Non c'è pace per Quando la notte, il film che la regista Cristina Comencini ha presentato in Concorso a Venezia tra i fischi e i lazzi degli addetti alla critica. In prossimità dell'uscita in sala il prossimo venerdì, la storia d'amore tra Claudia Pandolfi e Filippo Timi finisce sotto la scure della Censura che ha deciso che il film sarà vietato ai minori di 14 anni.
Quello che più lascia perplessi è la motivazione addotta. Come immagino sapete, il film racconta in primo luogo le difficoltà di Marina (la Pandolfi) nell'accettare la maternità e nel relazionarsi col piccolo figlio Marco. Per fuggire dalla depressione, Marina trova rifugio a Macugnaga, nelle Alpi, dove incontra lo schivo e misogino Manfred (Filippo Timi). In un'atmosfera da thriller, pian piano i due protagonisti cominciano ad aprirsi e ad avvicinarsi fino all'inevitabile passione dirompente che si consuma a distanza di molto tempo.
In molti crederanno che il divieto nasca dalle focose scene tra Timi e la Pandolfi e se fosse stato così, forse, in un Paese di bacchettoni avremmo pure potuto accettarlo. A leggere tra le righe, però, scopriamo che Quando la notte è un film "pericoloso" e "violento" perché: «La violenza della madre sul suo bambino è inquietante perchè trattasi di una madre normale che, spinta dallo stress, diventa violenta verso il figlio pur non volendolo. Si ritiene che il vuoto della volontà di una madre normale ingenera inquietudine nei minori di anni 14».
Ora, scusatemi un attimo, mi sorge un pensiero: possibile che tra tutte le efferatezze di cui siamo testimoni al cinema e che ottengono il lasciapassare si debba proprio proibire la visione di un'opera che, insieme a Maternity Blues di Fabrizio Cattani e Baby Blues di Alina Marazzi (in preparazione), apre uno squarcio su una tematica sociale spesso sottaciuta e nascosta? Possibile che quando si tratti di guardarsi seriamente intorno si debba per forza di cose nascondere la testa sotto la sabbia? Eppure la cronaca è piena di casi di matricidi, ad esempio: fino all'altro giorno una donna è stata arrestata per aver ucciso il figlio su un pedalò in alto mare. Perché tentare di non guardare in faccia la realtà? Io vorrei conoscere i nomi dei censori per poter scrivere loro e indirizzarli verso altri tipi di contenuti da additare: le immagini del corpo di Gheddafi esibito a mo' di trofeo nei salotti pomeridiani televisivi, la morbosità del caso Avetrana e nei confronti di Sara, Yara, Mara, Tara, Cara, Bara e consimili, il disgusto morale per un Presidente circondato da puttane inculate, le schermaglie televisive tra politici, il divertimento di scene trucide o irrazionali dei blockbuster e degli horror di ultima generazione.
Piaccia o meno, il cinema della Comencini tenta almeno la carta autoriale. Se ci riesca o meno non tocca a noi predirlo ma è chiaro che un "verdetto" così insulso mi porta a simpatizzare per lei e a condividere le sue parole: «È inaccettabile, è una decisione volta a nascondere la realta' dei sentimenti profondi delle madri verso i loro figli. Ogni madre conosce la realtà di questo sentimento. Lo stesso uso dell' aggettivo ' normale' e' un' offesa per tutte le donne: ogni donna che ama suo figlio conosce e vuole raccontare la realta' di questo sentimento. Rifiutiamo la motivazione per ragioni artistiche, etiche e sociali. Il film e' importante anche e soprattutto per i giovani che un domani saranno genitori».
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta