Spread, inflazione, recessione, decreti Salva-Italia che preoccupano mari e monti. L'Italia è in piena crisi economica dopo anni di governi scellerati e puttane di regime, non ci sono i soldi per il pranzo di Natale ma rimane la voglia di evasione. Mandare affanculo un anno intero e sollazzarsi con tutta la famiglia. Per un giorno, per una sera, per due ore. Al cinema.
Questo è il difficile compito che spetta quest'anno in primis al cinepanettone. Perché, diciamoci la verità, è il nostro peccato silenzioso, la torta alla panna che tutti lecchiamo per poi dire "1800 calorie per una sola fetta", celando dietro l'ipocrisia quel sottile piacere che ci ha pervaso nella visione. Non parlo di piacere estetico, lo definirei piuttosto piacere sadico. Piacere di rivedere i propri difetti riflessi sullo schermo e poter dire: Ecco, quello lì sono io, in versione atavica, volgare e incredibile. Ma sono io, portato all'eccesso, deriso e derisibile, vittima e carnefice, dottor Jeckyll e Mister Hyde.
E, pazienza, se per ridere devo parlare di corna e scappatelle, di siciliani in vacanza, di giochi a premi televisivi (di pacchi, per l'esattezza), di Facebook e i suoi effimeri amori o, peggio ancora, sopportarsi (si fa per dire, eh) le grazie di Sabrina Ferilli. Ci siamo sopportati 17 anni di Berlusco(glio)ni, cosa vuoi che sia un film?
Già vi vedo col dente avvelenato. Ma come, Spaggy? Come osi macchiare il nome del Sacro Cinema parlando dei film di Christian De Sica? Come ti permetti? Oso, mi permetto, approfondisco perché cari miei saputelli di lunga data o dell'ultima ora vi conosco. Sono almeno quattro settimane che mi chiedete (al cinema col quale sto temporaneamente collaborando) quando esce il film di Natale. E da trent'anni il film di Natale è solo uno. Che sia girato all'estero o in Italia, ormai il cinepanettone è irrinunciabile: come la fetta di pandoro a Verona, la pastiera a Napoli o i buccellati a Palermo.
Così come vedo tutte le penne di esimii critici pronti a sparare analisi sociologiche e ricercare anfratti di realtà per spiegare le ragioni dell'ennesimo buon risultato al botteghino. Ormai è un gioco collaudato. Ti piace un film che non ti frantumi le palle per 247 minuti e quel film ha ampio riscontro presso il pubblico? Prassi vuole che tu, Manfredi Della Rocca dei Corsari (nome di fantasia per indicare uno dei tanti recensionisti del nostro paese... uhm, a proposito, che si decidano a creare un albo, un ordine: spuntano come funghi o come cavoli a merenda, considerando il livello spesso di inappropriatezza), darai una stella e mi parlerai di nefandezza, perdita dei valori, abbassamento dei costumi. Peccato che poi, sempre tu, vada in giro a recitarne a memoria le battute e a fingerle tue, raccontandoti per quello che non sei e che avresti voluto essere. Ma farti 'na risata e confessarlo è così grave? Suvvia, che c'è di peggio...
Vacanze di Natale a Cortina arriva nelle sale venerdì prossimo. Sarà un'invasione, anche perchè ricordiamo che il brand è vivo e vegeto. L'anno scorso si parlò di crisi degli incassi: 18 milioni di euro son pochi, accipicchiolina. Doveva farne 487. 'Sta minchia! Ditelo a tutti quelli che quest'anno non sono arrivati neanche a 2... e la lista è lunga.
Per l'occasione, eccovi il backstage della pellicola e un'interessante intervista (realizzata da Steve Della Casa per l'ufficio stampa FilmAuro) al protagonista per eccellenza, Christian De Sica. La chiamerei l'intervista che non ti aspetti... leggete e capirete perchè.
