscita economica o tecnica della serie, ma su come umanamente e fisicamente un solo uomo potesse dirigere, scrivere e pensare una serie tv per quattro stagioni filate senza avere ricadute psicofisiche nel processo di lavorazione.
La viscerale passione e dedizione di Sam Esmail a Mr. Robot è infatti quella di un autore, prima che un regista, nell’approccio alla propria creazione, che non riesce a tollerare come altri possano modulare e modificare un materiale che è intimamente connesso al suo creatore. Un tale approccio fortemente cinematografico e centralizzato sulla figura del regista-autore nell’approcciare la serialità, è riscontrabile in pochi esempi nel panorama televisivo, come ad esempio la terza stagione di Twin Peaks interamente diretta e co-scritta da David Lynch per 18 episodi.
Ovviamente nemmeno Sam Esmail è così poco furbo da volersi impuntare a scrivere tutti i 45 episodi rallentando considerevolmente la produzione, anzi, nel corso della serie si è sempre consultato e fatto aiutare da un team di diversi sceneggiatori, scrivendo di fatto 25 episodi su 45, che rimane comunque un numero esorbitante (il 56% della serie), senza contare i 38 episodi diretti. La stessa produzione degli episodi inoltre, non aveva un numero preimpostato come spesso succedeva con le serie tv vecchio stampo trasmesse in televisione, ma seguiva organicamente il flusso creativo dello showrunner e del suo team di sceneggiatori che poteva andare dagli 8 ai 20 episodi. L’importante è che la stagione fosse densa di eventi da coinvolgere lo spettatore per il network televisivo. Sam Esmail però, a differenza di USA Network che era propensa anche a stendere infinite stagioni per narrare la storia di Elliot Alderson, aveva già chiaro in mente che la serie sarebbe finita in 5 stagioni massimo, sapendo già che sarebbe iniziata e finita secondo un disegno preciso e coerente.
Quest’ultimo aspetto è fondamentale e spesso lo si sottovaluta quando si giudica un buon prodotto televisivo, perchè solitamente le serie tv hanno la bulimica tendenza di allungare il brodo, finché la trama per inerzia inizia a perdere originalità e freschezza narrativa, dovendo così interrompere bruscamente in fretta e furia la produzione confezionando un finale scadente.
I prodotti seriali più riusciti che verranno ricordati nella storia della televisione, e che io maggiormente preferisco perchè somigliano ai film, sono quelli che hanno sin da subito l’idea precisa di voler iniziare una storia e concluderla con un numero più o meno preciso di stagioni per arrivare da un punto A a un punto B, in modo da non perdersi in lungaggini e in filler inutili, sperando che poi la popolarità resti invariata di stagione in stagione.
L’idea precisa di seguire maggiormente il modello filmico rispetto a quello seriale è dunque l’elemento vincente di Mr. Robot, che è come se fosse un lunghissimo film costituito da 4 atti cinematografici funzionali all’agognata conclusione. La serie però, non si dimentica di essere un prodotto televisivo e seriale, ed ogni episodio assume una sua specificità narrativa e visiva finalizzata a spingere lo spettatore a sapere ardentemente come andrà a finire, evitando così di diventare un noioso film allungato. Rischio e difetto in cui incorre purtroppo la serialità moderna dello streaming on demand.
Il successo della serie in un network televisivo via cavo che solitamente trasmetteva procedural polizieschi, sta dunque nella maniacale e determinata autorialità dello showrunner Sam Esmail, creativo che non si dimentica del potenziale visivo del medium televisivo, che nelle ultime due decadi ha dimostrato di essere all’altezza della Settima Arte. A volte battendola nel suo stesso campo da gioco. L’ibridazione tra Cinema e Serie TV è quindi uno degli aspetti che ha reso Mr. Robot iconico e un cult degli anni ‘10, tenendo col fiato sospeso milioni di spettatori attraverso una narrazione anche visiva assolutamente postmoderna ed incredibilmente debitrice anche del Cinema del secolo scorso.
