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Il pittore e la modella

Una bella mostra inaugurata a Treviso il 13 c.m. e aperta fino al 13 Marzo 2011 negli spazi espositivi di Ca’ dei Carraresi ha come titolo “Il pittore e la modella. Da Canova a Picasso

 

Curata dal professor Nico Stringa, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia, propone un itinerario di due secoli su un repertorio di opere note e meno note, tutte comunque di grande resa pittorica su un tema affascinante.

Dalle note di catalogo “Quello del pittore e la modella è un tema lanciato dalla pittura romantica sulla scorta del mito di Raffaello e la Fornarina ed ha avuto poi una fortuna ininterrotta fino alla fine del Novecento, in coincidenza con l’affermarsi del nuovo ruolo della donna come artista.Il rapporto tra la donna e l’arte, donna musa e ispiratrice, mito e leggenda, sono diventati realtà nel corso dell’Ottocento e Novecento, addirittura consuetudine, per trasformarsi nuovamente in una mitologia quotidiana a cui si è espressamente dedicato Picasso nel grandioso ciclo eseguito negli anni ’60”.

Un ricco panorama di pittori del vero, divisionisti, simbolisti, fino alle avanguardie ci mostrano, di sala in sala, la figura della “donna dei pittori”, donne che sono spesso anche mogli, amanti, sorelle, madri, legate all’artista da vincoli affettivi, che vengono sublimate col segno che ne fa oggetto d’arte, un simbolo della bellezza che si manifesta in forme muliebri nato in tempi lontani, e che ha continuato sempre a suggerire immagini, a dare forma all’arte.

L'iconografia ha dato volta per volta valenze diverse all'immagine femminile,dalle civiltà egizia e cretese a oggi l'ha spesso piegata alle ideologie e alle mode del tempo, ma resta in queste immagini il senso forte di un'autonomia dell'arte che sempre si sottrae alle strettoie della mente umana, la valenza estetica che vive di luce propria incurante del tempo e delle storie.

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Il panorama della mostra è esclusivamente europeo, con qualche incursione nelle avanguardie americane, circoscritto agli ultimi due secoli e legato al linguaggio della pittura.

Val quindi la pena di guardare un po’ più in là e trovare, in una singolare simbiosi linguistica fra  cinema e pittura, un esempio del particolare rapporto che lega la modella all’artista, e lo scopriamo in un film, Utamaro e le sue cinque donne, e in un regista che della donna ha fatto il centro propulsore della sua arte, Mizoguchi Kenji.

Il perfezionismo estetico di Utamaro e la ricerca artistica e umana di Mizoguchi Kenji  vivono nel film in simbiosi perfetta

Utamaro, pittore di stampe che, nel XVIII secolo in Giappone, catturò l’emozione umana nella sua opera e scelse le donne per farlo, è una figura quasi ascetica, intorno a cui ruotano cinque mondi femminili, ed intorno ad essi, a loro volta, altri mondi e storie che s’intrecciano nell’infinito caos quotidiano, mentre emergono tracciati di esistenze attraversate in vario modo dall’amore e dall’odio, dalla gelosia e dalla passione che scopre confini solo nella morte.

Singolare vicenda nella vita di Utamaro fu l’esilio creativo inflittogli dal potere, la costrizione, l’ottusa limitazione imposta all’arte, stretta fra caos e incertezza, che si tradusse nella pena inflittagli dallo shogun di tenere le mani legate per cinquanta giorni per aver trasgredito, guardando la bellezza come oggetto d’arte, quella stessa bellezza che viene invece  contaminata dallo sguardo lubrico del potere che la sfrutta per il suo piacere.

Film di grande valenza metaforica sulla libertà dell’arte, sovversivo fin nel profondo rispetto a tutto quello che della libertà si dichiara nemico, colpisce con la bellezza delle immagini, la sapiente e raffinata eleganza delle forme che fondono intelletto ed emozione in sintesi di movimento, suono, luce, espressione, imponendo così, con  forza accresciuta, quelle idee su cui l’uomo ha scritto le sue pagine più alte.

Tesimonianza forte di dedizione di un uomo alle sue scelte, Utamaro o meguru gonin no onna è anche un affascinante manifesto sull’arte e sulla libertà di espressione contro rigidità e conformismi.

Le vicende umane sono  ciò di cui l’arte si alimenta, la bellezza femminile la sua fonte di energia. 

Mizoguchi ha trovato in Utamaro il suo alter ego, le mani che sfiorano leggere la schiena bianchissima di Takasode, su cui dipingerà un ritratto che vivrà con lei, e soffrirà e proverà gioia con lei, e quando morirà, morirà con lei, sono anche le sue mani e quelle di ogni artista che sa bene quanto di eterno ci sia nella sua arte, ma anche quanto di effimero.

 

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