Tutto inizia nel 1959, quando Camillo Mastrocinque gira una divertente commedia ambientata a Cortina. È il celeberrimo Vacanze d’inverno, con Alberto Sordi e Vittorio De Sica, scritto da Oreste Biancoli e Rodolfo Sonego. Un film grazioso, spiritoso. Ancora oggi molto godibile.
Anni dopo, era il 1983, noi due realizziamo una commedia nostalgica di grande successo popolare. È Sapore di Mare, cronaca sentimental-comica di una estate degli Anni 60, a Forte dei Marmi. La sera della prima a Roma, al cinema Empire, è presente anche Aurelio De Laurentiis. Il film gli è piaciuto moltissimo e, all’uscita, viene ad abbracciarci. Ci dice: “Il prossimo film lo facciamo insieme… Un Sapore di mare ambientato oggi, sulla neve, a Cortina…”.
Insomma, è lui a proporci l’idea. Che ci piace subito perché conosciamo molto bene Cortina d’Ampezzo. Ma anche perché si lega in maniera precisa a quel Vacanze d’inverno, autentico archetipo della commedia italiana che amiamo. Accettiamo. Così è nato Vacanze di Natale.
Il film si rivela un altro grandissimo successo. Se Sapore di Mare aveva fotografato l’Italia del passato, Vacanze di Natale fotografa il presente. Ed il pubblico si riconosce in quei personaggi dell’Italia Anni 80 che affrontano la vita con una nuova energia. In un panorama un po’ ripetitivo della commedia nostrana, fiaccata dal grigiore degli Anni 70, arrivano finalmente sullo schermo attori giovani, scanzonati, allegri, vitali. Le musiche sono in sintonia con il pubblico. Il dialogo è di grande attualità. Quando si dice un film molto azzeccato. Che poi, nel corso del tempo, ha avuto l’onore di diventare un “cult” grazie al consenso delle generazioni successive.
Si può dire, in un certo senso, che la grande saga dei film natalizi prodotti da Aurelio De Laurentiis comincia di fatto proprio con Vacanze di Natale. Alla realizzazione di una parte consistente di questa saga abbiamo partecipato anche noi. Con film di vario genere (instant, storico, fantasy). Ma tra questi, altre due volte abbiamo ripreso il tema della vacanze sulla neve: in Vacanze di Natale '95, scritto da noi per Neri Parenti, con ambientazione ad Aspen, e in Vacanze di Natale 2000, girato da Carlo, di nuovo a Cortina. Nel 1990 e nel 1991, invece, fu Enrico Oldoini a scrivere e a girare i suoi Vacanze di Natale su nevi diverse…
Non saremo certo noi a dare dei giudizi critici su questi film. Vogliamo solo aggiungere una nostra piccola riflessione. Vacanze di Natale, con il passare del tempo, ha assunto un significato che va aldilà dello specifico filmico. È un contenitore sociologico che fa un po’ da specchio all’evoluzione della società italiana. Vedendo questi film si possono trarre informazioni preziose su come siamo e su come siamo cambiati, noi italiani. È un valore aggiunto che non va sottovalutato. Per questo, liquidare tutto ciò con la scorciatoia giornalistica del “cinepanettone” ci sembra un po’ riduttivo.
Anche se, a detta di tutti, addentare una volta l’anno una fetta di panettone fa bene all’umore.
Carlo ed Enrico Vanzina
INTERVISTA A CHRISTIAN DE SICA
Caro Christian, innanzitutto: ma come fai a fare tutto? Sei attore nei film di Natale, sei regista in proprio, hai tuoi progetti teatrali, fai pubblicità, non ti risparmi in presenze e “ospitate”… Che cos’è, superattivismo, bulimia, entusiasmo?
Fare l’attore per me è soprattutto felicità. Una felicità vera, incontenibile. Quando incomincio un nuovo lavoro mi viene sempre da pensare: vorrei aprire la finestra e urlare a tutto il mondo “Grazie Gesù che mi hai fatto attore, non c’è cosa più bella al mondo dell’essere attore”.
