6 stagioni - 63 episodi vedi scheda serie
“Soffitto verde, pavimento bianco. Vino rosso, pentola blu”.
Nella 3^ stagione di BCS si iniziano lentamente a ricollegare i fili con la serie madre (Breaking Bad) e si definiscono i percorsi dei personaggi principali e secondari, in una sorta di ampliamento di un mo(n)do narrativo espanso, incredibilmente terso nella sua (appagante) semplicità pratica.
L’apparante routine della azioni mostrate richiama il “totemico” minimalismo formale dello show-runner Vince Gilligan: nessun atto, dal cucinare un pranzo allo svolgere il proprio abitudinario lavoro criminale, dalla raccolta (forzata) di rifiuti alla lettura di noiosi testi legali, è quindi privo di conseguenze sull’economia della storia. Anzi ne rappresentano il fulcro motivazionale e decisionale ultimo, dalla cui (a volte) ossessiva ripetitività scaturiscono variazioni del plot concettualmente più fragorose dell’estemporaneità stilistica di altri lidi seriali.
Levità “visiva” però contrappuntata dalla grevità acustica di un comparto sonoro per chi scrive di prim’ordine: la pesantezza carica di toni bassi spugnosi e profondi e di alti poco gracchianti definiscono ulteriormente i complessi e felicemente stentorei “quadretti” delle inquadrature: lo svitare di un tappo, il ruotare di palline all’interno di urne trasparenti o il cozzare di un martello su una parete di legno definiscono, più di molte parole e dialoghi, i comportamenti delle pedine umane in gioco. Il Dio delle piccole cose che si riappropria, almeno nella finzione televisiva, della sua discontinua centralità.
Resa apparentemente poco spettacolare ma incredibilmente capace di incollare, letteralmente, alla poltrona. Con una accentuata “verve” citazionista ed una certa vena malinconica ad attraversarne tutte le 10 puntate, sia per l’acuirsi disperato dell’eterno contrasto fratricida tra Chuck e Jimmy (il cui cliffanger in termine di 2^ viene “risolto” processualmente nei primi 5 episodi, nell’ultimo dei quali si rivede tra l’altro - brevemente - quest’uomo qua: http://static1.businessinsider.com/image/52124584ecad041839000018-1200-706/huell%20money%20breaking%20bad.jpeg), che per la progressiva percezione nello spettatore dell’approcciarsi del destino ultimo di molti personaggi, soprattutto quelli non presenti nella serie madre. Tutti interpretati da attori in reale stato di grazia, sia nelle parti principali che di contorno, molto abili nel tradurre praticamente l’idea alla base dello script.
Una serie adulta, da valutare a fuoco lento, il cui giudizio progredisce in considerazione col passare del tempo.
P.S.: non mi resta, infine, che segnalare anche la mia inevitabile adesione al “Kim Wexler Lonely Hearts Club Band”.
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