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Il vocabolario dei sentimenti - Indifferenza (7)
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(spopola) 1726792

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Gli indifferenti (1964)

di Francesco Maselli con Claudia Cardinale, Tomas Milian, Rod Steiger, Paulette Goddard, Shelley Winters

 

Ed eccoci arrivati davvero alla fine del percorso… chiudiamo allora con un po’ di tristezza e molta nostalgia parlando di indifferenza… e non è cosa facile né semplice, proprio perché anche per questo termine decisamente estremo,  non mi riesce trovare la sintesi di una valutazione “a senso unico” che per quanto si possa tentare di farla essere oggettiva, rifletterebbe sempre la “soggettività” del nostro (il mio per l’esattezza) personale modo di pensare che ne costituisce in qualche modo il filtro e l’interpretazione.

Forse è  così che deve andare… perché davvero – ne sono sempre più convinto - proprio nessun “sentimento” – e tantomeno questo - può essere “letto” e “rappresentato” analizzandolo in una sola direzione per le molteplici implicazioni che si porta dietro: basta considerare le abissali differenze che dividono il concetto e le valutazioni che potrebbero essere fatte “semplicemente” dividendo il privato dal sociale per rendersene conto e convenire che persino l’indifferenza, un sentimento così definitivo da diventare alla fine “negazione” assoluta del soggetto a cui si riferisce, di per sé ambigua espressione di una egoistica “insofferenza” che sembra non lasciare spazio per una “mediazione”, può trasformarsi invece (parlo ovviamente del privato però ed è bene evidenziarlo a chiare lettere) in una propedeutica valvola di “contenimento” del dolore, una maturazione, quasi una “riconciliazione”, certamente il superamento di  precedenti “furori” espressi in forma ben più bellicosa e vendicativa, e quindi un traguardo obbligato per ritrovare un equilibrio e, almeno in parte, una serenità perduta, “annullando”  a nostra volta l’importanza e il valore di quello che era stato l’oggetto del contendere per relegarlo nell’indifferenza che ci rassicura.

 

 

Io sono l'amore (2009)

di Luca Guadagnino con Tilda Swinton, Flavio Parenti, Edoardo Gabbriellini, Alba Rohrwacher, Pippo Delbono, Diane Fleri, Maria Paiato, Marisa Berenson, Waris Ahluwalia

 

Terribile (ed è ancora ai rapporti interpersonali del privato che mi riferisco) per chi  è oggetto diretto (anche involontario a volte) dell’indifferenza altrui, e che non si capacita né accetta questa “esclusione” (Tu non esisti: lo dicono  prima il figlio e poi il marito alla scoperta più che del tradimento della donna, a quello della “scelta” consapevole che ha fatto in Io sono l’amore di Guadagnino, e non c’è niente di altrettanto  definitivo e “certo” di una chiusura così lapidaria ed assoluta).

 

Le bel indifférent (1957)

di Jacques Demy con Jeanne Allard, Angelo Bellini, Jacques Demy

 

L’indifferenza è  un sentimento distruttivo ed esecrabile che si subisce e annienta, e non c’è dunque nulla di positivo in questo, ma può diventare al contrario un salvifico “approdo” quando - cambiando visuale – alla fine troviamo la forza di ribellarsi a quella che consideriamo un’ingiustizia e una “fregatura”, e feriti ed incompresi, traditi negli affetti  da qualcosa o da qualcuno come siamo stati, riusciamo finalmente a vedere le cose nella giusta dimensione e a spengere l’“idea” sbagliata che ci abbacinava e che ci aveva fatto mettere sull’altare chi non lo meritava affatto… e così allora dopo aver soffocato il primario rancore, l’indignazione, l’odio, la gelosia  e non tanto sottaciuti proponimenti insani di vendetta,  ritroviamo alfine la pace e il senso giusto delle proporzioni nel considerare “saggiamente” che l’altro/l’altra/gli altri non ci “meritavano” e siamo ormai così lontani dal coinvolgimento emotivo che ci aveva resi doloranti, da diventare alla fine totalmente indifferenti da “fregarcene” a nostra volta (una forma taumaturgica di difesa verso chi ci ha fatto male, che non  significa affatto – o necessariamente - una completa guarigione dalla precedente “dipendenza”, ma che è comunque sempre un differente e più disteso approccio con le cose) condizione essenziale e irrinunciabile per superare il “dramma” e tentare l’impresa della ricostruzione della propria vita.

Su questo versante però,  credo che il miglior esempio anche “dimostrativo” possa essere fornito da  Le bel indifférent di Demy  tratto dal dramma di Cocteau così analiticamente esatto nel rappresentare la sofferenza estrema di una donna che urla tutto il suo dolore e si dispera, racconta la sua appassionata dedizione per quell’uomo infame disteso accanto a lei che nemmeno la considera, distratto e assorto – sordo ad ogni sollecitazione anche emotiva -  con lo sguardo perso nel soffitto, che non “partecipa”,  né tantomeno prova compassione o rimorso, concentrato soltanto sulla sigaretta che fuma senza  esprimere alcun disagio o nervosismo… Lui  non l’ascolta, o meglio non la “percepisce”: lei non c’e più  per lui (probabilmente nemmeno “prima” c’era stata: era stata lei ad illudersi)… e alla fine si alza indifferente, prende la giacca e se ne va come se niente fosse, non fa un gesto né proferisce una parola: amorfo, insensibile e “assente”, chiude solo quella porta alle sue spalle,  come aveva già  fatto col suo cuore.

