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"Frenesia del delitto" di Richard Fleischer
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Il film rievoca il caso Leopold-Loeb, un fatto di cronaca particolarmente efferato e gratuito (l’omicidio che avrebbe dovuto essere “perfetto” commesso nella Chicago dei “ruggenti anni 20” da due adolescenti dell’alta borghesia, semplicemente per dimostrare la loro superiorità) che è già alla base della storia dalla quale prende spunto il “virtuosismo sperimentale” di “The Rope” di Alfred Hitchcock.

Il taglio di “Frenesia del delitto” (“compulsino in originale) è molto più giornalistico (né è possibile fare alcun confronto fra le due opere al di là della “coincidenza” ispirativa della cronaca di riferimento): Fleischer ci racconta non solo il fatto, ma anche – e molto di più - il “dopo”, concentrando gran parte della sua attenzione proprio sul processo che ne seguì e che occupò le prime pagine dei quotidiani per molto tempo. Ciò permette al regista  di unire all’analisi comportamentale che trae origine dalle aberranti teorie di una corrente di pensiero specifica, avversabile e riconoscibilissima, quella analogamente significativa che lo porta a puntare lo sguardo sui meccanismi della giustizia e di soffermarsi anche sulle problematiche che riguardano un certo tipo di ribellione giovanile sempre e comunque di “contrapposizione” alle regole codificate della società e a volte anche a quelle della morale. Il tutto, inserito in un attento, documentato, fedelissimo “quadro” dell’epoca di riferimento.

Come si potrà evincere quindi, i temi trattati sono in effetti molteplici, e vanno ben oltre l’episodio narrato, poiché toccano argomenti che sono di “scottante attualità” ancora adesso (si veda l’appassionata requisitoria contro la pena di morte di un istrionico, eccessivo, ma come al solito superlativo, Orson Welles nell’ingrato ruolo dell’avvocato difensore, una “partecipazione speciale” significativa e pregnante che finisce - forse proprio per la debordante personalità dell’attore - per assumere caratteristiche di assoluta centralità nella rappresentazione).

Nell’economia di un poliziesco indubbiamente anomalo come questo che pone con prepotenza in primo piano le sue evidenti ambizioni sociologiche (e che si discosta fortemente dai “modelli” codificati del genere realizzati nel periodo), non vanno sottovalutate poi le raffinatezze fotografiche che lo impreziosiscono (come il ricorrente riferimento anche “visivo” agli occhiali, così spudoratamente esibiti da far diventare l’oggetto - già così importante nella vicenda - quasi un’ossessione, e il  più peculiare  e pertinente elemento riconoscitivo oltre che della narrazione, anche della “forma” - vedi in particolare la più volte “citata” scena nella quale accusati e accusatore si riflettono a turno proprio in “quelle lenti” –  chiaramente sottolineato e portato in primo piano dalle locandine pubblicitarie).

Una pellicola insomma molto ambiziosa (magnificamente sorretta dal solido mestiere di un abilissimo artigiano dell’immagine come Fleischer e dall’ottima sceneggiatura di Richard Murphy) che forse non centra perfettamente tutti gli obiettivi, ma che rappresenta comunque un importante tentativo di evoluzione del genere noir. Il film è comunque soprattutto un lucidissimo scandaglio sufficientemente “inquietante” e analiticamente documentato, della mentalità criminale e delle sue aberrazioni, che porta in primo piano il rapporto fra “colpa” e “castigo”. Ho già accennato alla possente caratterizzazione di Welles (l’avvocato Clarence Darrow) e a “quella” memorabile arringa con la quale riesce a salvare i due criminali dalla pena capitale con un esercizio dialettico di alto istrionismo, ma non vanno dimenticate le prove ugualmente maiuscole degli altri due protagonisti, gli assassini “indifferenti”, freddi e scostanti, persino provocatori, deviati da confuse quanto devastanti letture filosofiche, interpretati dagli allora giovanissimi, quasi esordienti, Bradford Dillmann e Dean Stockwell (non a caso il trio colse l’alloro cumulativo della Palma d’oro per la migliore interpretazione maschile al festiva di Cannes di quell’anno, davvero meritatissima). Puntuali e ineccepibili anche gli altri interpreti (Diane Varsi e E.G. Marshall). 

 

Frenesia del delitto (1959)

di Richard Fleischer con Orson Welles, Dean Stockwell, Bradford Dillman, Diane Varsi, E.G. Marshall, Martin Milner, Richard Anderson, Robert F. Simon, Edward Binns, Robert Burton

 

 

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