Dopo l’ottima apertura con le pugnalate della politica de Le idi di marzo di George Clooney, il Festival di Venezia entra nel vivo con l’estenuante tour de force di proiezioni destinate al pubblico. Orari che coincidono e spettacoli che si sovrappongono non spaventano di certo i più temerari che possono recuperare tutti i film grazie alle doppie proiezioni spalmate nell’arco dei rimanenti nove giorni.
Si inizia a metà mattinata con il Fuori Concorso, alle 11, in Sala Grande con Giochi d’estate dello svizzero Rolando Colla, la parabola di formazione di due dodicenni in vacanza al mare in Versilia e alle prese con i problemi di cuore loro e dei genitori (replicato alle 14:30 al PalaBiennale):
Giochi d'estate (2011)
di Rolando Colla con Fiorella Campanella, Armando Condolucci, Alessia Barela, Antonio Merone, Roberta Fossile, Marco D'Orazi, Aaron Hitz, Monica Cervini, Francesco Huang, Chiara Scolari
«La trama del film è ispirata alla mia infanzia. I miei genitori, entrambi italiani, si trasferirono in Svizzera affrontando una vita di stenti e privazioni. Mia madre, mio fratello ed io eravamo spaventati dal carattere violento di mio padre, dalle sue urla. Ho cercato di analizzare quella forza oscura e incontrollabile che alberga in noi e ci allontana da una vita normale. Gli adulti sono come barche immerse nell’acqua solo per metà, oggetti incastrati in posizione inclinata, ormai quasi incapaci di muoversi.
I bambini invece sono come cercatori di perle che si tuffano in mare. E la storia va avanti con loro. Spero che questo film ci aiuti ad aprirci verso i bambini di oggi, ma anche verso quei bambini che eravamo e che ancora siamo».
Neanche il tempo di digerire il classico panino di routine che alle 14 prende il via in Sala Darsena la Settimana della Critica con il lungometraggio svedese Stockholm Östra di Simon Kajiser da Silva, dove un incidente automobilistico fa sì che si incrocino i destini di due famiglie, vinte dal dolore:
Stockholm Östra (2011)
di Simon Kaijser da Silva con Mikael Persbrandt, Iben Hjejle, Henrik Norlén, Liv Mjönes
«La tragedia più grande è quella di sopravvivere ai propri figli. Il dolore è tale da avere la sensazione di non riuscire nemmeno a percepirsi. Quando a tratti ci si scopre ancora vivi si vorrebbe annegare nell’oblìo, ma l’esistenza per quanto crudele prosegue. È quanto accade a Anna e al marito che perdono la figlia in un incidente d’auto. La sofferenza non sempre però accomuna, anzi più è straziante più è capace di amplificare qualsiasi distonia e di far sprofondare ognuno nel proprio isolamento, creando distanze e generando fastidi. E poi ci sono i sensi di colpa di Johan, l’uomo che involontariamente ha causato la morte della bambina e che nel vedere il volto terreo di Anna mentre esce dal pronto soccorso sente di dover fare qualcosa per lei. Ma cosa? Come si può provare a superare tutto ciò? Il tempo può lenire, ma non basta a dare la forza per andare avanti. Ogni aspetto del film è apparentemente semplice, ma in realtà molto curato a cominciare da una sceneggiatura ben strutturata che ruota intorno alla necessità dei protagonisti di ritrovare anche un solo attimo di sospensione, di tregua all’affanno della sofferenza. Lo sviluppo narrativo è calibrato nei minimi dettagli e lo spessore interpretativo degli attori principali fa svettare questo dramma umano raccontato privilegiando i sentimenti, inoltrandosi nel labirinto delle reazioni di persone indelebilmente segnate. Si cammina sull’orlo dell’abisso, si accetta il rischio di franare a ogni passo e si giunge indenni a un’opera emozionante capace di non dare mai un attimo di tregua allo spettatore».