Resta il fatto che tu anche all’interno del mestiere ti cimenti in compiti sempre diversi. E anche il fatto che ultimamente stai cercando sempre di più di diversificare le tue apparizioni. Anzi, sembra che ci siano due De Sica paralleli, uno che da trenta anni interpreta il film comico di Natale e un altro che si diverte a sorprendere.
Devo innanzitutto fare una premessa. Non è retorica se cito mio padre ancora una volta. Vittorio De Sica diceva sempre che l’attore deve saper fare tutto, e soprattutto che deve farlo bene.
Il film di Natale è il mio prodotto di linea popolare, quello per il quale sono conosciuto presso il grande pubblico. Ed è grazie alla popolarità che mi deriva dal film natalizio che posso concedermi tante altre attività nelle quali travaso una parte del successo di quei film. Credo di dover dire grazie ai miei personaggi natalizi se poi ho potuto scrivere un libro per Mondadori che è poi balzato ai primi posti delle classifiche di vendita. E devo sempre a quella popolarità l’aver potuto allestire lo spettacolo su Gershwin che è stato in cartellone per molto tempo nei teatri italiani.
Essendo attore protagonista in film che incassano tantissimo e che sono molto visti, posso poi permettermi di fare una partecipazione in un film di Johnny Depp, oppure di essere addirittura un nonno nella fiction che Pupi Avati sta per dirigere. Mi sono trovato molto bene con Pupi Avati, che conosco dagli anni Settanta, quando praticamente mi tenne a battesimo, e sono molto contento di averlo ritrovato con Il figlio più piccolo. Adesso devo fare per lui un nonno, che ovviamente per me è un personaggio completamente nuovo.
Dicevo della lezione di mio padre: Vittorio De Sica era sempre lui sia quando dirigeva Ladri di biciclette sia quando interpretava Pane amore e fantasia; quando commuoveva il mondo con Umberto D. e quando Mario Bava gli chiedeva un piccolo ruolo per Aladino. Bisogna saper mescolare drammatico e comico, ruoli brillanti e altri più pensosi.
Allora parliamo un po’ dei film che come tu dici ti danno la popolarità, i “cinepanettoni”. A proposito: questa definizione ti piace o ti irrita?
Il panettone è il mio dolce preferito. Mi piacciono anche le uvette e i canditi, mi piace davvero, mi procura allegria il solo vederlo. Quindi non ho assolutamente niente contro questa definizione che non mi sembra negativa. Mi irrita un po’ invece tutto il gran parlare che si fa dei cinepanettoni. Si scomodano sociologi e psicologi, si elaborano teorie astruse, incomprensibili, fondate sul nulla.
Quante volte abbiamo letto che il cinepanettone è in crisi, è morto stecchito, è eterno, e inaffondabile? Di solito queste sentenze definitive e inappellabili si basano su un dato assolutamente aleatorio. Basta che un film della serie incassi un milione di euro in più o in meno dell’anno precedente e subito i teorici si scatenano.
Una sola cosa è certa, che il cinepanettone lo abbiamo inventato noi e ciò è attestato anche dallo Zanichelli che lo ha inserito nel vocabolario della lingua italiana: la potenza del cinema!
Anche perché il cinema comico è una presenza costante nella storia del cinema italiano…
Proprio così. Solo che un tempo c’erano i film di Franco Franchi e di Ciccio Ingrassia ma poi giravano anche Deserto rosso. Adesso invece ci sono di fatto solo le commedie. Grandi film d’autore in giro non ne vedo, soprattutto nelle nuove generazioni. A me piace molto Paolo Sorrentino, ma ci vorrebbero almeno un’altra ventina di giovani al suo livello. Anche perché Sorrentino è la dimostrazione che, quando un autore è veramente tale, i risultati a livello di
pubblico non mancano.