Lo stile della serie è dunque fortemente determinato dalla regia di Sam Esmail, che non esita minimamente a sperimentare in ogni episodio con delle inquadrature ormai diventate il marchio di fabbrica della serie.
Per esempio, quando due personaggi parlano o si confrontano nel corso della serie, spesso nell’uso del campo e controcampo l’inquadratura sul singolo personaggio vede quest’ultimo palesemente schiacciato sull’angolo sinistro o destro in basso. Questa scelta d’inquadrare il soggetto fuori dalla centralità dell’inquadratura lasciando un’ampio spazio ambientale attorno che lo avvolge, serve a indicare come i personaggi siano palesemente alienati dal mondo circostante e di come lo spettatore si debba sentire anch’egli fuori posto e schiacciato dal peso degli eventi.
Lo stile e il genere predominante è infatti quello del paranoid thriller, in particolare quello settantino, che tanto ama Sam Esmail, citando grandi opere ispiratrici come la trilogia della paranoia di Alan J. Pakula, I tre giorni del Condor, La Conversazione, ma anche JFK e Eyes Wide Shut. La componente paranoica, politica e cospirazionista di questo sottogenere del thriller vede infatti personaggi alienati nel loro contesto sociale, critici nei confronti del potere costituito e vittime di una cospirazione nazionale o globale che dà loro la caccia in quanto sfuggono al controllo del sistema corrotto e malvagio. L’esito e il finale di queste storie è infatti spesso incerto o pessimista, e le atmosfere sono quindi cupe soprattutto negli ambienti notturni metropolitani di cui Mr. Robot si fa egregio erede del thriller cupo e metropolitano fincheriano, in cui la fioca luce del sole e la fotografia generalmente fredda rendono asettici anche gli orari e gli spazi generalmente più solari. Le atmosfere più illuminate con luci calde sono presenti infatti solo nei momenti in cui la fsociety si riunisce per organizzare l’hackeraggio alla Evil Corp oppure quando ci sono sprazzi di onirismo che esprimono una momentanea felicità.
A rafforzare le atmosfere cupe, fredde, asettiche e antisistema del paranoid thriller di Mr. Robot che prendono ispirazione anche soprattutto dai film come Fight Club e Matrix - di cui la serie ruba la filosofia anticapitalista ed esistenzialista, svolte di trama come la seconda personalità di Elliot se non il cognome stesso del protagonista Elliot Alderson quasi identico a Thomas A. Anderson, anch’esso uno straordinario hacker - è una componente neo-noir non indifferente che è diventata un ulteriore tratto distintivo della serie. Il protagonista Elliot Alderson infatti, è contraddistinto da monologhi interiori volti a criticare la società, rigettare tutte le ipocrisie del sistema capitalistico ed analizzare ed indagare il prossimo attraverso il solo ausilio delle sue abilità di hacker per entrare “digitalmente” nella vita delle persone, in quanto incapace di comunicare normalmente con il prossimo dati i suoi problemi psichici e la sua forte misantropia.
Lo scenario di sofferta solitudine e scarsa comunicabilità col prossimo rende Elliot un perfetto antieroe neo-noir quando quest’ultimo compie azioni anche moralmente discutibili o che portano alla morte indiretta di personaggi secondari. Come gli stessi criminali che si trova a combattere in un mondo liquido popolato da una perenne ambiguità, personaggi malsani come la “dark lady” Whiterose (villain finale della serie), pericoli sempre più subdoli e uno scenario semi apocalittico nel momento in cui la fsociety realizza il 9 maggio innescando una crisi economica mondiale senza precedenti.
La componente anarcoide e psicologicamente instabile applicata ad un hacker che diventa di fatto il nuovo antieroe neo-noir del XXI Secolo rifacendosi anche all’immaginario di V per Vendetta e degli Anonymous, riesce incredibilmente a creare un’empatia fortissima con un pubblico solitamente distante da personaggi così complessati. Il legame affettivo ed empatico tra pubblico e protagonista viene facilitato anche dalla sapiente regia e scrittura di Sam Esmail, che dà il potere della stessa narrazione al protagonista.
