Mai dire mai: l’interruzione
2. La promessa sospesa: Flash-Forward, Heroes
Alcune serie giungono al paragrafo finale in modo sbrigativo e pretestuoso, come se la mancanza di suggello narrativo equivalesse alla speranza di un’autorizzazione a procedere per altre avventure.
Interessante esempio di ibridazione tra universo fumettistico e ambito televisivo, due declinazioni analoghe della serialità, le avventure dei supereroi quotidiani di Heroes (Id., Tim Kring, Nbc, 2006-2010) ha perso ben presto la continuità narrativa che la serializzazione spinta impone. Dopo la prima stagione, Heroes sembra aver smarrito l’orientamento, arranca dietro ai personaggi avendo difficoltà a farli interagire, cambiandone quindi spesso le coordinate con conseguente confusione e perdita degli assi portanti della struttura comune, frammentata in capitoli disomogenei e ulteriormente confusa dai balzi temporali. Sempre in procinto di essere cancellata, Heroes si suggella, dopo quattro stagioni, con la semplice esposizione dei superpoteri da parte di una delle protagoniste (Claire, la cheerleader indistruttibile) e lo svelamento al mondo dell’esistenza dei mutanti.
Il finale, che equivale ad un minimo comune conclusivo senza vero esito, negato dalla mancanza di prosecuzione, poco aggiunge anche se molto ancora promette, introducendo una variante peraltro già sviluppata in un diverso contesto temporale dalla stessa serie. È un finale aperto, lasciato tale a dispetto dei pronostici che presagivano una soppressione e che priva il pubblico e il narrato di una conclusione ordinata. È soltanto un punto fermo, arbitrario e provvisorio, che diventa forzatamente definitivo ma rimane frustrante. Di fronte a scenari apocalittici, a ipotesi nichilistiche accennate durante le stagioni precedenti, la scelta di esposizione mediatici della propria natura, che cambia le coordinate di necessaria clandestinità dell’identità e potenzialità degli eroi, rappresenta una variante meno traumatica. Aperta sin dall’inizio a contributi dal supporto diversificato (web, fumetti, mobisode, ecc.), Heroes termina senza trovare una conclusione catodica ma, secondo l’etica della convergenza, lascia spegnersi la curiosità del pubblico nell’elucubrazione del possibile, nel nuovo contesto di un’immaginazione priva, ora, di imbracature narrative precostituite.
Allo stesso modo Flash-forward (Id., Brannon Braga, David S. Goyer, Abc, 2009-2010) termina con un nuovo balzo temporale in avanti che lascia pensare a sviluppi nati frustrati che, pertanto, diventano incompletezza narrativa e evidenziano l’incapacità di ripetere la fluidità seriale di Lost, su cui sia Heroes che Flash-forward appaiono modellati. Entrambe le serie, nate sulla scia dell’Isola famosa, seppur accolte con entusiasmo all’esordio, scontano la difficoltà di far interagire linee (e psicologie) individuali con una trama generale spalmata su scala stagionale all’interno di una narrazione che si vuole di flusso. Sfruttando scorie di Lost, mutuandone attori e la collocazione in palinsesto, Flash-forward si è trovata schiacciata dalle sue stesse ambizioni, ha sofferto proprio dal confronto esibito come programmatico e si è subito esaurita. Ma, invece di cercare la linearità di una conclusione, seppur parziale, ha continuato imperterrita a offrire solo spunti terminati in un finale forzatamente irrisolto e sospeso. Heroes e Flash-forward, come la maggior parte delle serie non riconfermate per un’ulteriore stagione e impreparate al congedo, si chiudono sul baratro dell’abbozzo informe che, per quanto spacciato da fine provvisoria, nega l’evidenza di una conclusione e, di fatto, la definizione di un significato.
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