Ritorniamo ai film di Natale. Tu sei la costante, quindi la persona più indicata a raccontarci come lavorate, come create i personaggi, le situazioni comiche, le gags…
In questo mi è molto utile il rapporto ottimo che ho con Neri Parenti, regista anche lui veterano della serie e inoltre forse la persona che conosco più dotata di senso dell’umorismo. Neri, come me, pensa che il miglior dialoghista al mondo sia l’attore comico. E così la lavorazione segue uno schema ben preciso.
Neri Parenti lavora con gli sceneggiatori e scrive i testi. Poi me il mandano e io faccio correzioni, modifiche, aggiunte, tagli. Poi rimando la sceneggiatura a loro e a loro volta mi dicono che cosa pensano, quali modifiche accogliere e quali invece non funzionano. In questo modo arriviamo sul set con una sceneggiatura e dei dialoghi già molto elaborati. Poi durante le riprese siamo pronti per altre modifiche.
Un altro punto che ho in comune con Parenti è la vecchia convenzione degli attori comici prestati al cinema: quando la troupe ride durante le riprese, è sempre un bel segno. La verifica se la vicenda funziona o non funziona la facciamo anche così.
Proprio come faceva Steno.
Io mi ricordo che in uno dei suoi ultimi film, Mi faccia causa, modificò una scena girandola un numero spropositato di volte sino a quando si accorse che la troupe si divertiva mentre sentiva le battute.
E qual è invece il ruolo dell’altro “nome costante” in questi trent’anni di film natalizi, quello del produttore Aurelio De Laurentiis?
Direi che il suo contributo più importante è il coraggio. Il coraggio di un imprenditore che da trent’anni punta su un prodotto importante e che via via segue nelle sue modifiche. Tutti gli altri produttori che conosco si sarebbero stancati.
Aurelio è innanzitutto un amico e si occupa personalmente di tantissime cose. Naturalmente cura il marketing, quindi segue la distribuzione, si occupa personalmente di scegliere una per una le sale che ospiteranno i film, fissa le teniture.
E soprattutto investe soldi, soldi suoi, soldi veri. De Laurentiis è l’unico produttore italiano che fa i film con mezzi propri, senza i contributi dello Stato, senza la prevendita televisiva a Rai o a Mediaset. E nella promozione investe veramente tanto ed è molto attento ai nuovi media, credo sia stato lui il primo a intravedere le potenzialità della promozione attraverso internet pur non trascurando quella tradizionale.
Poi entra anche nel merito della costruzione del film. Per esempio, è lui che molto spesso propone attori, sottolinea l’importanza della presenza di questo o quel dialetto, spinge il film in questa o in quell’altra direzione. Direi che De Laurentiis è la persona che crea il contesto. E il fatto che abbia sempre voluto confermare la mia presenza è per me un grandissimo attestato di stima professionale.
Poi c’è anche l’amicizia, ma sul lavoro Aurelio è davvero meritocratico, forse uno dei pochi in Italia a esserlo veramente.
I film di Natale sono film comici. Ma tu tecnicamente non sei un attore comico, piuttosto un attore brillante. Infatti nessuno dei partner che si sono succeduti negli anni al tuo fianco può essere definito una spalla, come erano Mario Castellani o Gianni Agus per Totò.
È verissimo. Io sono un attore brillante, nella linea che va da mio padre a Walter Chiari. Io non sono un comico di battuta e nemmeno di maschera. Ho un fisico borghese e interpreto personaggi borghesi, i comici tendenzialmente sono proletari e sono maschere popolari. Non è il mio caso ovviamente.
Io sono un borghese antipatico, prepotente, sopraffattore.
E infatti una buona parte del tuo repertorio risente dell’influsso del prepotente per eccellenza del cinema italiano, l’Alberto Sordi dei primi film.
Ovviamente. Sordi è un punto di riferimento imprescindibile. Le note sono sette e di conseguenza un attore che voglia fare ruoli brillanti di un borghese prepotente non può prescindere dalla lezione del grande Alberto. Posso dire, anche se sembra retorico, che fu proprio Sordi a spingermi in questa direzione.
