Come tutti ormai sapete, Diaz di Daniele Vicari avrà la sua anteprima al Festival di Berlino nella sezione Panorama, in un focus dedicato al G8 di Genova del 2001, per poi approdare in 100 sale a partire dal prossimo 13 aprile.
Oggi CineRepublic è in grado di anticiparvi ciò che per mesi è stato tenuto sotto chiave: la trama del film e le intenzioni di Daniele Vicari nel realizzare la pellicola, che ha faticato a trovare produttori e contributi.
Diaz - Don't clean up this blood (2012)
TRAMA NEL DETTAGLIO:
Luca (Elio Germano) è un giornalista della Gazzetta di Bologna. È il 20 luglio 2001, l’attenzione della stampa è catalizzata dagli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine durante il vertice G8 di Genova. In redazione arriva la notizia della morte di Carlo Giuliani. Luca decide di partire per Genova, vuole vedere di persona cosa sta succedendo.
Alma (Jennifer Ulrich) è un’anarchica tedesca che ha partecipato agli scontri. Sconvolta dalle violenze cui ha assistito, decide di occuparsi delle persone disperse insieme a Marco (Davide Iacopini), un organizzatore del Genoa Social Forum, e Franci, una giovane avvocato del Genoa Legal forum. Nick (Fabrizio Rongione) è un manager che si interessa di economia solidale, arrivato a Genova per seguire il seminario dell’economista Susan George. Anselmo (Renato Scarpa) è un vecchio militante della CGIL e con i suoi compagni pensionati ha preso parte ai cortei contro il G8.
Etienne (Ralph Amoussou) e Cecile sono due anarchici francesi protagonisti delle devastazioni di quei giorni. Bea e Ralf sono di passaggio e hanno deciso di riposarsi alla Diaz prima di partire.
Max (Claudio Santamaria), vicequestore aggiunto del primo reparto mobile di Roma, comanda il VII nucleo e non vede l’ora di tornare a casa da sua moglie e sua figlia.
Luca, Alma, Nick, Anselmo, Etienne, Marco e centinaia di altre persone incrociano i loro destini la notte del 21 luglio 2001.
Poco prima della mezzanotte centinaia di poliziotti irrompono nel complesso scolastico Diaz-Pascoli, sede del Genoa Social Forum adibita per l’occasione a dormitorio. In testa c’è il VII nucleo comandato da Max, seguono gli agenti della Digos e della mobile, mentre i carabinieri cinturano l’isolato. È un massacro in piena regola. Quando Max dà ordine ai suoi di fermarsi, è tardi. 93 persone presenti nella scuola, oltre ad essere in arresto, hanno subìto una violenza inaudita senza aver opposto alcuna resistenza.
Luca e Anselmo finiscono in ospedale, Alma dopo essere stata medicata viene condotta alla caserma di Bolzaneto. All’alba Etienne e i suoi amici escono dal bar dove si sono rifugiati durante la notte. Tutto è silenzio, deserto. Si fanno strada verso la Diaz, ma una volta dentro trovano solo sangue e distruzione. Anche Marco non si trovava alla Diaz durante l’incursione. Ha passato la notte con Maria, una ragazza spagnola conosciuta in quei giorni. Quando la mattina, in una Genova devastata e irreale, raggiunge la scuola, la luce del sole mette ancor più in evidenza le proporzioni del massacro. Sconvolto raggiunge il suo ufficio, squilla il telefono: è la madre di Alma. Marco non sa cosa sia successo alla ragazza ma promette che farà di tutto per trovarla.
A Bolzaneto, per Alma e decine di altri ragazzi, l’incubo non è ancora finito.
I fatti di Genova
Dal 20 al 22 luglio 2001 a Genova si riuniscono gli otto grandi della terra per affrontare temi come lo scudo spaziale, il protocollo di Kyoto, la crisi in Medio Oriente e nei Balcani.
Da tutto il mondo arrivano circa 300mila persone per fare un contro vertice, con lo slogan: “Un mondo diverso è possibile”.
Dopo le prime pacifiche manifestazioni del 19 luglio, i cortei del 20 e del 21 luglio danno luogo a una vera guerriglia urbana. Carlo Giuliani è ucciso da un proiettile sparato da una camionetta dei Carabinieri. Si contano circa 1000 feriti, 280 persone arrestate, circa 50 miliardi di lire di danni. Distrutti 41 negozi, 83 auto, 9 uffici postali, 6 supermercati, 34 banche, 16 pompe di benzina, 4 abitazioni private, 9 cabine telefoniche, 1 carro attrezzi.
Alla mezzanotte del sabato 21 luglio, a manifestazioni finite, più di 300 operatori delle forze dell’ordine fanno irruzione nel complesso scolastico Diaz-Pascoli, sede del Media Center del Genoa Social Forum. Vengono arrestate 93 persone: 40 tedeschi, 13 spagnoli, 16 italiani, 5 inglesi, 4 svedesi, 4 svizzeri, 3 polacchi, 3 americani, 2 canadesi, 1 turco, 1 neozelandese, 1 lituano. Si contano 87 feriti: giovani e vecchi, giornalisti e manifestanti.
