Dopo la preapertura di ieri sera con l'incontro a due con Penelope Cruz e Sergio Castellitto, rispettivamente attrice protagonista e regista di Venuto al mondo che si sta girando proprio in questi giorni nella capitale, si apre ufficialmente oggi il 6° Festival Internazionale del Cinema di Roma.
Come ormai è abitudine di ogni evento, il primo giorno è segnato da quello che viene definito "film di apertura" che alle 19:30 dà l'avvio alle danze. Gli addetti ai lavori e le scolaresche però sanno che le proiezioni cominciano già dalla mattina presto e il primo film ad essere mostrato sarà alle 10:30 nell'Auditorium Sala Sinopoli, in Concorso nella sezione Alice nella città, lo statunitense David di Joel Fendelman:
Un errore innocente si trasforma presto in un’improbabile ma autentica amicizia tra il figlio undicenne (Muatasem Mishal) dell’Imam della moschea di Brooklyn (Maz Jobrani) e un suo coetaneo ebreo della comunità ortodossa (Binyomin Shtaynberger). Due ragazzi provenienti da ambienti religiosi molto conservatori scoprono tra loro inaspettate affinità, che in realtà riflettono la condizione che entrambe le comunità, araba ed ebraica, si ritrovano a vivere oggi in America, nello sforzo condiviso di vivere la modernità pur conservando l’essenza e le virtù culturali delle loro religioni. David è uno di quei film preziosi che ci raccontano la potenza dello sguardo dei bambini sui nostri tempi. La sua capacità di rivelare con precisione, attraverso il rimprovero muto, lo stato di pregiudizio culturale in cui affondano vite, abitudini, gesti, luoghi, parole, oggetti, pensieri, rapporti.
L'aspetto più discutibile di questo film è sicuramente il finale. Il regista ne ha girati diversi e quello scelto fa sicuramente discutere ma è stata la scelta migliore. David non fornisce risposte ma alimenta altre domande: ti spinge a chiederti di te, della tua famiglia, della cultura che ti circonda, della religioni che professi, dell'ambiente e della città in cui sei cresciuto. Le differenze tra noi e i nostri vicini di casa, ad esempio, sono facili da individuare mentre scoprire le somiglianze richiede un duro ma gratificante lavoro da fare. Il regista, scegliendo di rispettare le religioni dei protagonisti e affermando la centralità dei testi sacri (la Torah e il Corano sono al centro dell'errore di cui si parla nella trama), aspira a costruire un ponte che grazie alle nuove generazioni permetta di lasciarsi alle spalle scontri e, allargando il concetto, guerre infondate, confidando nella forza del pluralismo.
Alle 10:30 all'Auditorium Teatro Studio, per il Fuori Concorso di Alice nella Città, è la volta del documentario Dudamel: Let the Children Play di Alberto Arvelo Mendoza:
Le orchestre giovanili si stanno sviluppando in molti paesi del mondo, ispirate dal programma musicale ed educativo venezuelano conosciuto come "El Sistema", che porta i bambini a contatto con il mondo della musica e dell’arte, insegnando loro il lavoro di squadra, la disciplina, la cooperazione, il divertimento, la creatività, i valori. Gustavo Dudamel, l’eccezionale direttore d'orchestra venezuelano, trentenne ed educato a sua volta nel "Sistema", è il filo conduttore di questo viaggio attraverso le storie di alcuni giovani che sperimentano la gioia della musica nei più diversi angoli del mondo. Il messaggio dei bambini, diretto a tutti noi, è semplice: l'arte è un diritto universale. Girato in sette diversi paesi, Dudamel: Let the Children Play è l'occasione per conoscere il mondo delle orchestre e l'importanza dell'arte come percorso di speranza per affrontare la crisi educativa in tutto il mondo. Anche in Italia nasce il Sistema di formazione musicale che emancipa i giovani dalla strada, dalla criminalità, dalla droga, offrendo loro un'occasione di riscatto sociale. Il Comitato Sistema delle Orchestre e dei Cori Infantili e Giovanili Onlus trae ispirazione dall'esperienza venezuelana e rappresenta la risposta fondamentale che l'educazione musicale può dare alla formazione infantile e giovanile.