Lo frequentavo molto, discutevo con lui, parlavamo spesso e volentieri. Lui mi diceva sempre: attingi, e poi ogni volta che passerai davanti a una mia foto devi accendere un moccoletto, una candela. Idealmente è quello che faccio.
Alberto Sordi è stato talmente coerente con l’italiano medio da realizzare quelle famose serie di montaggio con i personaggi dei suoi film che chiamò “Storia di un italiano”, e che di fatto riescono a ricostruire l’intera storia del nostro Novecento. Di fatto la sua “Storia di un italiano” termina con gli anni Ottanta, proprio nel momento in cui incomincia la tua trentennale esperienza di film di Natale. Pensi che unendo i tuoi vari personaggi si possa idealmente raccogliere quel testimone e raccontare gli ultimi trent’anni di costume italiano?
È una cosa che mi piacerebbe. Penso davvero che i film di Natale abbiano raccontato l’evolversi del costume italiano almeno quanto certi film d’autore che però non hanno lasciato alcun segno.
In particolare, il costume di una certa borghesia, il suo modo di essere, i suoi valori o non valori.
Penso che per questi film valga quello che avveniva con i film di Totò. Magari alcuni sono riusciti meno bene di altri, ma ci sono sempre cinque minuti che valgono la pena. Anche in Totò contro Maciste, che ho appena rivisto. Credo che sia un aspetto da tener presente.
E poi c’è un’altra cosa che vorrei sottolineare: questa serie sta entrando nel Guinness dei primati senza che nessuno se ne sia mai accorto. Quasi trent’anni, un’era geologica per quanto riguarda il cinema. Nessuno credo abbia mai raggiunto queste dimensioni, nemmeno James Bond che comunque cambia sempre attore, mentre io li ho fatti proprio tutti.
Parliamo dei vari partner che si sono succeduti negli anni.
Si tratta di film corali, raccontano sempre due storie che si incrociano e quindi i nomi sarebbero davvero tanti. È ovvio, Massimo Boldi è stato il più importante. Quando c’era lui le storie avevano un’impostazione coerente al fatto che lui doveva essere la vittima e io il carnefice.
Quando poi ho lavorato con Massimo Ghini ovviamente sono state necessarie delle modifiche perché entrambi dovevamo fare i carnefici, i borghesi prepotenti e donnaioli.
Tra le donne, Sabrina Ferilli ha una marcia in più di tutte le altre: è difficile trovare nel cinema comico italiano un’altra donna bella che abbia i suoi tempi e la sua vis comica. Di solito le comiche del nostro cinema erano brutte e lavoravano sulla bruttezza, come avveniva per la grandissima Tina Pica. Monica Vitti era un’eccezione: bella e comica.
Quali sono le novità nel film di Natale di quest’anno, visto che dopo aver tanto girato per il mondo ritornate in Italia per le vostre avventure?
Tornare a Cortina d’Ampezzo è un po’ tornare all’inizio di tutto, dato che il primo film si svolgeva proprio lì. E tornando in Italia cambiano molte situazioni. Ad esempio il mio personaggio non è più in viaggio, ma si trova a Cortina nella sua casa di proprietà con moglie e figli.
Ambientare la storia in Italia è al tempo stesso più facile e più difficile. Naturalmente ci sono molti più spunti di costume, possiamo raccontare come secondo noi è la borghesia italiana nell’anno 2011, che cosa pensa, quali abitudini e costumi ha. Quando raccontiamo gli italiani all’estero è ovvio che il taglio della storia deve essere per forza differente e puntare più sulla comicità gestuale.
Girando a Cortina abbiamo anche potuto attingere a un certo repertorio di situazioni italiane.
Un appello per il nuovo film di Natale?
Parlatene di meno. È un film fatto per divertirsi. Ma se ne parlate, almeno cercate di vederlo, può essere utile.
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