Innanzitutto, cominciamo con il rassicurare tutti: il regista Pupi Avati colpito l'altra sera da malore sta bene e sarà presente questa sera alle 19:30 all'Auditorium Santa Cecilia per la presentazione in Concorso al Festival di Roma del suo Il cuore grande delle ragazze. Ce lo fa sapere tramite sms sua figlia, smentendo categoricamente quanto riportato ieri da Repubblica.it che parlava addirittura di angioplastica per il regista.
Ricordandovi che al film interpretato dalla coppia Cesare Cremonini e Micaela Ramazzotti ho già dedicato un intero post, oggi lasciamo la parola al regista che in un'intervista spiega e racconta il "cuore grande" delle donne d'inizio Novecento.
Intervista a Pupi Avati
Come è nata l’idea di questo film?
Lo spunto è arrivato da una perlustrazione che compio da tempo nei riguardi del mondo contadino di mia madre che fondava le sue radici nella cultura rurale in cui mi sono formato - a Sasso Marconi, vicino a Bologna - e dove la mia famiglia era “sfollata” a causa della guerra. Si sa che i primi anni di vita di una persona sono quelli che producono un “imprinting” e io col tempo ho fatto di tutto per non liberarmi di quei ricordi: a quell’universo sono molto riconoscente e se sono diventato regista lo devo a quel contesto così particolare in cui ho imparato a fantasticare.
Che cosa le interessava raccontare con Il cuore grande delle ragazze?
Soprattutto il modo di essere maschi e quello di essere femmine in anni molto diversi da quelli di oggi. Mi è piaciuto dar vita alla “scandalosa” proposta di analizzare certe mentalità molto differenti dalle attuali attraverso la storia di un matrimonio che è in gran parte uguale a quella dei miei nonni. Mia nonna e le donne degli anni ’20, infatti, somigliavano molto alla ragazza che si innamora del nostro protagonista Carlino Vigetti, il tipico “Sbagerla”, come viene soprannominato in Emilia, un uomo completamente inaffidabile e alla continua ricerca di conquiste. Un tipo che nessun genitore vorrebbe per le proprie figlie. La capacità di piacere alle donne non ha che fare con la bellezza o la ricchezza, è un talento misterioso ed occulto che uno ha o non ha. La storia di quello che fu il matrimonio dei miei nonni materni mi è sembrata perfetta per ricavarne una commedia brillante e luminosa: mia nonna si innamorò dell’essere umano peggiore di tutta Sasso Marconi e arrivò illibata alla prima notte di nozze nonostante mio nonno avesse cercato in mille modi di… anticipare l’evento. Obbedendo alle regole di tanta narrativa sui matrimoni ostacolati, alla fine le nozze si avranno da fare e si faranno, ma Carlino continuerà a essere l’uomo inaffidabile di sempre. Arrivati nell’ albergo in cui alloggiavano per la luna di miele, lui con un pretesto si allontanò per quattro ore e tradì la moglie sposata poco prima: credo che per l’epoca una simile eventualità non fosse affatto rara. La nonna scappò a Bari per tre mesi ma poi tornò a casa e il matrimonio andò avanti nonostante lui continuasse regolarmente a tradirla: ricordo le urla della nonna tutte le volte che trovava in casa le foto delle altre donne. A differenza della nostra epoca (in cui se ne parla tanto senza che ci si dedichi troppo), il sesso in passato era praticato con continuità, costanza ed innocenza, la gente sapeva a malapena leggere, le prospettive e gli interessi non erano tanti, non si andava al cinema, si faceva poco sport e gli uomini si dedicavano alla caccia, ai caffè, all’osteria ma soprattutto alle donne. L’attrazione sessuale era una prerogativa dei maschi, il piacere rappresentava un loro territorio esclusivo. Questo film è dedicato alle donne che in quegli anni avevano un cuore enorme ed un’incredibile capacità di sopportare, capire e perdonare i comportamenti dei mariti, cosa che le donne di oggi difficilmente accetterebbero. E la vita le risarciva di questa generosità, dando loro un misterioso ascendente definitivo sugli uomini, che alla fine tornavano sempre da loro, sovrane indiscusse della casa. Il cuore grande, le donne, lo conservano ancora oggi. Forse non sono più disposte a perdonare come allora, ma hanno conservato uno sguardo sulle cose molto ampio, riescono ad avere un misterioso coinvolgimento nelle relazioni, sono più affidabili. Si appassionano di più a quello che fanno e hanno una dose maggiore di sensibilità. È incredibile pensare alla resistenza a quell’epoca di un istituto come il matrimonio (oggi i legami sono tutt’altro che eterni, saltano in aria per niente, dopo un anno o due ogni pretesto è buono per farli finire..), sia mia nonna sia la nostra protagonista non hanno ceduto mai, così come non hanno poi ceduto nemmeno i rispettivi mariti. È commovente pensare a quello che è stata mia nonna per mio nonno, insistette nel volerlo sposare proprio perché lui era così inaffidabile. Del resto anche diversi anni dopo, quando io ero giovane, i tipi inaffidabili sono sempre piaciuti di più della gente normale, io ad esempio dovevo fare di tutto per sembrare meno “bravo ragazzo” altrimenti non si arrivava a niente: per avere una mia allure e darmi un tono ho dovuto cominciare a bere, sono stato un uomo che ha sempre rincorso le donne con una fatica terribile, poi ne ho raggiunta una, l’ho sposata e ci vivo da 46 anni…
Qual è secondo lei l’attualità di questo nuovo film?