Non è un caso che Elliot sin dal monologo iniziale del primo episodio si rivolga agli spettatori sfondando la quarta parete chiamandoli “amico”. Per tutte le stagioni questo escamotage narrativo non risulta mai ridondante e ripetitivo, come spesso accade con Deadpool, perché il rivolgersi a noi spettatori in realtà non è nient’altro che uno specchio della sua problematica salute mentale che può alterare la stessa narrazione.
La serie infatti, è per la maggior parte del tempo focalizzata dal punto di vista di Elliot Alderson, che può essere vittima di allucinazioni e trip onirici generati dalla sua seconda personalità Mr. Robot. Egli stesso però, può alterare la nostra stessa percezione degli eventi come accade nella seconda stagione, in cui decide di isolarsi in una prigione trasformandola ironicamente in un quartiere vicino a casa di sua madre. Nel corso della serie TV ci si trova quindi di fronte ad una narrazione che procede gradualmente a rivelare tutta la complessata psiche e l’oscuro passato del protagonista attraverso dei flashback, che ricorda molto lo stile narrativo della serie tv Person of Interest.
L’attenzione dello spettatore nella visione di Mr. Robot è costretta così a seguire pezzi di un puzzle disseminati nel corso della serie da Sam Esmail, che non vuole però creare degli incastri narrativi complicati alla Tenet, ma a dimostrare quanto la nostra percezione su ciò che ci circonda sia spesso soggettiva e facilmente manipolabile. Elliot Alderson è anch’esso soggetto a questa posizione relativista della serie, che gioca su personaggi grigi e tridimensionali che in realtà non hanno il totale controllo su ciò fanno, soprattutto quando sono messi di fronte alla realtà o alle bugie che essa stessa genera. Una delle frasi più famose della serie è infatti “il controllo è un’illusione”.
Lo showrunner essendo regista per la maggior parte degli episodi si diverte quindi a sperimentare con la messa in scena affrontando svariati generi come faceva Stanley Kubrick, cercando di andare oltre il thriller informatico che è il genere predominante della serie.
Nella puntata 2×06 abbiamo un episodio onirico creato da Mr. Robot per confortare Elliot in un momento di forte disagio, in cui la componente meta-televisiva della serie esplode in tutta la sua creatività trasformandosi per un attimo in una sitcom anni ‘80 che ironizza sui disagi e le disavventure dei protagonisti. Sono presenti anche altri momenti surreali della serie come la 1×04 in cui Elliot cerca di uscire dalla tua tossicodipenza vedendo in realtà delle anticipazioni velate sul clamoroso finale della serie e della stessa prima stagione. Le stesse ultime tre puntate puntate oniriche della quarta stagione inizialmente sembrano dei viaggi paralleli o temporali, quindi pura fantascienza visti i precedenti depistaggi messi sapientemente da Sam Esmail. In realtà poi si riveleranno analisi interiori dell’animo di Elliot che assomigliano ad una dimensione onirica legata più all’immaginario visivo di Neon Genesis Evangelion che a quello di David Lynch.
Mr. Robot non si limita al surreale e al grottesco che emergono soprattutto nella sperimentale seconda stagione in cui Elliot volontariamente si chiude nei confronti del mondo combattendo la sua seconda personalità “maligna”, ma sono presenti anche segmenti di raro romanticismo “empatico” che sono dei veri e propri mediometraggi romantici a parte quando Elliot si interfaccia con Shayla Nico e Dominik Garcia.
Gli assoluti vertici registici, che però non sono esercizi di stile ma finalizzati alla drammaturgia della serie, li troviamo innanzitutto nella celebre 3×05. La puntata girata interamente in un falso piano sequenza con lo scopo di mostrare il caotico assalto dei seguaci mascherati della fsociety alla Evil Corp (in realtà armati e pilotati dalla Dark Army), crea un’atmosfera tesissima e labirintica nell’illustrare tutto il tortuoso percorso di Angela Moss nel realizzare l’attacco terroristico della Dark Army ai danni dell’ignaro Elliot.
