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 La rana nel pozzo non può immaginare l’oceano

E’ una massima del filosofo cinese Zhuang-zi a cui i giapponesi aggiunsero: "ma conosce l’altezza del cielo".

Nel padiglione giapponese della cinquantaquattresima edizione della Biennale d’ Arte a Venezia, la video-installazione di Tabaimo, una delle maggiori artiste giapponesi, classe 1975, laureata presso l’Università di Arte e Disegno di Kyoto nel 1999, è una delle cose per cui valga la pena di correre a Venezia prima della chiusura dei battenti, il 27 c.m. (oltre, naturalmente, ai tre grandiosi Tintoretto esposti in un immenso salone sovrastato da migliaia di colombi imbalsamati del super acclamato artista Cattelan. Un tributo al grande Hitch? Speriamo)

 

Tornando al Giappone, nel padiglione progettato nel 1956 da Takamasa Yoshizaka, allievo di Le Corbusier, che allo stile inconfondibile del maestro aggiunse il tocco di sobria e stilizzata eleganza che contraddistingue gli architetti giapponesi nel mondo c’è qualcosa per cui non è facile trovare una definizione che la contenga tutta, è arte visiva, esperienza onirica, animazione, cinema tout court.

Si chiama teleco-soup, e, come suggerisce il titolo, è una zuppa, ma con ingredienti invertiti:

mare - cielo, fluido - recipiente, il sé e il mondo.

 

L’ambiente circolare è immerso nel buio, l’interno del padiglione è un pozzo scuro mentre uno spazio aperto, centrale e sottostante al pavimento, va verso il cielo su colonne.

Parte il video e per alcuni minuti assistiamo ad una proiezione multicanale su pannelli a specchio, una fluida sintesi di immagini disegnate a mano e scansionate al computer che, con una simbologia di grande impatto visivo, ci parlano del Giappone attuale aprendosi ad un discorso sull’uomo, sullo spazio e sul tempo, fra presente e futuro, in un viaggio psichedelico da cui si esce parecchio frastornati.

Una facciata di case, condomìni gremiti di finestre immobili (Ozu di Soshun, per intenderci), la relazione tra interno ed esterno, tra individuo e società, annullata da un pesante effetto di straniamento.

Subentra a questo punto una sorta di movimento fluttuante, i confini spaziali si dilatano, si avverte una sensazione destabilizzante che annulla la gravità, onde del mare si spingono avanti, sommergono la scena, strane forme embrionali, sottomarine, si dilatano, avvolgono lo spazio fino al riemergere della città, che ora ha finestre pulsanti di luce, mentre dall’alto dello skyline dei tetti si protendono forme vegetali, specie di liane lunghissime e tentacolari che trasformano lo scenario urbano in un verde mondo naturale da cui cominciano a sbocciare cerchi colorati, forme che diventano corolle, sono grandi rose da cui sboccia un pistillo tondo, salta fuori, è pesante e si tuffa nell’acqua: è un cervello umano.

 

Ispirandosi all'estetica dell'ukiyo-e, "immagini del mondo fluttuante", arte popolare fiorita a Edo (Tokyo) durante la seconda metà del XVII secolo (Utamaro fu uno degli artisti più famosi), utilizzando stilemi propri del manga e degli anime, Tabaimo ha affrontato le contraddizioni fra il tradizionalismo giapponese e le spinte alla globalizzazione indotte dallo sviluppo  tecnologico e dalle regole dei mercati internazionali.

L’artista si domanda se sia davvero così piccolo il mondo di una rana nel pozzo, e lo chiede a noi, spettatori ipnotizzati da immagini che ci avvolgono come una morbida placenta.

Rane nel pozzo, da quel pozzo ci estrae, a volte, il cinema.

Cioè l’Arte, in una parola sola.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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