Attraverso la figura di Dudamel, per la prima volta si vedono gli effetti che la politica del "Sistema" ha avuto fuori dal Venezuela: studenti e professori di Stati Uniti, Bolivia, Colombia, Scozia, Corea del Sud, Svezia e Germania condividono l'idea che la musica è il motore dei cambiamenti culturali dell'umanità. Ed è questo che era nella mente del Maestro Abreu nel momento in cui ha dato il via al "Sistema" nel 1975: la musica come diritto universale, capace di unire le persone e migliorare le comunità. "Quando suoniamo, dimentichiamo l'orrore e tutto attorno avvertiamo un profondo senso di pace", sottolinea il tenero commento di una bambina venezuelana di soli sette anni. Scindere Dudamel dal Sistema è impossibile: il direttore non sarebbe divenuto tale se dietro di lui non vi fosse stato il programma che gli ha permesso di scoprire le proprie capacità e di sfruttarle al meglio, affiancandogli ottimi professori che lo hanno portato a dirigere un'orchestra all'età di 11 anni. Ecco perché si può affermare senza esitazioni che non si tratta di un film su Dudamel. Siamo di fronte ad un invito rivolto ai giovani in un momento di crisi sociale ed economica globale per esortarli a esplorare e scoprire i propri talenti e a una richiesta destinata ai governi di tutto il mondo: fornite ai bambini la possibilità di allargare i propri orizzonti, sosteneteli durante il percorso e superate, voi che potete, le difficoltà contingenti che impediscono loro di agguantare i propri sogni.
All'Auditorium Sala Cinema Lotto, sempre alle 10:30 e sempre per la sezione Alice nella Città, per il Concorso addetti e scolaresche assisteranno alla commedia Hasta la vista! di Geoffrey Enthoven, che si presenta in Italia dopo aver trionfato al Montreal Film Festival 2011 ed essere in vetta al box office belga:
Il film si ispira alla storia vera di Asta Philpot e alla sua lotta per i "diritti sessuali" dei portatori di handicap. Un tour alla scoperta dei vigneti spagnoli è il pretesto per tre amici, uniti dal loro handicap, di mettere su il folle progetto di andare a perdere la loro ingombrante verginità in un bordello specializzato. Nascondendo parte del loro piano ai genitori, Philip (Robrecht Vanden Thoren), Lars (Gilles De Schryver) e Jozef (Tom Audenaert) si mettono in viaggio lasciandosi alle spalle il grigio Belgio per riscaldarsi al sole della Spagna, accompagnati da una misteriosa infermiera. Come in ogni viaggio a contare non è tanto la destinazione, ma il viaggio in sé, tra nuove esperienze, rivelazioni, colpi di cuore e di testa. Un road movie su sedia a rotelle che ha il sapore di una confessione liberatoria ed amara e che fa dell’ironia uno strumento di comprensione.
Invece di crogiolarsi nelle malattie e nelle disgrazie capitate ai tre protagonisti, Hasta la vista! stupisce per la normalità delle situazioni rappresentate: nessun pietismo è regalato dalla sceneggiatura, spesso cinica, che riprende il filone delle commedie giovanili e ci restituisce tre ragazzacci di oggi che amano bere, scherzare e parlare di sesso. Il loro viaggio alla ricerca di un bordello finisce con l'essere un viaggio alla scoperta della vita, un percorso di crescita con il quale sono chiamati a confrontarsi nel momento in cui la vita pretende che si saldino i conti in sospeso. Il sapore agrodolce non impedisce di parteggiare per i tre protagonisti e far rimanere ammutoliti di fronte a prove attoriali che ti portano a chiedere se stiano recitando una parte o se siano affetti da quegli handicap anche nella realtà, tanto è forte l'immedesimazione dei tre attori.
Alle 19:30 l'Auditorium Santa Cecilia ospita la Cerimonia di Apertura, accompagnata dalla proiezione Fuori Concorso di The Lady di Luc Besson, che vedrà sfilare sul red carpet anche i due attori protagonisti, Michelle Yeoh e David Thewlis:
La straordinaria storia dell’attivista birmana Aung San Suu Kyi (Michelle Yeoh), Premio Nobel per la pace tornata libera, dopo oltre vent’anni di arresti domiciliari, il 13 novembre 2010, e di suo marito, l’inglese Michael Aris (David Thewlis). Nonostante la distanza, le lunghe separazioni e un regime pericolosamente ostile, l’amore tra la donna leader del movimento democratico in Birmania e il marito durerà fino alla fine. Una storia di dedizione e di umana comprensione all’interno di una situazione politica convulsa che ancora oggi persiste, ma anche il racconto di una scelta terribile, quella tra la fedeltà alla propria battaglia e l’amore per il compagno. The Lady, girato tra la Birmania, Bangkok e Oxford, è stato scritto dalla sceneggiatrice Rebecca Frayn nell’arco di tre anni: grazie agli incontri con le figure chiave dell’entourage di Aung San Suu Kyi ha potuto ricostruire per la prima volta la vera storia dell’eroina nazionale birmana.