Alle 14:30, per il Fuori Concorso in Sala Darsena (con replica alle 17:00 al PalaBiennale) è la volta del collettivo Scossa di Carlo Lizzani, Citto Maselli, Ugo Gregoretti e Nino Russo: quattro differenti episodi che rileggono la tragedia del terremoto di Messina del 1908 con notevoli cenni all’attualità e di cui trovate maggiori notizie qui e qui:
Scossa (2011)
di Francesco Maselli, Carlo Lizzani, Ugo Gregoretti, Nino Russo con Amanda Sandrelli, Massimo Ranieri, Paolo Briguglia, Lucia Sardo, Gianfranco Quero, Gioacchino Cappelli
«I quattro racconti, solo apparentemente minimalisti, contengono temi importanti. Il tema dell'emigrazione italiana dell'epoca, che naturalmente arriva a riflettere sull'attuale immigrazione in Italia di genti, oggi, più povere di noi. Il tema dell'atrocità del dolore, che può fatalmente avvicinare persone prima estranea o addirittura ostili fra loro. E che da una solidarietà pressoché imposta dalla tragedia può far nascere speranze nuove, e persino nuove forme di aggregazione umana e sociale. Il tema che può trasformare una pura quanto drammatica casualità in quasi irreale, come la magica salvatrice apparizione dal mare della flotta russa. Il tema, ancora, di destini umani che cambiano totalmente nel “dopo”. Il tema di intere fasce della società estirpate, cancellate dal tessuto di due città, fasce di grande tradizione, di secolare cultura umanistica, scientifica, politica. E soprattutto il tema delle umane capacità di avventura, di paura e di rabbia, di predisposizione e di rinascita. Capacità che nessuno conosce di se stesso prima di una così violenta “scossa”».
Alle 15, per il cinema ritrovato e restaurato, in Sala Grande si assiste a India, documentario in quattro episodi del maestro Roberto Rossellini:
India (1959)
di Roberto Rossellini
«Il vero titolo è India, matri bhumi, che vuol dire l’humus della terra. È un film che ho fatto davvero sperimentalmente, potrei dire. Ho cercato di mettere su pellicola ciò che pensavo in maniera forse teorica. È un’inchiesta il più possibile approfondita, sia pure nei limiti di un film, su un paese, su un paese nuovo come l’India, che ha ritrovato la sua libertà, che è uscito dal colonialismo.
È un film che amo molto perché, come ho detto, è qui che ho cercato di fare un tentativo di rinnovamento nel campo della conoscenza, dell’informazione: un’informazione che non sia strettamente scientifica o statistica ma che sia anche una certa documentazione dei sentimenti e del modo di comportarsi degli uomini».
Alle 16:30, in Sala Darsena per le Giornate degli Autori, è prevista la prima proiezione pubblica di Ruggine di Daniele Gaglianone, primo film veneziano ad arrivare in sala già venerdì 2 settembre e già mostrato alla stampa, colpita dall’ennesima ottima interpretazione di Filippo Timi:
Ruggine (2011) di Daniele Gaglianone con Stefano Accorsi, Valeria Solarino, Filippo Timi, Valerio Mastandrea, Anita Kravos, Michele De Virgilio, Giuseppe Vitale, Cristina Mantis, Giampaolo Stella, Giuseppe Furlò, Giulia Coccellato
«Come raccontare la storia di Ruggine? Posso partire dalle favole, che anche se le associamo ai bambini e ad un’età che vogliamo preservare come innocente, raccontano a volte storie terribili e spaventose; e come accade spesso nelle fiabe, in questa storia un gruppo di bambini incontra l’orco, l’uomo nero. È la storia di una battaglia contro il male assoluto che divora l’infanzia.
Il film ha una struttura particolare; ci sono 4 percorsi che si incrociano, uno riguarda il passato e tre si svolgono nel presente, ma il rapporto fra le due dimensioni temporali non è mai di dipendenza ovvero il passato non è mai un flash back così come il presente non è mai un flash forward. Tranne nel finale, quando i protagonisti si ritrovano a fare i conti con i propri fantasmi in modo diretto, il passato diventa un ricordo, un frammento della memoria, per quanto bruciante e vivo. Si tratta di una storia di amicizia che sopravvive nel tempo e anche di un tentativo di riconciliazione con se stessi e i propri fardelli. Può anche essere letta come un’allegoria sul potere, sulla soggezione che proviamo nei suoi confronti e di quanto sia alto il prezzo da pagare se si decide di combatterlo.
Perché ho voluto immergermi in questa storia? Quando ho letto l’omonimo romanzo di Stefano Massaron mi sono sentito a casa, nel senso che quei bambini e quel quartiere li sentivo vicini a ciò che io e miei coetanei eravamo stati alla fine degli anni settanta nella periferia di Torino. E poi uno dei temi del film riguarda qualcosa che esercita su me una forte suggestione; quali tracce lascia dentro a un persona un’esperienza drammatica? Come si sopravvive all’incontro con il male? Come cambia la relazione con il mondo che ci circonda, indifferente alla guerra che ormai “solo io so di aver combattuto”?
