Carriera e vita di un calciatore: mi sono sempre chiesto cosa si provi a stare dietro a un pallone nel momento in cui sai che stai per tirare il calcio di rigore che cambierà, nel bene o nel male, le sorti di un incontro. Così come mi appare abbastanza inquietante il fatto che i calciatori, dopo aver regalato i migliori anni della loro vita allo sport e ai sacrifici che comporta, debbano smettere di "lavorare" quando il loro fisico comincia a cedere. Quanta forza ci vuole per reinventarsi un nuovo percorso a 40 anni, età critica per ogni uomo? Quanto coraggio serve a metabolizzare la realtà e digerire di non essere più utili a ciò che si è amato, si ama e si amerà? Quanti ci riescono?
Qualcuno potrà dire che con tutti quei milioni guadagnati il problema non si pone neanche. Da sognatore, invece, so bene che i soldi non fanno la serenità di un uomo: all'improvviso, un calciatore perde ogni appiglio alla sua realtà, si ritrova in un mondo capovolto che richiede lotta continua per rimanere vivo dentro.
C'è chi ci riesce e chi no. La storia di Agostino Di Bartolomei, il mitico "Oooo Agostino... Ago Ago Goal", si conclude la mattina del 30 maggio 1994 quando "sentendosi chiuso in buco" apre un varco nel suo cuore. E non è una metafora.
Non giocava più da 4 anni, dimenticato da una disciplina vampira che ti lascia per sempre quando ti ritiene esangue.
La sua parabola ora rivive nel documentario 11 metri, di Francesco Del Grosso, presentato oggi al Festival di Roma alle 18 in Sala Petrassi per gli Eventi Speciali. 120 minuti di girato, 45 interviste, materiali di repertorio, L'uomo in più di Paolo Sorrentino e le voci della famiglia Di Bartolomei. Ad accompagnare il film, patrocinato dalla AS Roma, alcuni dei giocatori della squadra ma non ci sarà il capitano Totti per non distogliere troppo l'attenzione dal suo precedessore. Bravo France'!
Era il 30 maggio 1994, a dieci anni esatti dalla finale di Coppa Campioni persa dalla Roma ai calci di rigore contro il Liverpool, quando Agostino Di Bartolomei, storico capitano del secondo scudetto giallorosso, si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola al cuore. Una morte che ha colto chiunque di sorpresa, lasciato tutti nello sgomento e che ha spinto molte persone ad interrogarsi almeno una volta sul loro rapporto con Agostino, provando invano a cercare un perché ad una tragedia che ha segnato indelebilmente le coscienze di molti. Attraverso una raccolta d’interviste a parenti, amici, allenatori, compagni di squadra, tifosi, personalità del mondo del calcio e dello spettacolo, arricchite da contributi fotografici e immagini di repertorio inedite, il film racconta le diverse sfaccettature di una personalità complessa di cui il mondo dello sport sembra capace di leggere solo una parte. Il risultato è una rievocazione biografica ed emozionale nei luoghi a lui cari, ma soprattutto un ritratto intimo di Di Bartolomei, con tutte le sue passioni e le sue debolezze, i pregi e i difetti di un uomo che è stato marito, padre, figlio, infaticabile professionista e grande amico. 11 metri è la storia di un campione ma anche una riflessione su cosa vuol dire essere esclusi dal mondo che si è contribuito a costruire, caricare se stessi delle aspirazioni di un’intera squadra e ritrovarsi inadeguati quando il tempo ci passa addosso e cambia i connotati a tutto ciò che si ama.
Il documentario vuole essere in primis un viaggio nella vita di un uomo, prima che di un calciatore, un ritratto che vuole cercare di fare luce sui motivi che hanno portato Di Bartolomei all’isolamento forzato, alla depressione, i motivi che lo hanno costretto a prendere quella tremenda decisione, strappandolo alla vita a soli trentanove anni. La sua storia è la storia di molti, di tante persone che come lui hanno provato a combattere, ma che per fragilità, insicurezza, paura e debolezza, non sono riuscite ad affrontare la vita mettendosi tutto alle spalle.
Una morte che ha colto tutti di sorpresa, lasciato tutti nello sgomento e che ha spinto molte delle persone che lo hanno conosciuto, tanto nella vita privata quanto in quella professionale, ad interrogarsi almeno una volta sul loro rapporto con Agostino, provando invano a cercare un perché ad una tragedia che ha segnato la coscienza di molti.
“11 metri” è un viaggio nei ricordi e negli aneddoti che affollano la mente e il cuore delle persone che lo hanno visto crescere calcisticamente e soprattutto umanamente. Un ritratto non convenzionale che vuole scavare nella memoria privata e in quella collettiva, fino a toccare le molte zone d’ombra sulle quali, per un motivo o per un altro, non si è ancora riusciti a fare luce. Un documentario su una figura importante del panorama calcistico nostrano degli anni Settanta e Ottanta, sulla quale registi e cantautori, giornalisti e scrittori, tifosi e addetti ai lavori, hanno speso parole e immagini cercando ognuno a proprio modo di rendergli omaggio.
Attraverso una raccolta d’interviste a familiari, amici, colleghi, tifosi, personalità del mondo del calcio e dell’Arte, arricchite da foto e immagini di repertorio pubbliche e private, il film racconta le diverse sfaccettature di una personalità assai complessa. Il risultato è un ritratto intimo di Di Bartolomei, con tutte le passioni e le debolezze, i pregi e i difetti, di un uomo, che è stato marito, padre e a suo tempo figlio, infaticabile professionista e grande amico.