Prima di dedicarmi a questo progetto provenivo da due esperienze professionali che guardavano al mondo con uno sguardo poco gioioso e rassicurante: Il figlio più piccolo che riguarda la corruzione dilagante e Una sconfinata giovinezza, una vicenda incentrata sull’Alzeheimer, difficile, dolorosa, “plumbea”, ma a me molto cara. Sentivo pertanto la necessità e il desiderio di entrare in una storia luminosa, festosa, leggera ma con un suo significato. Vedendo questo film oggi forse il pubblico sarà portato a pensare che molti dei fatti rievocati siano inventati, invece provengono in gran parte dalla realtà vissuta. Il racconto dell’oggi si è spogliato dello ieri, siamo tutti insoddisfatti del nostro presente da un punto di vista economico, sociale, politico, morale, etico ma è raro che lo si viva pensando di paragonarlo al passato. Credo invece che non faccia male raccontare ogni tanto come eravamo ieri, anche se ovviamente questo non vuol dire che io vagheggi nostalgicamente un ritorno a quegli anni. Quando racconto il tempo passato mi sento più libero di inventare mentre invece mi risulta difficile immaginare un oggi più “fresco”, c’è sempre un certo incupimento in agguato.
Che cosa può raccontare a proposito della scelta degli attori?
Mio fratello Antonio mi parlava da tempo di Cesare Cremonini e una sera l’ho visto per caso in una trasmissione tv. Essendo una pop star pensavo dovesse obbedire a certi stereotipi “maledetti”, invece si trattava di un bravo ragazzo che parlava di famiglia con una compostezza che ho riconosciuto essere la mia: le cose che diceva, il suo modo di pensare mi hanno ricordato il modo di essere bolognese di sempre e l’ho cercato subito perché ho rivisto in lui molto di me stesso alla sua età.
Anche Micaela Ramazzotti mi è stata suggerita da mio fratello, aveva lavorato da ragazzina in alcune nostre produzioni, è una bravissima attrice ma in questa occasione ho voluto che il personaggio fosse quello di una donna romana come lei, le ho dato la possibilità di recitare con la sua vera inflessione e ho trovato in lei dei potenziali brillanti da sviluppare perché è un grande talento comico.
Gianni Cavina interpreta il ruolo di un facoltoso possidente patrigno della protagonista sposato in seconde nozze con Manuela Morabito, un’ex impiegata postale romana. Il padre di Carlino è interpretato da Andrea Roncato, perfetto perché recita forse per la prima volta con misura e credibilità. Massimo Bonetti è lo zio di Cremonini che ha sposato un’ex prostituta (Sydne Rome) rimasta senza un occhio, altro dato che proviene direttamente della nostra infanzia.
Quello che mi induce a scegliere un attore è la curiosità, che è l'energia e il propulsore di ogni aspetto. La cosa più importante è che io abbia davanti a me una persona dotata di umanità e generosità. Se poi ha un vissuto esterno al mondo del cinema, è anche meglio, perché lo porta con sé sul set e quindi nel film. È questo il motivo per cui non faccio mai provini, mi fido dell'intuito mio e di mio fratello e finora è andata bene. Poi c'è senz'altro da parte mia una vicinanza pressante e affettuosa, una certa complicità che permette di creare rapporti in grado di produrre certi risultati e da parte mia una grande riconoscenza per gli attori che ho diretto.
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