Con un prologo sui fatti del 1947 che portarono all'uccisione del padre di Aung San Suu Kyi, The Lady affonda la propria essenza nella storia con la S maiuscola. Le straordinarie riprese paesaggistiche restituiscono un effetto dilaniante nello spettatore: contrapposte al grigiore di Oxford, fanno da contraltare alle vicende che hanno accompagnato la protagonista, impegnata in un lotta politica che si trasforma in dramma personale, un grido di protesta che ha attraversato per anni il mondo da Oriente a Occidente. A farne le spese è stato prima di tutto il marito, a cui la San Suu Kyi non è stata accanto nel momento peggiore della vita, quando un male incurabile stava per portarselo via per sempre. Una vita spesa nel nome degli ideali quella della Lady del titolo che, in un crescendo di rimandi, vuole essere lo specchio delle vite di tutte le donne costrette a un'esistenza priva di ogni libertà: dietro la San Suu Kyi si nascondono tutte quelle donne, più o meno importanti, che con caparbietà prendono in mano il loro destino a qualsiasi prezzo. Il film che non t'aspetti da Luc Besson, abituato a tenerci sul filo dell'adrenalina e dell'azione.
Alle 20:30, a letto i bambini e tutti all'Auditorium Sala Petrassi, dove per L'Altro Cinema si proietta il primo dei cinque lungometraggi fuori concorso, il norvegese Turn Me On, Goddammit di Jannicke Systad Jacobsen:
Turn Me On, Goddammit (2011)
di Jannicke Systad Jacobsen con Julia Schacht, Arthur Berning, Helene Bergsholm, Julia Bache-Wiig, Henriette Steenstrup, Jon Bleiklie Devik, Matias Myren, Malin Bjørhovde, Beate Støfring, Lars Nordtveit Listau
Nel villaggio norvegese in cui vive, Alma non ha molto da fare oltre a sognare Artur, un compagno di scuola, e telefonare alle “Hot line”. Quando il bell’Artur, durante una festa, approccia Alma con modi non convenzionali (le offre il sesso nella mano) tutto precipita. La ragazza racconta l’accaduto ma non viene creduta dalle amiche invidiose, Artur nega tutto, i compagni la deridono. Vorrebbe fuggir via. Ma difende la sua verità con coraggio.
Al suo debutto, Jannicke Systad Jacobsen, colora il suo racconto di formazione – che è tra i film indipendenti più acclamati dell’anno - di fredde ambientazioni nordiche, tocchi di sanguigna comicità alla fratelli Farrelly e soprattutto di una sensualità adolescenziale viva e croccante.
Le piccole città di provincia sono tali ad ogni latitudine, così come sono sempre le stesse le esigenze e i bisogni di un'adolescente che comincia a combattere con un corpo che manifesta esigenze e bisogni legati alla sfera sessuale. La protagonista è una quindicenne che i perbenisti potrebbero definire ninfomane, in realtà è solo una ragazzina che si approccia al sesso: immagina e fantastica sul ragazzo dei suoi sogni, si masturba telefonando a una linea erotica, pensa al sesso nei momenti più insoliti... Potrebbe essere la versione norvegese di American Pie se la nostra eroina non fosse alle prese con la noia di un posto in cui non accade mai nulla e per trovare un'alternativa ci si concede l'ebbrezza di scrivere lettere ai condannati a morte negli Stati Uniti o di lasciarsi andare alla "sacra arte del pettegolezzo". Se immaginate una Norvegia fredda e grigia, rimarrete sorpresi dai colori e dalla luce che inebriano il film e che lo rendono onirico al pari della dimensione in cui vive Alma, spesso portata a credere di essere finita dentro a un brutto sogno.
Chiude la giornata, alle 21:00 all'Auditorium Teatro Studio per Focus, la proiezione del capolavoro "punk" Scala al Paradiso di Michael Powell e Emeric Pressburger, scelto da Michael Nyman:
In una missione aerea sulla Manica, durante la Seconda Guerra Mondiale, un aereo inglese è in fiamme e il pilota si lancia senza paracadute dopo un’ultima comunicazione via radio. Inspiegabilmente si salva, incontra la radiotelefonista americana che ha raccolto il suo ultimo disperato messaggio e tra i due scoppia l’amore. Ma l’idillio è sconvolto dalle strane crisi dell’aviatore in cui un inviato dall’aldilà lo reclama e una giuria composta da americani e inglesi discute se la sua esistenza terrena debba o meno proseguire. Sarà risolutiva un’operazione al cervello.
"La guerra nuoce a tutti e non solo a chi la perde, ma anche a chi la vince. Lo sviluppo sociale è necessariamente dato dal laburismo e non dalla plutocrazia mascherata dalla democrazia capitalista o dal comunismo imperialista. Qui si vuole puntualizzare che un forte sentimento di Amore può fermare il tempo, espandersi nello spazio e crescere eternamente ovunque, emanando il suo odore, il suo sapore e la sua consistenza alle prossime generazioni. Del passato bisogna ricordare ciò che è stato costruito e non ciò che è stato distrutto. Bisogna edificare su ciò che è stato interrotto e ristrutturare in modo appropriato, portando al massimo splendore ciò che è stato distrutto. La doppia edificazione, nella mente e nell'anima, permette all'Uomo di prendere Coscienza di cosa sia la Giustizia d'animo senza fare luce alle leggi che nascono da pregiudizi e punti di vista e non dalla Verità Assoluta." (Opionione di Axeroth).
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