Esce il 19 Novembre I fiori di Kirkuk, film di Fariborz Kamkari presentato al Festival di Roma, che ambienta una storia d’amore nell’ Iraq di 22 anni fa, durante il regime di Saddam Hussein.
La vicenda di Najla e Sherko offre al regista il pretesto narrativo per toccare uno dei drammi più rimossi dalla coscienza collettiva mondiale, il sistematico genocidio della popolazione curda ordinato da Saddam Hussein nel 1975 e ancora non completamente scongiurato.
A conferma di questo, per aver dichiarato “Noi turchi abbiamo ucciso 30 mila curdi e un milione di armeni e nessuno, tranne me, in Turchia osa parlarne”, dal 2005 Orhan Pamuk, Nobel per la Letteratura, sta subendo nel suo paese (dove è costretto a girare sotto scorta) continui processi per “offesa all’identità turca”.
Kamfari ha dicharato: “Una storia che non è del tutto passata, un pericolo – la persecuzione sistematica di specifiche minoranze - non completamente scongiurato.Continua a ripetersi e corre il rischio di esplodere in forme più gravi, in molti contesti. Ho sentito la necessità di raccontare uno di questi episodi ignorati, come possibile antidoto a ripetere queste logiche ciecamente. Credo che ogni genocidio, ogni persecuzione, deve entrare nella memoria collettiva e risvegliare l’attenzione contro il riprodursi di alcune circostanze tipiche che lo scatenano e il cinema può essere uno strumento molto efficace per generare memoria collettiva. La protagonista del film è una ragazza araba che abbandona la classe degli aggressori, a cui appartiene, e sceglie di schierarsi tra le vittime. Sacrificando sé stessa, prende sulle proprie spalle il peso dei peccati della sua classe. ”
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