Chissà se un giorno (il film ed il poeta non che lo raccontano) quella donna tanto sofferente e disperata potrà raggiungere davvero la sospirata posizione dell’indifferenza verso quell’uomo  che non la meritava, tanto meschino e sordido non  per non averla saputa amare (non si possono mai “forzare” i sentimenti), ma per non essere stato capace  di “ascoltare” - e in qualche modo di contenere un poco quel dolore… Che dire?... io glielo auguro di cuore… anche perché è una procedura e una modalità che a me  è sembrata spesso una soluzione inoppugnabile, un “anestetico” formidabile e a portata di mano che ha un sorprendente effetto “rasserenante” (i tempi sono magari lunghi, ma l’obiettivo è concretamente raggiungibile, ve lo assicuro, e da anche i suoi frutti!).

Si potrebbero spendere molte parole al riguardo, ma la migliore sintesi possibile per questa “condizione” spesso alternata nelle sue “valenze” contrapposte, penso sia possibile farla riportando invece le parole di una ormai remota canzone di Cocciante (i versi comunque sono di Luberti) che spiegano i meccanismi “certi” che  ci stanno dietro :

sai che devo partire
che mi dai prima di andare
vorrei vorrei vorrei
il tuo cuore io vorrei

io non te lo posso dare
ne ho bisogno per amare
oh no, proprio no
il mio cuore io non te lo do
 

sai che devo partire
forse per non ritornare
vorrei almeno vorrei
che non mi scordassi mai

ma scordarti come posso
se io quasi non ti conosco
potrei magari potrei
ma lo so che poi ti scorderei

io di te non ho più niente
posso chiedere solamente
mi dai mi dai mi dai
il disprezzo almeno me lo dai

 quello e' sempre stato tuo

 io non ti regalo niente

 se ti basta se hai pazienza

 posso darti solo l'indifferenza.

 

Welcome (2009)

di Philippe Lioret con Vincent Lindon, Firat Ayverdi, Audrey Dana, Derya Ayverdi, Olivier Rabourdin, Thierry Godard, Murat Subasi, Firat Celik, Selim Akgul

 

Il discorso diventa invece assolutamente insostenibile se dal privato ci spostiamo sul versante “sociale” della vita perché qui l’indifferenza credo sia davvero un sentimento da considerare come “infame” decisione all’esclusione programmata e potremmo tentare anche una raccolta di firme tanto di moda adesso (non so con quali pratici risultati però) per metterla al bando definitivamente, o per lo meno per additarla come una dannazione, la“peggior” peste della contemporaneità civilizzata troppo egoista per pensare e interessarsi positivamente persino  a qualcosa che si colloca “al di là del proprio naso”, figurarsi a problematiche e sofferenze distanti mille miglia anche semplicemente per “colore di pelle” e provenienza geografica.

Potrei cavarmela comunque anche qui  semplicemente parlando di Moravia che ha scritto un libro intero, o citando Platone (la pena che i buoni devono scontare per l'indifferenza alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi) e il filosofo americano  Robert M. Hutching (La morte della democrazia non sarà opera di un assassino in agguato. Più probabilmente sarà una lenta estinzione causata da apatia, indifferenza e denutrizione), o magari utilizzando invece  le osservazioni poco accomodanti di uno scrittore arguto come  George Bernard Shaw (Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio, ma l'indifferenza: questa è l'essenza della disumanità) o quelle altrettanto desolate di Iris Murdoch (Forse persino le passioni morali fuorviate sono migliori della confusa indifferenza che ci circonda) che stigmatizzano abbastanza un negativo essere “socialmente indifferenti” per il tutto il male, le sperequazioni, le sofferenze, i soprusi, le guerre, le dittature, i disagi esistenziali delle popolazioni, le discriminazioni  e tutto il resto che vilmente ignoriamo (o tolleriamo con indifferenza) morti comprese, ma non sarebbe a mio avviso sufficiente per completare il quadro.

Tornando allora al cinema (perché poi è di questo che qui stiamo trattando), sono moltissimi i titoli che potrebbero essere presi in considerazione senza uscire dal tema. Ne scelgo allora  uno “a caso” pescando dentro il mucchio, sicuro di non sbagliare bersaglio, e cito un titolo che di indifferenza dentro ne ha molta, e che ho apprezzato veramente tanto (mi ha fatto invero molto male, facendomi identificare un poco con vergogna in quello zerbino che  riporta solo “a parole” propositive posizioni di “accoglienza” e di condivisione, ma poi nei fatti… ne sconfessa crudelmente il senso).

Mi riferisco a Welcome, sul quale però mi asterrò da qualsiasi personale esternazione lasciando che ciascuno possa fare al riguardo le sue considerazioni…. Io,  stimolato invece proprio da una recente bellissima play di Montelaura (una ragazza in gamba con la quale “so” da tempo di avere molte “affinità elettive”) preferisco concludere con una ulteriore citazione (a qualcuno potrà sembrare addirittura un po’ forzata e impropria, ma dal mio punto di vista è invece pertinente e me ne assumo dunque la piena “responsabilità” anche morale) a cui faceva  riferimento proprio Laura con il suo accorato appello pre-consultazione referendaria:

 

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. (Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917)  che chiude il cerchio come meglio non sarebbe stato possibile fare, (magari completandolo per chi vorrà, con la lettura delle sue lettere dal carcere).

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