Molti degli arrestati alla Diaz vengono successivamente trasferiti a Bolzaneto, la caserma-carcere dove, senza ricevere spiegazioni né essere informati di cosa siano accusati, per tre giorni subiscono violenze di ogni genere.
Nei giorni seguenti i fermati sono condotti in carcere dove ricevono assistenza e scoprono di essere accusati di “associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, resistenza aggravata e porto d'armi”. Il Giudice per le indagini preliminari scarcera tutti gli arrestati e gli stranieri vengono accompagnati alla frontiera ed espulsi dall'Italia. Nessun governo europeo ha mai chiesto spiegazioni.
Dalle dichiarazioni rese dai 93 arrestati nasce il processo Diaz. Su più di 300 poliziotti che parteciparono al blitz della Diaz, soltanto 29 sono stati processati e nella Sentenza di Appello in 27 hanno riportato una condanna per lesioni, falso in atto pubblico e calunnia. Le condanne per lesioni e calunnia sono ormai prescritte, restano valide le condanne per falso in atto pubblico che andranno in prescrizione nel 2016.
Nel processo relativo ai fatti accaduti nel carcere/caserma di Bolzaneto sono stati imputati 45 tra poliziotti, carabinieri, guardie penitenziarie, medici e infermieri. Per questo processo “la mancanza, nel nostro sistema penale, di uno specifico reato di tortura ha costretto il tribunale a circoscrivere le condotte inumane e degradanti (che avrebbero potuto senza dubbio ricomprendersi nella nozione di tortura adottata nelle convenzioni internazionali)" [sentenza del tribunale di Genova del 14 luglio 2008].
Il giudizio di appello si conclude con 44 condanne per abuso di ufficio, abuso di autorità contro arrestati o detenuti, violenza privata.
Il processo per l’uccisione di Carlo Giuliani non ha mai avuto luogo, è stata accolta l’archiviazione per legittima difesa. Secondo il pubblico ministero il proiettile fu sparato in aria dal carabiniere, e deviato nel suo percorso da un sasso.
La parola a Daniele Vicari
«Il G8 di Genova svoltosi nel luglio 2001 è stato un evento enorme, ha coinvolto i capi di stato di tutto il mondo, ha visto l’arrivo di centinaia di migliaia di manifestanti anch’essi da tutto il mondo, ha visto la presenza di una quantità mai impiegata prima in Italia di forze dell’ordine. Migliaia di video attivisti, operatori televisivi, video operatori delle forze dell’ordine, fotografi e registi cinematografici hanno ripreso ogni cosa, ogni momento, ogni assemblea, ogni vetrina infranta, ogni carica della polizia. Nell’archivio del Genoa Legal Forum sono conservate migliaia di ore di riprese video e fotografie. Tutto è stato documentato. Tutto, tranne ciò che è accaduto dentro la scuola Diaz e dentro la caserma di Bolzaneto.
I fatti della Diaz e di Bolzaneto hanno dato luogo a due lunghi e drammatici processi che, mentre scrivo, non sono ancora conclusi. La lettura degli atti (www.processig8.org/) è sconvolgente, toglie letteralmente il sonno e getta un’ombra sinistra sulla nostra democrazia. E mette in discussione un luogo comune molto radicato, quello secondo cui certe cose possono accadere soltanto sotto regimi politici autoritari. È per questo che ho pensato fin da subito che avrei voluto guardarle in faccia e comprenderle fino in fondo, perché mi riguardano, sono parte della mia vita di cittadino italiano ed europeo.
È vero, un manipolo di cosiddetti Black Block ha devastato negozi e incendiato automobili provocando danni consistenti, ma in virtù di questo presupposto si è deciso che a pagare il prezzo di quelle devastazioni dovessero essere un centinaio di persone non identificate e quindi non automaticamente riconducibili ai devastatori, radunate in una scuola legalmente concessa al Genoa Social Forum, e si è deciso di procedere con metodi che fanno fare un passo indietro di 80 anni alla nostra democrazia. Ma anche supponendo che i presenti fossero stati tutti incalliti Black Block, in base a quali norme si è potuto prendere una simile iniziativa? E in base a quali principi democratici? Per perseguire reati contro le cose, uno Stato ha il diritto di commettere così gravi reati contro le persone? A posteriori mi chiedo anche: non è che per caso Genova 2001 abbia dato inizio ad una crisi sociale e istituzionale profondissima che in un decennio di “fantapolitica” ha portato l’Italia sull’orlo del baratro?»
Dai fatti al film
«Già in fase di sceneggiatura abbiamo cercato di raccontare il senso di spaesamento che tutti coloro che hanno partecipato al G8 ricordano. Sia manifestanti che poliziotti, giornalisti e cittadini casualmente coinvolti negli eventi, una sorta di caos terrificante.