Sam Esmail non si ferma alla “home invasion” orrorifica giocando su un’atmosfera claustrofobica e tesa ma ugualmente super dinamica nella regia, ma si diverte anche a giocare in sottrazione costruendo una vera e propria rappresentazione teatrale in 5 atti nella 4×07 quando Elliot e la sua psichiatra devono affrontare il criminale Vera in un appartamento in cui li tiene prigionieri. Il tutto viene girato follemente anche con 8 telecamere contemporaneamente, dirigendo il tutto come se fosse una vera e propria opera teatrale. Lo showrunner spiega come questa scelta sia stata voluta per catturare l’essenza della recitazione dei suoi attori e lo svolgimento naturale degli eventi senza dover rifare la stessa scena da un punto macchina differente, ma tutto contemporaneamente come il famosissimo dialogo tra Al Pacino e Robert De Niro in Heat.
Come se non bastasse, l’estro creativo di Sam Esmail non si ferma minimamente nella costruzione meticolosa ed armoniosa degli interni, anzi, sempre in sottrazione lavora nell’altra clamorosa puntata della quarta stagione rigorosamente “muta”. La follia della 4×05 si svolge infatti completamente senza dialoghi se non con due battute ironiche all’inizio e a fine puntata ossia “tutto a posto, non dobbiamo parlare” e “dobbiamo parlare”. Il resto viene completamente lasciato alla pura messa in scena degli eventi alternati dal montaggio, in cui tutti i personaggi presenti rimangono silenziosi ed eseguono le azioni che devono compiere secondo la celebre formula narrativa “show, don’t tell”, più usata al Cinema che nel panorama televisivo.
La più grande rivoluzione nel campo dell’audiovisivo che Mr. Robot ha portato sul piccolo schermo, al di là della mescolanza di più generi con varie derivazioni cinematografiche e televisive per creare uno stile narrativo unico nel suo genere secondo una precisa direzione autoriale, è l’aver rappresentato in modo estremamente realistico tutta la componente informatica e ingegneristica necessaria per le scene di hacking.
Spesso nei film hollywoodiani a tema informatico, ma anche in serie tv poliziesche come CSI e NCIS, i personaggi digitano in fretta e furia tasti a caso sulla tastiera vedendo apparire sul monitor di un PC o altri dispositivi una serie di grafiche super tecnologiche in cui mostrano un hackeraggio o una strenua difesa da quest’ultimo. Solitamente queste scene vengono iper spettacolarizzate e risultano poco credibili se non errate informaticamente parlando. Emblematico quando nella 1×04 due membri della fsociety si divertono a prendere in giro il film Hackers del 1995, lamentandosi della banale trasposizione dell’hacking a Hollywood.
È una sorta di rivalsa quindi per Mr. Robot quella di criticare la rappresentazione stereotipata ed erronea del mondo informatico e hacker sul piccolo e grande schermo, che invece la serie di USA Network prende molto seriamente visto il passato di Sam Esmail nel campo informatico, che decide assolutamente di essere il più fedele possibile all’hacking autentico.
Lo showrunner decide così di avvalersi di un team di esperti composto da ex hacker, dipendenti provenienti dalla cyber security e addirittura agenti governativi dell’FBI, che hanno parecchia esperienza nel settore degli attacchi informatici e la difesa di sistemi informatici.
Lo staff informatico è quindi costantemente collegato con lo staff tecnico della serie per l’utilizzo di software reali, sistemi operativi autentici e nella scrittura del codice di programmazione che poi Elliot ed altri personaggi utilizzeranno per hackerare i loro bersagli. Gli stessi esperti di cyber sicurezza devono dunque interfacciarsi con gli sceneggiatori e gli attori in modo da istruirli per rendere tutta la fase tecnica spesso di pura “programmazione” il più possibile realistica, coerente e fluida con la drammaturgia degli eventi. La generazione dello stesso codice e degli stessi attacchi hacker nella serie, confermato degli stessi esperti, sono solo in minima parte camuffati per evitare che gli spettatori più esperti in informatica li utilizzino per compiere degli autentici attacchi hacker nel mondo reale, visto che esperti del settore e aziende informatiche di cyber sicurezza hanno confermato la plausibilità e l’autenticità degli attacchi hacker messi in scena in Mr. Robot.