Francesco Del Grosso
Intervista a Francesco Del Grosso su Paese Sera di Michela Greco
Come è nata l'idea di questo film? Dopo aver raccontato un protagonista del cinema come Vittorio Mezzogiorno, perché è passato a un protagonista dello sport?
Daniele Esposito, il produttore di Vega's Project che aveva già prodotto Negli occhi, stava lavorando sul set di Benvenuti al Sud a San Marco di Castellabate, il comune del Cilento dove Agostino Di Bartolomei ha vissuto i suoi ultimi anni e si è tolto la vita. Lì Daniele ha conosciuto per caso la moglie di Agostino, Marisa De Santis e poi mi ha proposto di fare un film sulla storia di Di Bartolomei con la collaborazione della moglie, pensando che fosse nelle mie corde. All'inizio ero scettico: non volevo fare un film solo per tifosi o esperti di calcio, e su Agostino erano state già fatte una puntata di Sfide e una di Mixer. Poi ho letto il libro L'ultima partita di Giovanni Bianconi e Andrea Salerno e ho capito che dietro la storia di Agostino c'era la vita di una persona comune che ha toccato un apice professionale altissimo e poi, quando è caduto, è stato lasciato solo. Era una parabola esistenziale prima ancora che sportiva.
È stata un'indagine approfondita. Ha scoperto qualcosa che non si sapeva?
C'erano tanti aloni di mistero su questa storia, le convinzioni dell'opinione pubblica non coincidevano con alcuni fatti. Si è costruita una mitologia secondo cui Di Bartolomei aveva scelto apposta per suicidarsi il 30 maggio 1994, perché cadeva esattamente 10 anni dopo la sua più grande sconfitta. E che questo fosse un segnale per la Roma, la società che l'aveva abbandonato. Nell'immaginario comune Di Bartolomei si è suicidato in seguito alla depressione, ma quella era solo l'ultimo stadio di un percorso. E' una persona che ha avuto le sue colpe, tra cui quella di non saper manifestare i propri sentimenti, di essere un eterno adolescente e quindi spesso di lanciare messaggi che non venivano capiti. Sicuramente si è sentito solo, ma la colpa non è, come si è detto, della famiglia che lo ha portato al Sud, lontano dalla sua Roma. Era stato isolato dal mondo del calcio, la Roma non lo aveva chiamato a fare il dirigente, né a fare l'allenatore o a lavorare nella scuola calcio, e i motivi di questa mancata chiamata si scopriranno nel mio documentario. In Undici metri metto in contrapposizione ciò che è scolpito nella memoria di tutti e le tante cose che sono state occultate o dimenticate.
Come è strutturato il documentario? Ci sono ricostruzioni?
Innanzitutto non è né un santino né un "coccodrillo", ma offre una serie di letture e di strade possibili sul motivo per cui è arrivato a quel gesto. Ed è un documentario puro, senza ricostruzioni se non alcune di tipo metaforico, come quella in cui due bambini dell'età di Agostino quando ha cominciato a giocare a calcio sono messi nella stessa situazione, e con gli stessi movimenti, che lo hanno reso famoso: il calcio di rigore alla finale di Coppa Campioni. Per il resto c'è una prima parte calcistica e una seconda di inchiesta, nell'ambito di un film biografico vero e proprio. La famiglia ha partecipato al 100%, non chiuderò il montaggio del film se non con l'ok di Marisa e dei due figli suoi e di Agostino. D'altronde loro tre sono il filo conduttore di questo viaggio intimo ed emotivo. Tutta la parte relativa al suicidio è raccontata solo attraverso le loro voci, con Marisa che mi racconta ciò che ha visto e che ricorda, senza nemmeno un'immagine del funerale. La mia idea guida, comunque, è sempre stata quella di non infangare la memoria di Agostino. Undici metri è un road movie emozionale, un viaggio nei suoi luoghi, dalla parrocchia in cui ha cominciato a giocare a calcio a Tor Marancia, l'Oratorio del San Filippo Neri alla Garbatella e fino allo Stadio Olimpico, per arrivare poi a Milano, Salerno e Castellabate. Agostino era attaccatissimo alla sua città, quando lo mandarono al Milan lui non voleva andarci e ci fu una sommossa popolare. Aveva un rapporto viscerale con i romani: è stato il primo vero capitano romano e romanista prima di Totti.
Quali e quante sono le testimonianze che compaiono nel film?
Ho parlato con persone che non erano mai state interpellate, dallo psicologo che l'ha seguito agli amici che l'hanno conosciuto nell'infanzia, e poi tanti protagonisti del calcio - da Tancredi a Conti, da Nela a Pruzzo, da Tassotti a Baresi - a giornalisti come Curzio Maltese, a Enrico Bendoni. Di Bartolomei, poi, era uno dei pochi calciatori professionisti ad aver studiato pur provenendo da una realtà popolare, e aveva importanti amicizie in Vaticano e in politica.
Alla fine di questo viaggio, che idea si è fatto sui motivi del suo suicidio?
Sono combattuto. La personalità di Di Bartolomei era complessa e ancora non so decidere se la data del suicidio fosse premeditata oppure solo una coincidenza. Ci sono degli elementi che fanno pensare che quel giorno sia successo qualcosa di particolare che l'ha portato al tragico gesto. In Undici metri offro agli spettatori tutti gli elementi per farsi un'idea da soli.
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