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La parola fine (5): 24
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Mai dire mai: l’interruzione 

 

1. Il definitivo apparente: 24

 

A volte si impone una deviazione dalla consecutio logica degli eventi, una costruzione si contraddice proprio mentre sta per confermarsi, come in un finale tentativo di offrirsi il lusso di una libertà di scelta.

Nell’universo paranoico e compromesso di 24 (Id., Joel Surnow, Robert Cochran, Fox, 2001-2010) l’unico irrevocabile finale non potrebbe che coincidere con la morte del solo e monolitico eroe riconoscibile, del protagonista indissolubile: Jack Bauer. Nel serial, genialmente costruito facendo coincidere l’arco stagionale standard (24 episodi) con la durata di un giorno e mimando la coincidenza tra tempo diegetico e reale, ogni morte non è inconfutabile se non è almeno doppia, tutti gli antagonisti sono destinati a tornare per poter essere uccisi con più certezza. In un mondo moralmente ambiguo, politicamente cangiante e privo di punti fermi, senza sostegni etici e dedito all’adattamento e all’auto-assoluzione, soltanto Bauer rappresenta un solido baluardo, l’ultima linea di difesa dei valori americani. Ex agente segreto del contro-terrorismo, coinvolto sempre controvoglia nei più improbabili complotti, Jack Bauer assiste impietoso al deterioramento dello status morale dell’amministrazione americana, pur credendovi ciecamente e ubbidendovi disperatamente, sacrificandole vita e famiglia (lui stesso è temporaneamente morto almeno due volte) e agendo, per un bene superiore, sempre in bilico tra moralismo e immoralità.

La tortura è la chiave di volta dell’intera serie, nel senso del dolore inflitto durante un interrogatorio per estorcere un’informazione ma, anche e soprattutto, nel significato di sofferenza riflessa nel personaggio. Sempre al lavoro (ma mai al soldo) del minor male, Jack Bauer non lesina torture e uccisioni e la serie, sadicamente, riverbera su di lui le conseguenze di scelte discutibili, quasi sempre imposte dalle circostanze o ordinate dai superiori gerarchici. Se le istituzioni si sollevano da ogni contraddizione, protetti dalla preminenza della ragione di Stato, gli individui accettano il sacrificio consapevolmente, assumendone le colpe e i contraccolpi psicologici. Maltrattato e affranto negli affetti, Bauer avanza indefesso per otto stagioni di deliri complottistici, di apocalissi imminenti, di piani sovversivi affermando la consapevolezza dell’immolazione perpetua per il salvataggio del fulcro morale del Paese di cui, inconsapevolmente, diventa l’ambigua garanzia. In uno scenario sempre più distante dall’attinenza storica ma attento a percepire le influenze della cronaca, 24 realizza un personaggio di stoico irrefrenabile, progressivamente sempre più solo e abbandonato, privato di ogni scampolo di felicità residua, quasi farneticante nella volontà di verità e incarnazione allucinata della necessità di un epilogo, di uno scioglimento sempre rimandato. Costruita nella continuità e interrotta sempre sul crescendo del finale di episodio, la serie costituisce una costante espressione di sadismo applicato, fisico e psicologico (nella diegesi) per l’eroe, quanto narrativo per il pubblico.

Una serie così inseparabile dal suo protagonista non poteva che terminare nel trionfo del pessimismo ontologico, con il definitivo sacrificio di Bauer. È lo stesso eroe indefesso a decidere di operare contro l’America e a ordire un colpo di stato emblematico, un attentato che raddrizzi e redima il collasso morale che ha inghiottito i valori civili. Nello scollamento progressivo e inaccettabile delle Istituzioni dalla assolutezza della verità, Bauer affonda in una allucinata follia che lo porta, per troppo patriottismo, a confutare i propri principi difendendoli all’eccesso. Eppure, all’ultimo minuto, la stagione si suggella con un’ultima apertura che concede al protagonista la pietas della salvezza solitaria a costo della dissoluzione identitaria. Costretto ad una perenne e doppia fuga dalle stesse istituzioni che ha difeso e dagli organismi terroristici che ha contrastato, perseguitato come nemico e traditore su ogni fronte, Jack Bauer deve fondersi con lo sfondo, dileguarsi nel fondale, sciogliersi nell’anonimato che gli garantisce un riparo. Senza l’identità palpabile e riconoscibile di Bauer che la caratterizza, la serie stessa decreta lo sfaldamento definitivo del proprio impianto mentre permette al personaggio un ultimo viaggio verso l’evanescenza che coincide con il mito.

Libero di andare ma privato della riconoscibilità, Jack Bauer non può che scivolare verso il limbo dell’evocazione simbolica, in un panorama di eroi inavvicinabili e irrevocabili perché spogli della fisicità dell’esistenza. La morte civile del personaggio determina la soppressione della narrazione, nata nel 2001 con inquietante anticipo sulle Torri Gemelle e suggellata dalla nuova era di Obama, quasi fuori tempo massimo. Diventato fantasma delle coscienze messe in discussione, Jack Bauer si elide dalla narrazione che, senza di lui, non può che chiudersi con un piccolo conto alla rovescia, verso il traguardo temporale che ha sempre condizionato l’intero impianto seriale. Liberato dal contesto catodico, il fantasma potrà, forse, incarnarsi in un ultimo capitolo cinematografico di improbabili avventure sul filo del tempo.

 

(to be continued)

 

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