La serie tv è dunque permeata da attacchi hacker effettivamente realistici e realizzabili, ma non per questo perdono di spettacolarità, anzi, Sam Esmail è consapevole di potersi affidare ad un team di esperti padroni dell’informatica e di un eccellente compositore, Mac Quayle, che conferiscono alla messa in scena dei vari hacking un sapore di estremo realismo e uguale potenza visiva, narrativa, drammaturgica e musicale.
La coronazione di questo trionfo tecnico, ingegneristico e audiovisivo lo si assiste nella 2×05, quando Elliot per la prima volta dalla fine della prima stagione tocca finalmente un computer e spiega tutte le fasi cruciali dell’hacking quando scrive a memoria tutto il codice da inviare a sua sorella Darlene per hackerare l’FBI. Tale sequenza non è solo un atto d’amore per una sottocultura, quella hacker, spesso stereotipata e mal rappresentata al Cinema e in Televisione, ma anche un modo per sottolineare quanto Elliot sia potente e completamente a suo agio solo quando ha un dispositivo elettronico a disposizione, che è di fatto l’unica arma e “superpotere” che ha a disposizione contro tutti quelli che intendono minacciarlo o eliminarlo.
Di cosa parla quindi Mr. Robot? Quali sono i temi e la filosofia che hanno portato centinaia di migliaia di spettatori ad amare il cult cyber paranoid thriller dalle tinte noir, surreali e grottesche di Sam Esmail? Cosa rende così speciale la serie tv per essere definita una “catartica decodifica dell’essere umano”?
Come già accennato nell’introduzione, nella trama, nella produzione e nello stile della serie, ci troviamo di fronte ad una serie fortemente anticapitalista ed antiautoritaria, che critica l’egemonia capitalistica e imperialista del sistema occidentale a guida americana, e tutte le sue conseguenze psico e politico sociali sui singoli individui, tra cui l’instabile protagonista hacker Elliot Alderson.
La serie però, non decide di arenarsi in un’unica macrotrama focalizzata sullo scontro tra la fsociety antisistema hacktivista e la multinazionale turbocapitalista cattivona Evil Corp, ma imbastisce parallelamente a questo scontro ideologico e politico comunque importante, una seconda macrotrama più intimista nell’analizzare tutto il percorso e il travaglio psicologico interiore di Elliot, che solo nel finale della serie avrà una completa risoluzione.
Le due macrotrame viaggiano perciò parallele e si compenetrano, in cui la psiche e il rapporto di Elliot nei confronti del mondo esterno lo porteranno a maturare e comprendere che la società non è un monolite unico, maligno e da rigettare, ma una realtà più sfumata, eterogenea e produttrice anche di persone ed eventi positivi. Il particolare rapporto con il suo alter ego più ribelle e caustico Mr. Robot, che riprende di fatto la psico-conflittualità tra il Narratore e Tyler Durden in Fight Club, è di fatto il motore narrativo e drammaturgico principale che porterà il protagonista a varcare la soglia della sua nichilistica routine. Iniziando finalmente un percorso non solo contro un sistema che lo opprime, ma anche uno più intimista e spirituale che lo porterà a conoscersi meglio fino all’esplosivo finale.
Il percorso narrativo di ingerire la pillola rossa, vedere quant’è profonda la tana del bianconiglio e scegliere se diventare un 1 o uno 0 secondo la teoria binaria dell’informatica, prende molto dalla filosofia esistenzialista matrixiana. Ma l’elemento vincente del mix di Mr. Robot che fa tra Matrix e Fight Club, senza contare tutte le precedenti derivazioni cinematografiche e televisive citate in precedenza, è l’aver approfondito e sdoganato clinicamente ancor di più sul piccolo schermo il problema della salute mentale. Tematica tuttora molto sottovalutata, stigmatizzata e banalizzata dai governi e dai mass media nel “moderno” XXI Secolo.
