8 stagioni - 74 episodi vedi scheda serie
(Spring) after winter
La stagione finale di ogni serie tv – fin dall’alba (seriale) dei tempi– al pari della 2^ (quella che dovrebbe sperabilmente confermare il buon avvio) è forse la più difficile da produrre: tutti i fili tematici, le trame e sottotrame, e le azioni dei personaggi devono (dovrebbero) essere ricondotte a fini ultimi coerenti e lineari con quanto costruito in precedenza. Ovviamente, più saranno complesse la trama e l’ordito, più risulterà difficoltoso ultimare il racconto con coerenza.
GoT aveva perso il suo “mentore” già alla 6^ annata, avendo all’epoca George Martin non ancora ultimato i relativi libri della saga letteraria, stagione che insieme alla 7^ era coincisa con un calo qualitativo generalizzato, pur confermando la solidità dell’impianto narrativo e produttivo. Un lavoro apparentemente improbo, quindi, questa ottava – attesissima e sospiratissima – stagione (ad alto pericolo di spoiler inopportuni*), portato invece a compimento – a parere di chi scrive – in maniera efficace e con buoni spunti.
La prima parte (3 puntate) depura i “filtri” narrativi tenuti in stagnazione nella stagione precedente e si concentra (finalmente) sull’agognato arrivo dell’inverno. Si amplificano il pathos e l’epica – caratteristiche non principali del progetto seriale – in situazioni preparatorie allo scontro non propriamente originali ma ben calibrate ed evocative (fra il “Signore degli Anelli” ed echi alcolici del cinema/letteratura di guerra in genere**). Il redde rationem incombente incatena l’attenzione dello spettatore - tenuto conto della notoria crudeltà sceneggiativa (martiniana) della serie (comunque sufficientemente mantenuta anche dopo l’abbandono del deus ex machina) – che segue con trepidazione le azioni dei protagonisti finalmente (quasi) tutti riuniti - se non sotto una stessa bandiera – per uno scopo comune. Pathos che raggiunge il culmine nella puntata 8x03 (“La lunga notte”), concentrata sull’assedio dell’armata dei morti alle mura di Grande Inverno: la fotografia oscura amplifica il senso di terrore latente (la minaccia incombente – letteralmente - da un punto qualsiasi dell’oscuro nulla circostante gli assediati), non attenuato dal fioco chiarore (spettrale) delle fiamme evocate da Melisandre, e riesce a far digerire qualche scelta “tattica” discutibile quali il martirio dei Dothraki lanciati (inutilmente) alla cieca contro il nemico e – soprattutto – la mancata osservanza di una strategia d’assedio basica: il (preponderante) nemico sarebbe consigliabile attenderlo all’interno delle mura, non all’esterno…
Definita la traccia narrativa dei non morti, la seconda terzina di puntate si concentra sulla resa dei conti con la Regina Cersei Lannister: il discusso episodio 8x05 (“Le campane”) ne rappresenta l’acme ed il punto di snodo narrativo più considerevole. Molto criticato dai fan a causa della svolta “comportamentale” di quella figura assurta - col crescere delle stagioni - quale eroina “Girl Power/MeToo” predestinata e cioè la “Regina di Draghi” Daenerys Targaryen. Svolta invece a mio avviso ben calibrata, saggiamente offerta in pasto agli spettatori quale “colpo di scena” ma in realtà – analizzando i comportamenti pregressi ben sintetizzati dal discorso “motivazionale” di Tyrion Lannister ad un indeciso Jon Snow (“Lei ha sempre ucciso, prima gli schiavisti, poi i ricchi sfruttatori poi i cattivi e infine gli innocenti: la morte cammina con lei”) – non così inattesa e naturale evoluzione di condotte di (violenta) rivalsa progressivamente e tenacemente attuate nei confronti dei rivali incontrati sul suo cammino verso l’agognato trono. Perfino il finale speranzoso - quasi circolare e forse semplicistico – appare ben ponderato nell’economia del racconto, discontinuo rispetto alla nota ferocia del progetto e principalmente riallacciato alla “positività” della fonte fantasy (un futuro migliore al termine “dell’intrapresa”).
Un’annata con qualche difetto, quindi, ma “potente” nella narrazione e “onesta” nel tracciare i fili ultimi di una cruenta e sanguinosa lotta per il potere, sin dall’inizio diegeticamente dinamica nello sconvolgere le categorie nelle quali - naturalmente - gli spettatori incasellano (staticamente) i personaggi; a causa di questo atteggiamento (comunque noto fin dagli inizi sia letterari che televisivi), insensati “alti lai” – buoni solamente per qualche polemica web e conseguenti titoli di giornali - si sono levati contro questa conclusiva stagione e qualche buontempone ne pretenderebbe addirittura la riscrittura in toto (sic) grazie ad una raccolta firme online: ignoro a che punto sia tale petizione, ma mi permetto di suggerire un titolo antologico di stagione: “Il ritorno del Re Folle”.
*parlo per esperienza personale: la moglie del sottoscritto – anch’essa divoratrice di serie TV – mentre passeggiava con i cani al parco si imbatté (nei giorni “pandemici e febbrili” dell’uscita dell’ultima annata) in una coppietta che - seduta su una panchina – en plein air ed a voce alta discettava delle puntate di GoT, distribuendo – con noncuranza - spoiler nell’aere dell’affollato giardino. La buona anima (mia moglie) si limitò ad allontanarsi velocemente. L’anima nera del sottoscritto invece, una volta sentito l’accaduto, consigliò – per future occasioni – il metodo Bolton– (Sansa) Stark:https://www.youtube.com/watch?v=Asf_BTsQ_L4
**“Te lo immagini, - dissi, - Diomede che si beve una buona borraccia di cognac, prima di uscire di pattuglia? (...) – Tuttavia... Se Ettore avesse bevuto un po’ di cognac, forse Achille avrebbe avuto del filo da torcere...
Anch’io rividi, per un attimo, Ettore, fermarsi, dopo quella fuga affrettata e non del tutto giustificata, sotto lo sguardo dei suoi concittadini, spettatori sulle mura, slacciarsi, dal cinturone di cuoio ricamato in oro, dono di Andromaca, un’elegante borraccia di cognac, e bere, in faccia ad Achille” (Emilio Lussu – Un anno sull’altipiano – 1945).
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