O forse, al di là di tante parole, potrei trovare una risposta in un incontro casuale che ho avuto un paio di mesi fa e che ha illuminato retroattivamente il viaggio di questo film. Ero andato a presentare Pietro, un mio film del 2010, in una cittadina vicino Torino; alla fine del dibattito si avvicina un uomo e mi saluta con gli occhi lucidi. Lo riconosco, nonostante siano passati tanti anni. Era il “mio” Carmine, il capo della piccola banda della mia via. Era venuto a vedere il film perché aveva letto il mio nome. Ci siamo guardati e lui mi ha detto con dolcezza e malinconia: “Daniele, quante cose avrei da chiederti, di quante cose ti vorrei parlare.” Poi si è girato e si è allontanato. Io sono rimasto in silenzio. Anche i miei occhi erano diventati lucidi».
Sempre 16:30 ma in Sala Perla e per la sezione Orizzonti, c’è la proiezione del sorprendente documentario Photographic Memory di Ross McElwee, sul rapporto padre/figlio in nome dell’evoluzione dei tempi con un genitore che ritorna nei luoghi in cui ha vissuto da giovane per capire meglio il mondo del suo ragazzo:
Photographic Memory (2011)
di Ross McElwee
«Tirar su un figlio adolescente è molto più difficile che realizzare un documentario, ma cercare di fare entrambe le cose contemporaneamente è pura follia. In Photographic Memory cerco di fare proprio questo. All’inizio pensavo che il mio film, girato in un paesino francese dove avevo trovato lavoro come fotografo di matrimoni trentotto anni prima, potesse essere una sorta di meditazione proustiana sull’amore perduto, sull’accuratezza e sull’ingannevolezza della memoria, e su che cosa significhi scattare una fotografia. A mio figlio non interessava. “È proprio noioso, papà!“. Allora ho inserito in tutta la pellicola scene in cui compare lui, e adesso non è più tanto noioso. In effetti, alcuni momenti del film sono piuttosto esagerati. Ma se posso permettermi di dirlo, rimane un’opera ostinatamente proustiana».
Alle 17, in Sala Grande, riparte il Concorso con l’epopea storica d Seediq Bale di Te-Sheng Wei, un kolossal che ha richiesto ben 14 anni di realizzazione:
Seediq Bale (2011)
di Te-Sheng Wei con Da-Ching, Umin Boya, Landy Wen, Lo Mei-ling, Masanobu Ando, Cheng Chih-Wei, Vivian Hsu
«L’opinione comune è che il cosiddetto “Incidente di Wushe“ nel 1930 fu una ribellione taiwanese contro l’oppressione del governo coloniale giapponese. Questo è vero, ma la rivolta aveva radici molto specifiche: il divieto giapponese di celebrare pratiche culturali indigene. Non fu l’“Incidente di Wushe“ in sé ad essere eroico, ma piuttosto il fatto che esso scaturì in difesa di un principio. La mia intenzione è stata di riesaminare l’“Incidente di Wushe“ in questa luce, attraverso il prisma delle credenze Seediq. Allo stesso tempo, ho cercato di attuare una specie di riconciliazione tra due parti opposte, e di affrontare questioni più ampie quali la dignità umana e la realizzazione di sé».
Alle 20, in contemporanea nella Sala Grande e al Palabiennale, Venezia cala un atro dei suoi assi, Carnage di Roman Polanski, la tragica commedia da camera studiata dal regista con l’autrice della piece teatrale. Al momento, nessun commento del regista accompagna l’opera e noi ci facciamo bastare il trailer sopra le righe e la presenza sul red carpet dell'intero cast.