La catartica decodifica dell’essere umano presente in Mr. Robot, che rende di fatto la serie tv un documentario neorealista tremendamente attuale se non addirittura profetico vista la recente crisi pandemica, è l’esser riuscita nella geniale correlazione tra il selvaggio sistema capitalistico contemporaneo, le sue nefaste conseguenze sulla salute mentale delle persone e il radicamento delle tecnologie informatiche che amplificano uno sfruttamento tecnocratico di una società sempre più schiava, alienata, anestetizzata, consumista, ipercompetitiva, frammentata, anaffettiva, cinica, nichilista, se non disturbata come Elliot Alderson.
Il protagonista è infatti figlio di una società sempre più malata e insofferente allo status quo capitalistico che vive dell’irritante retorica “viviamo nel sistema migliore possibile”. La conseguenza di tale visione univoca crea un pensiero unico atto ad emarginare e sottovalutare mediaticamente e fisicamente tutte le pulsioni popolari critiche e contestatarie del sistema bollandole come populiste, sovraniste, ignoranti e pericolose.
Insomma, una delegittimazione totale di qualsiasi pulsione libertaria, riformista e rivoluzionaria, che produce di conseguenza una totale sfiducia e rassegnazione nel popolo a cambiare, accontentandosi delle briciole o facendosi intimorire dalla retorica capitalistica che spinge i “rivoltosi” ad accomodarsi nelle peggiori dittature sparse per il mondo.
Da tale contesto storico e critico Mr. Robot tratta la crisi esistenziale dei colletti bianchi e della classe media di cui fa parte Elliot Alderson, un adulto affetto da una depressione cronicizzata, un’amnesia dissociativa, manie di persecuzione, disturbi d’ansia, fobia sociale, disturbo borderline della personalità e disturbo dissociativo dell’identità. Un profilo psicologico alquanto problematico derivato da traumi infantili e dal contesto capitalistico nichilista e alienante, che lo porta ad odiare la società e il prossimo nel famosissimo monologo “Fuck Society” della 1×01 durante una seduta psichiatrica.
Da questo assunto parte il manifesto teorico della “f-society”, un gruppo di hacktivisti fondato inconsapevolmente da Elliot e dalla sua seconda personalità Mr. Robot con l’obiettivo di distruggere il sistema capitalistico hackerando il database della Evil Corp, cancellando così il debito degli americani e liberandoli di conseguenza dallo schiavismo “invisibile” della multinazionale-banca.
La matrice anticapitalista e rivoluzionaria si origina quindi dalla precaria salute mentale dell’hacker giustiziere e dal suo profondo odio verso la E-Corp, che è stata responsabile della morte di suo padre e della madre della sua migliore amica Angela Moss. La multinazionale aveva approvato infatti la costruzione di un impianto nucleare in cui lavoravano i loro genitori, che ha poi causato centinaia di casi di leucemia e il conseguente insabbiamento da parte della Evil Corp.
Sam Esmail non si limita a mostrare i disagi e i drammi con cui devono convivere i protagonisti nel relazionarsi con lo strapotere del colosso economico e finanziario, infatti non esita a mostrare la stessa alienazione che subiscono gli stessi dipendenti della E-Corp.
L’ambiente ipercompetitivo, freddo, asettico e piramidale del conglomerato mondiale porta i dipendenti, dai più banali impiegati fino ai dirigenti, ad essere imprigionati in una Torre di Babele divisa in compartimenti stagni, in cui però tutti fanno di tutto per raggiungere la cima assieme a Dio, ossia il CEO Phillip Price.
Esempio emblematico di questa cultura ipercompetitiva ed affarista che non si fa scrupoli ad utilizzare anche metodi poco ortodossi per risalire la “catena alimentare” della super azienda, è il controverso Tyler Wellick.
Il giovane manager svedese che ambisce al titolo di CTO (Chief Technology Officer) infatti, organizza una serie di tattiche e sotterfugi fino a compiere un omicidio pur di raggiungere una posizione privilegiata in azienda. Il tutto avallato e sotto consiglio della moglie doppiamente più avida e arrampicatrice sociale del marito, che pur essendo incinta di un bambino sfoga le sue perversioni sessuali col marito praticando BDSM. Entrambi i coniugi sono il classico prodotto di una borghesia classista frustata che non riesce ad arrivare nelle grazie dell’1% più ricco dell’1% più ricco del mondo, sfogando di conseguenza le proprie frustrazioni con la morbosa ricerca del puro dolore.
