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Il cinema degli altri (7) - Apichatpong Weerasethakul (Thailandia)
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È una voce indipendente che proviene dalla giungla asiatica. Il suo cinema è un’arte culturalmente libera e socialmente impegnata,  che persegue i suoi scopi di testimonianza sulla vita e documentazione della realtà attraverso il linguaggio magico e soffuso della poesia tropicale. A parlare, nei suoi film, è soprattutto il silenzio della natura, in cui i significati convenzionali si perdono, mentre la percezione si predispone ad accogliere l’incanto dell’indeterminatezza.

 

Apichatpong Weerasethakul nasce nel 1970 a Bangkok. Dopo una laurea in architettura conseguita in patria,  nel 1997 si diploma in cinematografia a Chicago. Due anni dopo fonda la casa di produzione Kick the Machine, con la quale realizzerà sette lungometraggi:

 

Mysterious Object at Noon (2000)

Blissfully Yours (2002) (premiato al Festival di Cannes)

The Adventure of Iron Pussy (2003)

Tropical Malady (2004) (vincitore al Festival di Cannes)

Sang Sattawat (2006)

Lo zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti (2010) (vincitore al Festival di Cannes)

Utopia (in preparazione)

 

A questi si aggiungono numerosi cortometraggi e videoinstallazioni, tra cui

 

Thirdworld (1998)

Worldly Desires (2004)

Luminous People (2007)

Mobile Men (2008)

Phantoms of Nabua (2009)

 

Il racconto, nella sua filmografia, è sempre abbandono al flusso dei pensieri, che avvicinano universi distanti (la vita e la morte, il passato e il presente, la tradizione e la modernità) ed allontanano, invece, le persone che si illudono di potersi amare e comprendere. La mente si esprime attraverso la dimensione strettamente personale del sogno, che attinge al mito universale della creazione, ma parla ad ognuno con un linguaggio diverso. Magia ed incomunicabilità sono la sostanza e la forma del mistero, che possiede ogni uomo in maniera esclusiva, trasformando la sua vita in un solitario percorso verso l’ignoto.

La natura è la madre generatrice del cosmo, che attribuisce ad ogni essere una particolare funzione: l’istinto è la forza che gli consente di esercitarla, e la specificità del ruolo assegnatogli determina la sua individualità. Siamo tutti portatori della stessa energia primigenia, ma la esprimiamo in tanti modi differenti, attraverso le caratteristiche del nostro corpo, le nostre inclinazioni sessuali, le nostre peculiari ossessioni. L’identità è una singola definizione che si innesta su un terreno comune (l’appartenenza ad una specie, ad una religione, ad una professione), ma si sviluppa in maniera autonoma, aggiungendo elementi di propria invenzione (la principessa che si trasforma in pesce, il monaco che suona la chitarra, il dentista che fa il cantante, la venditrice ambulante che si improvvisa narratrice). La verità è formata di entità molteplici, isolate e circoscritte (come le luci puntiformi che spesso perforano il buio), che sono destinate a spegnersi ed essere sostituite. Passare la mano è accettare il decorso di una storia che si nutre di contrasti, tra il vecchio e il nuovo, tra il conosciuto e l’incognito e che solo così consente alla totalità del possibile di manifestarsi nel mondo. Il cinema è, per Weerasethakul, l’intermediario ideale tra ciò che esiste in astratto e ciò che concretamente accade: esso ha infatti il potere illimitato di tradurre i pensieri  in azioni ed immagini, stando dentro e fuori le storie, e scambiando quindi liberamente, come in un gioco di specchi, i termini di finzione e realtà.

 

 

La precedente puntata de Il cinema degli altri:

(6) Mrinal Sen

 

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