Durante le riprese ho avuto vari momenti di difficoltà realizzando le scene più cruente, perché in quei momenti ho compreso fino in fondo l’inferno che si è sviluppato dentro quei luoghi. Mi sono chiesto in continuazione: fino a che punto posso spingermi nella rappresentazione di quella violenza? che senso ha questa violenza estrema e da dove viene? che democrazia è quella che mi spoglia, mi violenta, mi priva di identità e di diritti?
Una delle cose che mi ha sempre colpito di più nei racconti delle persone che hanno partecipato a quel G8, è la sensazione di non poter sfuggire al proprio destino, come in un incubo. Questo elemento è filtrato prepotentemente nel film, l’ho capito mentre giravamo la scena difficilissima in cui Jennifer Ulrich (Alma) era costretta a spogliarsi davanti ai carcerieri. Lei si è voltata e ho letto sul collo un tatuaggio, la scritta: “Destiny”. La cosa mi ha sorpreso, ho pensato a una decisione di trucco sfuggita al mio controllo e mi è sembrata una didascalia fuori luogo. Invece no, si tratta di un tatuaggio che Jennifer si è fatta chissà quando. Quel tatuaggio ha concretizzato in me un’altra domanda: qual è la misura oltre la quale non siamo più padroni della nostra vita?
La struttura narrativa del film sollecita queste domande, la circolarità del racconto intorno ad un accadimento marginale della giornata del 21 luglio 2001, di qualche ora precedente all’irruzione, cioè il passaggio di un “pattuglione” della polizia davanti la scuola Diaz, mette contemporaneamente in campo diversi livelli narrativi e sottolinea l’assurda ineluttabilità che ha portato agli esiti estremi raccontati nei processi. I diversi livelli narrativi si intrecciano con diversi punti di vista incarnati da alcuni personaggi che si muovono nei luoghi fondamentali della storia, inconsapevoli di ciò che sta per capitare loro. E io con loro mi chiedo cosa stia capitando, perdo ogni certezza, finisco in un labirinto senza via d’uscita.»
La scelta degli attori
«Ho scelto gli attori oltre che per la bravura, anche in base al loro coinvolgimento emotivo nel racconto. Avevo bisogno di persone capaci di inventare un personaggio coerente con la storia raccontata, avendo talvolta poche scene a disposizione, pochi gesto, uno sguardo, una battuta. Ho avuto la fortuna di avere attori di grande spessore anche in piccolissime parti e questo ha arricchito enormemente il film. I personaggi sono ispirati ai racconti di persone realmente coinvolte negli eventi, ma fin dalla fase di sceneggiatura ho voluto creare caratteri e figure autonomi, lasciando poi completamente liberi gli attori, liberi anche di “imitare” qualche caratteristica delle persone reali, carpita magari dai repertori o da incontri che qualcuno ha voluto tenere, ma senza mai dimenticare di far parte di un gioco creativo, non di un tentativo di imitazione del reale. Gli attori hanno condiviso radicalmente questa impostazione e mi hanno regalato la loro enorme libertà espressiva. Il fatto poi che provenissero da varie parti d’Europa, ha fatto sì che sul set si respirasse un’aria effettivamente internazionale: tedeschi, francesi, belgi, italiani, spagnoli, rumeni, inglesi e americani tutti insieme esattamente come accadde nel Media Center di Via Battisti.»
La lavorazione
«In Romania abbiamo ricostruito via Battisti, 250 mq di scenografia. Una piccola grande impresa produttiva ed artistica. Vederla crescere durante le settimane di preparazione è stato impressionante: dal nulla di un gigantesco piazzale di cemento alla periferia di Bucarest è venuto su un intero quartiere di Genova!
Le riprese sono state faticosissime ma molto coinvolgenti per tutti. Diaz è un po’ come un film di guerra, ha avuto bisogno di un grande lavoro di stuntman, effetti speciali, numerose auto di scena e mezzi tecnici abbondanti, una cosa inusuale per la nostra cinematografia.
Per realizzare un film così impegnativo ci vuole certamente un produttore che creda nel progetto fino in fondo, ma crederci non basta: in questo caso Domenico Procacci non si è limitato infatti a fare il produttore, è entrato nella materia del film con tatto e passione, fin dall’inizio, facendo con me e Laura Paolucci le ricerche, gli incontri, infinite discussioni sul senso di ogni scena, dando via via un apporto artistico ed umano fondamentale, fino all’ultima lavorazione.»
I numeri del film
130 ATTORI
250 STUNTS
8000 COMPARSE
35 AUTOMEZZI DELLA POLIZIA
LOCATION: BUCAREST- ALTO ADIGE- GENOVA
20.000 mq circa di superficie ricostruita: scuola Diaz, via Battisti, piazzale Kennedy, caserma di Bolzaneto, banca Corso Italia
COSTUMI:
450 divise complete VII nucleo mobile, carabinieri, polizia ordinaria, gom (corpo speciale di polizia), polizia penitenziaria, croce rossa;
400 caschi, 150 scudi, 100 giubbotti antiproiettile;
100 pettorine polizia, 400 tonfa e manganelli, 2000 mostrine e gradi;
10.000 magliette del Genoa Social Forum, 1.500 cambi completi di accessori;
900 maschere antigas.
50 litri di sangue.
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