Carnage (2011)
di Roman Polanski con Christoph Waltz, Kate Winslet, Jodie Foster, John C. Reilly
Ore 21, Sala Perla e titolo imperdibile per la sezione Orizzonti: Cut di Amir Naderi, girato dal regista in Giappone e manifesta dichiarazione d’amore al mondo del cinema:
Cut (2011)
di Amir Naderi con Hidetoshi Nishijima, Takako Tokiwa, Takashi Sasano, Shun Sugata, Sei Ashina, Denden, Takuji Suzuki, Ikuji Nakamura, Satoshi Nikaido, Jun'ichi Hayakawa
«Per me il cinema giapponese è sempre stato uno dei più importanti. Per molto tempo ho cercato di vedere film giapponesi dovunque e in ogni contesto, dal MoMA di New York alla Cinémathèque di Parigi. I maestri giapponesi hanno influenzato il mio lavoro in maniera significativa. In Davandeh tutta l’azione, il montaggio e la colonna sonora sono stati influenzati dall’ultima scena de I sette samurai di Kurosawa. I complessi movimenti della cinepresa e le lunghe riprese dei miei film sono tratti da Mizoguchi. L’idea di Aab, Baad, Khaak è ispirata a L’isola nuda di Shindo. Il lavoro con i bambini di città, i colori della città derivano da Oshima, e nutro un particolare rispetto per il carattere e per lo stile di Ozu, soprattutto per il suo modo di usare il silenzio. Ho avuto la grande fortuna di conoscere la discrezione e la purezza di questo cinema e di trovare un’opportunità per restituirgli qualcosa. Cut è nato da un incontro casuale avvenuto sette anni fa con il grande attore giapponese Hidetoshi Nishijima al FILMeX di Tokyo, dove abbiamo parlato della nostra nostalgia per il cinema giapponese del passato».
TRE CLIP:
Alle 21:45, il Fuori Concorso prosegue in Sala Darsena con l’attualissimo La Désintégration di Philippe Faucon incentrato sulla figura carismatica di un terrorista e sui processi di insegnamento a tre ragazzi alla deriva:
La désintégration (2011)
di Philippe Faucon con Yassine Azzouz, Kamel Laadaili, Rachid Debbouze, Ymanol Perset, Mohamed Achit
«Oggi il terrorismo, con le sue minacce presunte o reali, appartiene alla vita quotidiana come mai prima d’ora. Il cinema, e la fiction in generale, affrontano spesso questo tema in modo superficiale, sensazionalistico, puntando sull’effetto “thriller“. Ognuno di questi approcci sottintende che i terroristi rappresentino il Male. Ma cosa c’è all’origine di questo Male? Quali sono le motivazioni folli, incomprensibili, sulle quali dovremmo invece fermarci a riflettere, che conducono ad azioni così barbare? Nel mio film, la deriva radicale e violenta assume anche un significato metaforico: è infatti il simbolo rivelatore di una società logorata.
Ho incontrato tuttavia dei veri e propri problemi di scrittura: come affrontare il tema evitando le semplificazioni che lo caratterizzano? Come delineare i personaggi nella loro complessità, che talvolta può sfuggire di mano? Come rendere palpabili, senza cadere nel manicheismo e nello stereotipo, i loro conflitti e le contraddizioni interiori, il rapporto con la società in cui vivono? Abbiamo scelto l’approccio frontale per le problematiche ricorrenti nel quotidiano mediatico: sofferenza sociale, malessere e ghettizzazione delle periferie, sensazione di rifiuto, emarginazione comunitaria e religiosa, distruzione del credo egualitario, prima nell’ambito del vissuto personale e poi, per estensione, su scala mondiale».
Chiude la giornata alle 22:00, Fuori Concorso e in Sala Grande e PalaBiennale, l’arrivo glamour più atteso: Madonna accompagnerà la sua nuova regia cinematografica W. E nelle due sale sold out sin dall’apertura dei botteghini di due settimane fa:
W.E. - Edward e Wallis (2011)
di Madonna con Andrea Riseborough, Abbie Cornish, James D'Arcy, Oscar Isaac, Natalie Dormer, Richard Coyle, Ronan Vibert, Annabelle Wallis, James Fox, Laurence Fox
«Sono sempre stata intrigata dalla storia del Re che rinuncia al trono per la donna che ama. Perché l’ha fatto, e che cosa aveva Wallis Simpson di tanto speciale? Volevo raccontare la storia da una prospettiva attuale; per questo ho creato la storia di Wally, una giovane donna intrappolata in un matrimonio infelice. Sa che deve cambiare la propria vita e inizia questo viaggio dalle tenebre verso la luce con Wallis come guida spirituale. L’ossessione di Wally per la storia d’amore tra Wallis e il Re è ciò che alla fine la salva. Vive di riflesso, attraverso questo amore del passato. Per puerile e ossessivo che possa sembrare, ciò costringe Wally a porsi delle domande, a rischiare, a prendere in mano il controllo della propria vita. A scegliere il cammino meno battuto. E trovare infine la libertà».
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