La massima espressione di tale follia avviene quando Tyler Wellick dopo un fallimento aziendale sfoga la sua frustrazione picchiando a sangue un barbone dopo averlo pagato, che ricorda tanto il profilo psicologico disturbato di Patrick Bateman in American Psycho. I deliri di onnipotenza e le manie di grandezza dello yuppie non si fermano nemmeno quando il CEO della E-Corp lo licenzia per non sporcare l’immagine della corporation, tant’è che insieme a Elliot e alla Dark Army cercherà in tutti i modi di distruggere la multinazionale diventando il principale indiziato del 9 maggio.
Consumandosi però nel processo della sua personale vendetta data l’instabilità psicologica di Elliot, l’efferatezza del gruppo hacker cinese e perdendo involontariamente la sua famiglia. Quest’ultima motore dell’esistenzialismo di una persona vuota che ha sacrificato tutta la sua vita per il carrierismo. E che di fronte alla morte accetta fieramente il suo amaro destino dopo aver giocato a fare Dio senza permesso.
La ricerca dell’assoluto controllo e di un destino manifesto per giustificare il proprio esistenzialismo tormentato da vuoti interiori e da rimpianti, è un’altra tematica ricorrente della serie che contraddistingue i personaggi alienati, disturbati, vuoti e incompleti di Mr. Robot.
E’ il caso di Angela Moss, migliore amica di Elliot, anch’essa vittima dell’alienazione capitalistica dei colletti bianchi in quanto dipendente poco valorizzata nella piccola azienda di cyber security All Safe (in cui lavora anche Elliot nella prima stagione) e tormentata anch’essa dal lutto per una madre morta di leucemia a causa della Evil Corp. A differenza di Elliot che decide di sfogare la propria rabbia e alienazione innescando una crisi economica senza precedenti, Angela decide invece scientificamente di accettare un posto nell’azienda luciferina per cercare di combatterla dall’interno e trovare un modo per far chiudere l’impianto cancerogeno tuttora in funzione.
All’interno del conglomerato però, cade vittima del darwinismo sociale e della scalata piramidale dell’azienda per ottenere una posizione gerarchica sempre più prestigiosa, in modo da soddisfare anche le proprie ambizioni professionali ed ottenere le attenzioni del CEO Phillip Price, che la spinge a diventare una persona sempre più spietata e priva di emozioni.
In questa scalata al “successo” in realtà, emergono tutte le insicurezze della donna, a partire dalla mancanza di vero affetto sostituita col più bieco materialismo, da relazioni sentimentali superficiali ed infine da un arrivismo al limite della sopportazione, che disumanizza il personaggio pieno di rimpianti e conscia di essere smarrita in una realtà vacua e deludente, dove i suoi stessi amici, Elliot e Darlene, l’hanno volontariamente esclusa dalla loro crociata contro la Evil Corp e che al massimo abusano della sua posizione all’interno dell’azienda per favorire gli attacchi hacker della fsociety.
Il totale sconforto, senso di tristezza e solitudine si manifesta palesemente nella 2×08 in cui canta in un locale l’emblematica canzone Everybody wants to rule the world, momento cruciale in cui la sua psiche viene manipolata alla fine della seconda stagione da Whiterose, che sfrutta il lutto materno e le vulnerabilità emotive della donna per arruolarla nella Dark Army con la persuasiva e delirante promessa di riportare in vita sua madre con una macchina spazio temporale. La stessa macchina all’interno della centrale nucleare che ha provocato la morte del padre di Elliot e della madre di Angela.
Il risultato è la creazione di un nuovo destino manifesto in Angela, che la porterà a compiere degli atti sempre più immorali e dannosi contro la società con l’illusione di inseguire un sogno impossibile e un bene superiore. Al punto da manipolare lo stesso Elliot per favorire le attività losche dalla Dark Army. Una nuova ambizione e missione di vita quindi, che però la porterà successivamente a raggiungere un tracollo emotivo e psicofisico talmente alienante da isolarsi completamente dal mondo e da quelli che le volevano realmente bene.
Fino al tragico epilogo in cui Whiterose la elimina in quanto pedina ormai instabile e pericolosa per l’attuazione del suo ambizioso piano. Aprendo una quarta stagione dai toni ancora più cupi e logoranti, spiazzando un pubblico ormai conscio che la fine dei giochi sta per arrivare anche per il cyber paranoid thriller di Sam Esmail.
Nemmeno Elliot nella 3×08 riuscirà a far rinsavire e confortare l’amica, riuscendo comunque a strappare uno dei momenti più toccanti ed empatici della serie, in cui entrambi annichiliti dalle loro azioni ripensano a quanto desideravano da piccoli che la realtà attorno a loro migliorasse improvvisamente.
Mr. Robot descrive quindi un mondo capitalistico crepuscolare, dominato da personaggi alienati, depressi, tristi, grigi, incompleti, ambigui, frustrati, rancorosi, illusi di avere il controllo e manchevoli di una reale affettività salvo rare eccezioni.
Da questa categoria non si esimono nemmeno i “controllori”, in particolare due personaggi fondamentali, Whiterose e Phillip Price, che mutano gli eventi della serie e squarciano il velo di Maya alla fsociety, che fino all’inizio della seconda stagione era illusa di avere il controllo sui controllori e di aver abbattuto il nemico capitalista per eccellenza, la Evil Corp, compiendo finalmente la rivoluzione anarchica e libertaria per liberare il popolo americano oppresso grazie al solo potere della rete. Il mare digitale però, come la realtà geoeconomica e geopolitica che ci circonda, è popolato da diversi attori e giocatori che nuotano in un oceano di variabili complesse e variegate, mutevoli nel tempo.
Lo showrunner memore delle primavere arabe e della crisi economica, approfondisce la complessità della sua critica sociale, politica ed economica travalicando i confini statunitensi per introdurre la Dark Army, il vero controllore che muove i fili della macrotrama e che si rivela essere il vero nemico della serie.
La breve rivoluzione del 9 maggio della fsociety che manda in tilt il sistema, viene infatti “sponsorizzata” e “comprata” dal gruppo hacker terrorista cinese guidato segretamente dal ministro della sicurezza cinese Zhi Zhang, conosciuto dalla comunità hacker con lo pseudonimo di Whiterose.
Gli ingenui hacktivisti si vedono così la loro intera rivoluzione controllata e manipolata dalla Dark Army in accordo segreto con il CEO della E-Corp Phillip Price. Tale stravolgimento rafforza l’idea di come le rivoluzioni di oggi siano consentite da poteri più forti di esse, che strumentalizzano a proprio piacimento i rivoluzionari per poi eliminarli quando non sono più utili. La fsociety infatti, viene man mano eliminata brutalmente ad arte dalla Dark Army, che una volta catturati i fuggiaschi Trenton e Mobley in Messico, li uccidono facendoli passare come dei terroristi suicidi iraniani. Riducendo il team di hacker solamente a Elliot/Mr. Robot e Darlene, sorella del demiurgo del 9 maggio.
La critica antiautoritaria di Sam Esmail diventa universale e non solo anti statunitense, criticando l’egemonia della propaganda militarista governativa di tutti gli stati che strumentalizzano e modificano a loro piacimento prove artefatte per imbastire narrazioni false e meschine. Come la Dark Army, che tramuta la fsociety in una banalissima cellula terroristica iraniana sperando che l’FBI se la beva.
Gli stessi propositi rivoluzionari di Elliot e Mr. Robot vengono anch’essi assimilati e strumentalizzati dal sistema capitalistico trasformandoli in un brand, in una moda, in una pubblicità, banalizzando lo stesso 9 maggio che in sostanza ha favorito soltanto i poteri forti incarnati principalmente da due uomini, Whiterose e Phillip Price, espressione dell’1% più ricco dell’1% più ricco del mondo che gioca a fare Dio senza permesso.
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